Utilizzando Alma (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array), un team di scienziati ha studiato nel dettaglio una giovane stella piuttosto particolare chiamata Elias 2-27 situata a meno di 400 anni luce dalla Terra, nella costellazione di Ofiuco: si tratta del primo sistema stellare mai osservato che presenta onde di densità nel suo disco protoplanetario, che gli conferiscono una marcata struttura a spirale. Con le loro osservazioni, gli scienziati hanno confermato che le instabilità gravitazionali giocano un ruolo chiave nella formazione dei pianeti e, per la prima volta, sono stati in grado di misurare direttamente la massa dei dischi protoplanetari utilizzando i dati sulla velocità del gas, arrivando molto vicino a svelare uno dei misteri della formazione dei pianeti. I risultati della ricerca sono stati pubblicati su The Astrophysical Journal in due articoli.
I dischi protoplanetari che circondano le giovani stelle appena formate, composti da gas e polvere, sono noti come luogo in cui nascono i pianeti. Tuttavia, l’esatto processo di formazione di un pianeta è ancora un mistero. Durante le loro osservazioni, gli scienziati hanno confermato che il sistema stellare Elias 2-27 mostra l’evidenza di instabilità gravitazionali che si verificano quando i dischi che formano i pianeti trasportano un grande frazione della massa stellare del sistema. «Come si formano esattamente i pianeti è una delle domande principali nel nostro campo. Ci sono alcuni meccanismi chiave che riteniamo possano accelerare il processo di formazione dei pianeti», ha affermato Teresa Paneque-Carreño dell’Universidad de Chile, dottoranda presso la University of Leiden e European Southern Observatory e prima autrice di uno dei due articoli. «Abbiamo trovato prove dirette dell’instabilità gravitazionale in Elias 2-27, il che è molto eccitante perché è la prima volta che possiamo mostrare la prova cinematica e multi-lunghezza d’onda di un sistema gravitazionalmente instabile».
Le caratteristiche uniche di Elias 2-27 lo hanno reso popolare tra gli scienziati di Alma per più di mezzo decennio. Nel 2016, un team di scienziati che utilizzava Alma scoprì una spirale di polvere che vorticava intorno alla giovane stella. Si crede che le spirali siano il risultato di onde di densità, comunemente note per produrre i bracci delle galassie a spirale, come la Via Lattea, ma all’epoca non erano mai state viste prima intorno a singole stelle. «Nel 2016 abbiamo scoperto che il disco di Elias 2-27 aveva una struttura diversa da quella di altri sistemi già studiati, qualcosa che prima non si era osservato in un disco protoplanetario: due bracci a spirale su larga scala. Sebbene le instabilità gravitazionali fossero le principali indiziate, l’origine di queste strutture rimase un mistero ed erano necessarie ulteriori osservazioni», spiega Laura Pérez, Assistant Professor presso l’Universidad de Chile, prima autrice dello studio del 2016 che, insieme ai collaboratori, ha proposto ulteriori osservazioni in più bande di Alma, che sono poi state analizzate insieme a Paneque-Carreño.
Oltre a confermare le instabilità gravitazionali, gli scienziati hanno trovato perturbazioni nel sistema stellare ben al di sopra delle aspettative teoriche. «Potrebbe esserci ancora nuovo materiale che dalla nube molecolare circostante cade sul disco, che rende tutto più caotico», ha detto Paneque-Carreño, aggiungendo che questo caos ha contribuito a fenomeni interessanti che non sono mai stati osservati prima e per i quali gli scienziati non hanno una spiegazione chiara. «Il sistema stellare Elias 2-27 è altamente asimmetrico nella struttura del gas, il che è totalmente inaspettato ed è la prima volta che osserviamo una tale asimmetria verticale in un disco protoplanetario».
Cassandra Hall della University of Georgia e co-autrice della ricerca, ha aggiunto che la conferma dell’asimmetria verticale e delle perturbazioni della velocità – le prime perturbazioni su larga scala legate alla struttura a spirale in un disco protoplanetario – potrebbe avere implicazioni significative per la teoria della formazione dei pianeti. «Questa potrebbe essere una ‘pistola fumante’ dell’instabilità gravitazionale, che potrebbe accelerare alcune delle prime fasi della formazione del pianeta. Abbiamo previsto per la prima volta questa firma nel 2020 e, dal punto di vista dell’astrofisica computazionale, è entusiasmante avere avuto ragione».
La nuova ricerca ha confermato alcune teorie ma ha anche sollevato nuove domande. «Mentre ora è possibile confermare le instabilità gravitazionali per spiegare le strutture a spirale nel continuum di polvere che circonda la stella, c’è anche un gap interno – materiale mancante nel disco – per il quale non abbiamo una spiegazione chiara», continua Paneque-Carreño.
Uno degli ostacoli alla comprensione della formazione dei pianeti era la mancanza di una misurazione diretta della massa dei dischi che formano i pianeti, un problema affrontato nella nuova ricerca. L’elevata sensibilità della Banda 6 di Alma, abbinata alle Bande 3 e 7, ha permesso al team di studiare più da vicino i processi dinamici, la densità e persino la massa del disco. «Le misurazioni precedenti della massa del disco protoplanetario erano indirette e si basavano solo su polvere o rari isotopologhi. Con questo nuovo studio, ora siamo sensibili all’intera massa del disco», ha affermato Benedetta Veronesi dell’Università degli Studi di Milano, ricercatrice presso l’École normale supérieure de Lyon e prima autrice del secondo articolo. «Questa scoperta pone le basi per lo sviluppo di un metodo per misurare la massa del disco che ci consentirà di abbattere una delle barriere più grandi e pressanti nel campo della formazione dei pianeti. Conoscere la quantità di massa presente nei dischi che formano i pianeti consente di determinare la quantità di materiale disponibile per la formazione dei sistemi planetari e capire meglio il processo con il quale si formano».
Sebbene il team abbia risposto a una serie di domande chiave sul ruolo dell’instabilità gravitazionale e della massa del disco nella formazione dei pianeti, il lavoro non è ancora terminato. «Studiare come si formano i pianeti è difficile perché sono processi che impiegano milioni di anni. Si tratta di una scala temporale molto breve per le stelle, che vivono migliaia di milioni di anni, ma un processo molto lungo per noi», spiega Paneque-Carreño. «Quello che possiamo fare è osservare le giovani stelle, circondate da dischi di gas e polvere, e cercare di spiegare perché questi dischi di materiale hanno l’aspetto che hanno. È come guardare una scena del crimine e cercare di indovinare cosa è successo. Lo studio, abbinato alla futura analisi approfondita di Elias 2-27, ci consentirà di caratterizzare esattamente come le instabilità gravitazionali agiscono nei dischi che formano i pianeti e ottenere maggiori informazioni su come si formano».
«Il processo di formazione dei sistemi planetari è ancora molto dibattuto e il campo è diviso tra coloro che ritengono importante una formazione dinamica in tempi brevi in dischi molto massicci e coloro che invece sostengono una visione più graduale della formazione dei pianeti», commenta a Media Inaf Leonardo Testi di Inaf, co-autore di entrambi gli articoli. «Queste osservazioni di Alma sono molto importanti perché rivelano, per la prima volta in modo inequivocabile, la presenza di strutture riconducibili a effetti di instabilità a larga scala nei dischi protoplanetari. Per la prima volta, grazie all’elevata sensibilità e accuratezza di Alma, è stato anche possibile ottenere una misura “diretta” della massa del disco, misurando direttamente l’effetto della materia del disco sul moto del gas. In futuro Alma si concentrerà sempre più su questo tipo di studi che saranno anche resi più accessibili dai nuovi sviluppi strumentali che stiamo predisponendo per l’osservatorio: da ricevitori più sensibili, quale il ricevitore in Banda 2, alla cui costruzione partecipa anche l’Inaf con l’Osservatorio di Bologna, e l’estensione della massima distanza tra due antenne, che permetterà osservazioni ancora più dettagliate delle regioni di formazione planetaria».
«È di particolare rilevanza e soddisfazione notare che questi due studi del disco attorno a Elias 2-27 sono stati guidati da due studentesse (Teresa Paneque dell’Università del Chile, ora studentessa a Eso a Monaco di Baviera, e Benedetta Veronesi, dell’Università di Milano, ora postdoc a Lione) nell’ambito di importanti progetti di cooperazione inter-Europea e con il Cile», conclude Testi. «In particolare il progetto EC-H2020 Rise Dustbusters coordinato dal Prof. Giuseppe Lodato all’Università di Milano».
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal l’articolo “Spiral Arms and a Massive Dust Disk with non-Keplerian Kinematics: Possible Evidence for Gravitational Instability in the Disk of Elias 2-27” di T. Paneque-Carreño1, L. M. Pérez, M. Benisty, C. Hall, B. Veronesi, G. Lodato, A. Sierra, J. M. Carpenter, S. M. Andrews, Jaehan Bae, Th. Henning, W. Kwon, H. Linz, L. Loinard, C. Pinte, L. Ricci, M. Tazzari, L. Testi, and D. Wilner
- Leggi su The Astrophysical Journal l’articolo “A Dynamical Measurement of the Disk Mass in Elias 2-27” di B. Veronesi, T. Paneque-Carreno, G. Lodato, L. Testi, L.M. Pérez, G. Bertin, C. Hall