Un anno e mezzo fa, prima che i dibattiti e le preoccupazioni del mondo venissero completamente assorbiti dalla pandemia ancora in corso, si percepiva un certo fermento nella comunità astronomica. Sia tra i professionisti che tra gli appassionati, e soprattutto sui canali social, non si parlava che di Betelgeuse, la stella supergigante rossa che spicca nella costellazione di Orione e che, tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020, appariva meno brillante del solito. E di parecchio: il calo di luminosità, che raggiunse un minimo storico nella seconda settimana di febbraio, era ben evidente anche a occhio nudo confrontando la stella, che si trova facilmente guardando verso la “spalla” destra del cacciatore mitologico, con Rigel, l’altra supergigante della stessa costellazione, brillante e di colore bluastro nel “ginocchio” sinistro di Orione.
Le variazioni di luminosità di Betelgeuse si conoscono bene, ma questo notevole affievolimento era alquanto insolito. La speranza di molti era che questa ‘grande attenuazione’ – great dimming in inglese – potesse essere seguita da una spettacolare esplosione di supernova, un fenomeno che non si osserva nella nostra galassia da ben quattro secoli. Ma per quanto plausibile – la fase di supergigante rossa, che dura centinaia di migliaia di anni, è infatti seguita dalla morte della stella come supernova – non è questo scenario a spiegare il curioso comportamento di Betelgeuse in quei mesi. Secondo un articolo pubblicato oggi sulla rivista Nature, si trattava soltanto di polvere.
«Abbiamo assistito direttamente alla formazione della cosiddetta polvere di stelle», spiega Miguel Montargès dell’Observatoire de Paris, Francia, e Katholieke Universiteit Leuven, Belgio, primo autore del nuovo studio.
Montargès e collaboratori hanno osservato Betelgeuse a dicembre 2019 con il Very Large Telescope (Vlt) dell’Eso, lo European Southern Observatory, in Cile. Il confronto con immagini raccolte a gennaio 2019, prima del marcato affievolimento, ha mostrato una superficie stellare significativamente più scura, specialmente nell’emisfero meridionale. Il team ha continuato a osservare l’astro a gennaio e marzo 2020, prima del ritorno ai valori normali di luminosità in aprile.
Tra i quattro modelli presi in esame durante l’analisi di questi dati, la spiegazione più plausibile prevede l’oscuramento di una porzione della stella da parte di un banco di polvere di recente formazione. A sua volta, la polvere si sarebbe formata a partire da una delle bolle giganti di gas che popolano la superficie turbolenta della stella: l’espulsione della bolla avrebbe raffreddato la superficie sottostante, facendo condensare il gas in materiale solido, ovvero la polvere. I risultati confermano un’ipotesi già suggerita sulla base di osservazioni del telescopio spaziale Hubble in uno studio guidato da Andrea Dupree, co-autrice anche del nuovo lavoro.
La ricerca ha importanti implicazioni per lo studio della polvere cosmica, dimostrando che può formarsi molto rapidamente e molto vicino alla superficie di una stella. «La polvere espulsa dalle stelle fredde evolute, come l’espulsione a cui abbiamo appena assistito, potrebbe continuare fino a diventare uno dei mattoni costitutivi dei pianeti terrestri e della vita», dice Emily Cannon della Katholieke Universiteit Leuven, co-autrice dell’articolo.
Il team ha utilizzato due strumenti installati sul Vlt per questa analisi: Sphere (Spectro-Polarimetric High-contrast Exoplanet Research) per visualizzare direttamente la superficie di Betelgeuse, e Gravity, che combina i segnali ricevuti dai 4 telescopi del Vlt in modalità interferometrica, per monitorare la stella durante l’oscuramento.
«Questo articolo riveste grande interesse e conferma alcune delle ipotesi che si erano avanzate nelle prime settimane dopo l’inizio del great dimming di Betelgeuse osservato nell’inverno 2019-2020», commenta Massimo Turatto dell’Inaf di Padova, non coinvolto nello studio. «Le loro osservazioni fatte con gli strumenti Sphere e Gravity sono a dir poco spettacolari: hanno permesso di risolvere particolari della superficie della stella ed una variazione della luminosità delle varie regioni. Osservazioni che possono essere fatte solo con tecniche interferometriche e di ottica adattiva estrema e solo per le stelle più vicine a noi».
«Queste osservazioni ci inducono a pensare che le supergiganti rosse come Betelgeuse», prosegue Turatto, «possono perdere materia in due modalità: la prima attraverso l’emissione continua e pressoché omogenea di materia da parte della stella che normalmente porta alla condensazione di polvere solo a grandi distanza, e un’altra con l’emissione occasionale di più sostanziose masse di gas più denso dalla superficie. In conclusione, non ci sono da segnalare condizioni straordinarie sulla superficie di Betelgeuse, e non abbiamo indicazioni che la sua esplosione come supernova sia imminente. Tuttavia non possiamo nemmeno escludere che alcune supergiganti rosse riescano a celare fino all’ultimo momento i drammatici avvenimenti che portano al collasso del loro nucleo e all’esplosione finale».
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Per saperne di più:
- Leggi su Nature l’articolo “A dusty veil shading Betelgeuse during its Great Dimming” di M. Montargès, E. Cannon, E. Lagadec, A. de Koter, P. Kervella, J. Sanchez-Bermudez, C. Paladini, F. Cantalloube, L. Decin, P. Scicluna, K. Kravchenko, A. K. Dupree, S. Ridgway, M. Wittkowski, N. Anugu, R. Norris, G. Rau, G. Perrin, A. Chiavassa, S. Kraus, J. D. Monnier, F. Millour, J.-B. Le Bouquin, X. Haubois, B. Lopez, P. Stee, and W. Danchi