All’inizio erano quasi 101mila. Adesso sono più di 150mila. Parliamo delle sorgenti compatte pre- e proto-stellari nella nostra galassia, la Via Lattea, catalogate nell’ambito della Herschel infrared Galactic Plane Survey, o Hi-Gal, un progetto guidato da ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica basato sulle osservazioni effettuate dal satellite Herschel dell’Agenzia spaziale europea (Esa).
La prima versione del catalogo, pubblicata nel 2017, comprendeva principalmente sorgenti nella parte interna della Via Lattea, osservate guardando in direzione del centro galattico a partire dalla nostra posizione – il Sole si trova a metà tra centro e periferia. Ora il nuovo catalogo aggiunge la vista sulla parte esterna della galassia, permettendo così di studiare, per la prima volta, la distribuzione di questi oggetti su scala galattica con un dettaglio senza precedenti. Un articolo pubblicato a giugno sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society presenta il contenuto e i primi risultati dell’analisi scientifica di questo imponente set di dati. Media Inaf ha intervistato il primo autore dell’articolo, Davide Elia, ricercatore dell’Istituto nazionale di astrofisica a Roma.
Dottor Elia, cosa c’è di nuovo in questo lavoro rispetto a quello pubblicato quattro anni fa?
«Questo articolo presenta il catalogo finale di tutte le sorgenti compatte, ossia puntiformi o quasi, che possono essere luogo di formazione stellare – in corso o in futuro – identificate dalla survey Hi-Gal nel lontano infrarosso, tra 70 e 500 micron. La survey è stata condotta a pezzi: il primo corrispondeva alla parte interna della Via Lattea, circa 140 gradi a cavallo del centro galattico, che è la regione più densamente popolata della galassia, anche in termini di materia che può dar luogo a formazione stellare. Quindi abbiamo pubblicato prima il catalogo per quella parte. Adesso abbiamo la survey completa del piano galattico, su una fetta di cielo ampia 2 gradi in latitudine e 360 gradi in longitudine».
Che cosa è cambiato da allora?
«Numericamente, la porzione di catalogo presentato in precedenza continua a essere preponderante, perché comprende la parte centrale della galassia, quella più popolata. Però dal punto di vista qualitativo abbiamo aggiunto un pezzo di informazione importante perché abbiamo osservato la parte della galassia esterna, che è meno popolata – il rapporto tra le aree osservate nel nuovo studio rispetto al precedente è quasi 2:1, ma il numero di oggetti presenti è la metà – ma presenta caratteristiche che possono differire notevolmente da quelle della galassia interna».
Cosa si può trovare nel nuovo catalogo?
«Innanzitutto la distanza di oltre 150mila sorgenti compatte, che permette di studiarne la distribuzione nella galassia. Poi ci sono le proprietà fisiche che dipendono dalla distanza: la massa e la luminosità. Se vediamo una sorgente con una certa luminosità da terra, la stima che noi forniamo per la sua luminosità intrinseca cambia a seconda della distanza che attribuiamo alla sorgente, e lo stesso vale per la massa che calcoliamo. E poi c’è la dimensione fisica: normalmente noi guardiamo queste mappe in 2D, ma solo se conosciamo la distanza possiamo stimare quanto è fisicamente esteso un oggetto. Un’altra novità importante è che, in questi quattro anni, c’è stato un imponente lavoro propedeutico sulla stima delle distanze, che è stata rifinita rispetto al catalogo del 2017 non solo per i nuovi 50mila oggetti ma anche per i 100mila precedenti. Abbiamo dovuto ridiscutere le proprietà fisiche di tutti gli oggetti, quindi c’è anche qui un aspetto di novità».
Si tratta di un dataset molto voluminoso. Quanto è complesso realizzare un catalogo di queste dimensioni?
«Sia il lavoro precedente che questo hanno delle caratteristiche di imponenza del dataset e di complessità. Inoltre c’è una complicazione in più per Herschel, una felice complicazione potremmo dire: Herschel ha osservato a cinque lunghezze d’onda differenti, e non è detto che la stessa sorgente compaia in tutte e cinque. Può apparire in alcune sì e in altre no, ad esempio a seconda della sua temperatura. Anche laddove compaia in più bande adiacenti, può avere un aspetto molto diverso da banda a banda. Il cielo cambia il suo aspetto con la lunghezza d’onda e questo vale anche per le singole sorgenti. Mettere insieme tutta questa informazione, necessaria per tirar fuori le caratteristiche fisiche di questi oggetti, è un lavoro preparatorio abbastanza complesso».
A cosa serve dunque tutto questo lavoro?
«Abbiamo finalmente la possibilità di fare un confronto tra la parte interna della galassia, quella all’interno di un cerchio ideale corrispondente all’orbita del Sole intorno al centro della galassia, e la parte esterna, da cui proviene la quasi totalità degli oggetti introdotti ex novo in questa versione del catalogo. Se la parte interna della galassia è quella più popolata e più efficiente nel formare nuove stelle, la parte più esterna ci mette davanti a una serie di altri interrogativi: per esempio, la metallicità è minore – in gergo astronomico, questo vuol dire una minor abbondanza di elementi chimici più pesanti dell’elio – il che può determinare un diverso comportamento del mezzo interstellare, degli oggetti compatti e della formazione stellare».
Misurare le distanze, un aspetto fondamentale in questo lavoro, è notoriamente un argomento spinoso in astronomia. Che metodo avete usato per stimare le distanze dalle vostre sorgenti?
«La stima delle distanze, che non è affatto banale, è stata presentata in un articolo guidato dai nostri colleghi del Laboratoire d’Astrophysique de Marseille, al quale anche il nostro gruppo ha contribuito in modo sostanziale, e che è uscito poco prima del nostro articolo. Il metodo utilizzato è quello delle distanze cinematiche: si usa la spettroscopia, se disponibile, e si parte dalle righe molecolari emesse da una nebulosa, in particolare da quella parte di nebulosa corrispondente alla regione compatta che ci interessa. Si identifica una riga – anche questo non è banale, perché potrebbero esserci varie righe lungo la stessa linea di vista – e poi una volta identificata quella riga andiamo a misurare l’effetto Doppler».
Che significa?
«La frequenza a cui misuriamo una riga è leggermente spostata rispetto a quella che ci aspetteremmo di misurare in un laboratorio a terra da un gas che emette all’interno di uno strumento che sta fermo. Invece, siccome ci sono dei movimenti dovuti alla rotazione di tutta la galassia, e a ogni distanza dal centro galattico ogni oggetto ha una sua velocità di rotazione peculiare, bisogna invocare un modello che descriva la rotazione della galassia e che ci dica la distanza per ciascun oggetto che osserviamo in una certa direzione e che abbia una certa velocità relativa rispetto a noi.
Tuttavia, quando andiamo a risolvere questa equazione, nella direzione della galassia interna abbiamo due soluzioni, è proprio un problema geometrico intrinseco. Dobbiamo decidere quale delle due soluzioni scegliere, che generalmente sono radicalmente differenti fra loro, e per risolvere questa ambiguità usiamo indicazioni secondarie da altri set di dati. Questo invece non avviene per gli oggetti della galassia esterna, per una questione geometrica, quindi le distanze misurate per oggetti nella galassia esterna non sono affette da questa ambiguità».
Sembra un processo molto laborioso. È per questo che sono passati quattro anni tra la pubblicazione dei due cataloghi?
«Sì, la stima delle distanze ha sicuramente complicato il lavoro. Il software approntato dai colleghi di Marsiglia è una grossa “macchina” che fa tantissimi calcoli, pescando da tutti i database di survey spettroscopiche, confrontando ogni sorgente con i dintorni per estrarre la riga più probabile da associare alla sorgente, e poi calcola la distanza, risolve l’ambiguità legata alla doppia soluzione, e considera anche cataloghi noti di distanze. L’ultima versione del catalogo di distanze è stata prodotta nell’estate 2020. Solo a quel punto abbiamo potuto consolidare il catalogo delle proprietà fisiche delle sorgenti e concluderne l’analisi scientifica».
Quali sono i principali risultati che avete estratto dal catalogo?
«Oltre ai parametri che dipendono dalla distanza, ci fa comodo anche discutere le quantità indipendenti dalla distanza, come ad esempio la temperatura, che si può derivare dalla forma dello spettro continuo e dalla posizione del picco di questo spettro. Un altro parametro indipendente dalla distanza è il rapporto tra la luminosità e la massa, perché entrambe dipendono dalla distanza allo stesso modo. Questo rapporto (L/M) è molto importante perché è un indicatore dello stato evolutivo di una sorgente».
Cosa si intende per stato evolutivo di una sorgente?
«Le nostre sorgenti sono concentrazioni di gas e polvere chiamate clump, che possono formare una o più stelle, o che già le stanno formando. Le meno evolute, a parità di massa, hanno una minore luminosità. Man mano che all’interno di un involucro di questo genere la formazione stellare procede, la sua luminosità cresce, mentre la massa resta quasi costante perché solo una piccola parte del clump collassa per formare stelle. Se nel rapporto L/M cresce la luminosità, cresce l’intera frazione. A un certo punto, le stelle che si stanno formando iniziano a dissipare la materia circostante, grazie alla pressione esercitata dalla radiazione che emettono. Pertanto questi clump perdono massa e quindi non solo la luminosità cresce ma la massa inizia a diminuire, e così il rapporto L/M continua a crescere. In questo modo, possiamo usare il rapporto L/M, che non dipende dalla distanza, per stilare una specie di graduatoria evolutiva, dagli oggetti pre-stellari a quelli che ospitano formazione stellare, fino a quelli che ospitano stelle anche ben evolute, massicce e che influenzano già pesantemente l’ambiente circostante».
E cosa avete scoperto stilando questa graduatoria evolutiva?
«Un risultato interessante è che, rappresentando questa grandezza in funzione della distanza dal centro della galassia verso la periferia, non notiamo nessun trend particolare. Questo è interessante perché il disco della galassia non ha una distribuzione uniforme di oggetti, ma presenta delle forti densità di nubi in prossimità dei bracci di spirale. Noi non vediamo nessuna particolare dipendenza dei valori evolutivi medi dalla posizione dei bracci di spirale, quindi il passaggio di un braccio di spirale – che è una specie di onda che passa attraverso la galassia – non sembra sveltire il processo di formazione stellare. Più che altro, sembra che i bracci fungano da collettori: sono come onde di densità che “accumulano” più nubi di gas e più stelle al loro passaggio, ma senza per questo accorciare i tempi della formazione stellare. Può sembrare un po’ contro-intuitivo rispetto a quello che generalmente si crede, però è così».
Siete rimasti sorpresi da questo risultato?
«L’assenza di un trend evolutivo ce la aspettavamo in realtà già dall’articolo del 2017, ma non avevamo la copertura dell’intera galassia per affermarlo con la stessa autorevolezza di oggi. C’erano anche indicazioni da altre survey, ma con qualità inferiore rispetto a quella di Herschel. Pensiamo di aver fornito un vincolo osservativo piuttosto netto alle teorie che intendano spiegare il nesso tra il ruolo dei bracci di spirale e la formazione stellare».
Avete notato altri aspetti interessanti?
«Un’altra cosa interessante è che anche le zone “inter-arm”, tra un braccio e l’altro, non sono così spopolate come si potrebbe credere. Questo si evince sia dalla semplice analisi delle distanze sia quando poi combiniamo le distanze con gli indicatori evolutivi. Quindi non dobbiamo aspettarci formazione stellare solo sui bracci di spirale, dove sicuramente ci sono più oggetti».
Quanta altra scienza è nascosta in questo catalogo?
«Ce n’è ancora tanta. I numeri sono grandi, quindi si può studiare dal piccolo al grande, estrarre informazioni sia sulle singole regioni oppure sull’intera galassia. E poi abbiamo incluso anche oggetti della Far Outer Galaxy, che si trovano a distanze oltre i 40-45mila anni-luce dal centro della galassia – che però per noi sono più vicini perché noi a nostra volta siamo a oltre 27mila anni-luce dal centro. Ne abbiamo identificate alcune centinaia e queste si prestano a ulteriori studi per chi si occupa di questa parte all’estrema periferia della nostra galassia».
Che tipo di studi si potranno fare con il nuovo catalogo?
«Il catalogo elenca le proprietà fisiche di questi oggetti e lascia quindi alla comunità la possibilità di approfondirne lo studio partendo da una base statistica molto ampia. Per chi è interessato per esempio a un pezzo di galassia, a una regione particolare, oppure chi è interessato a tutti gli oggetti con temperature più alte di un certo valore, oppure i più massicci o i più lontani dal centro galattico, eccetera. Inoltre il catalogo potrà essere utilizzato, nella sua interezza, per caratterizzare la nostra galassia in un singolo numero – il tasso di formazione stellare, ovvero quanta materia converte in stelle in un anno – per confrontarla poi con le galassie lontane. Si può studiare il legame tra le sorgenti compatte e i filamenti, strutture elongate nelle nubi molecolari che, soprattutto dopo Herschel, si pensa abbiano un ruolo importante nella formazione stellare. Su questa materia il nostro gruppo di ricerca in Iaps è fortemente impegnato. Si possono fare una serie di selezioni anche per osservazioni di follow-up, per esempio di tipo spettroscopico, anche per mezzo di interferometri».
Quali sono gli strumenti ideali per continuare a osservare queste sorgenti?
«Sono sorgenti che Herschel, pur essendo uno strumento veramente meraviglioso, ha osservato con una risoluzione da alcuni ad alcune decine di secondi d’arco. Oggi abbiamo strumenti come Alma nell’emisfero sud e Noema nell’emisfero nord che permettono di effettuare osservazioni a risoluzione più alta e scendere sotto il secondo d’arco. Possiamo osservare questi oggetti che con Herschel appaiono come dei grandi blob, per vedere se ospitano realmente una singola stella in formazione oppure un piccolo cluster di core da cui si stanno formando o si formeranno singole stelle.
Un “figlio” di Hi-Gal è AlmaGal, un large project approvato con Alma il cui Principal Investigator è Sergio Molinari, che era anche il principal investigator di Hi-Gal: abbiamo estratto mille sorgenti dalle 150mila del catalogo per studiare la loro struttura in maniera più dettagliata grazie alla risoluzione di Alma. Chiaramente con Alma sarebbe impensabile osservare 150mila oggetti, quindi abbiamo selezionato i migliori candidati per la formazione di stelle massicce, alle quali siamo particolarmente interessati. L’approccio è sempre quello di studiare la formazione stellare in maniera statistica nell’intera galassia andando a osservare una molteplicità di condizioni fisiche e ambientali in cui la formazione stellare può avvenire. E comunque anche mille sorgenti non sono certo poche!».
Oltre alle osservazioni con i grandi radiotelescopi e interferometri come Alma, cosa altro c’è nel futuro dell’astronomia infrarossa dopo Herschel?
«Alle frequenze del nostro catalogo siamo un po’ fermi: Herschel osservava da 70 a 500 micron, in questo dominio c’era la prospettiva di Spica che purtroppo è stato accantonato dall’Esa. Per questo catalogo, oltre a Herschel, abbiamo usato anche dati fotometrici a lunghezze d’onda più corte, tra i 20-25 micron, da missioni già effettuate come Spitzer, Wise e Msx. In futuro in questa banda opererà lo strumento Miri a bordo di Jwst che dovrebbe partire in autunno e che sicuramente aiuterà a osservare a queste lunghezze d’onda le controparti dei nostri clump di polvere visti nel lontano infrarosso con Herschel. Li osserverà con una buona risoluzione e sensibilità quindi se ci sono delle stelle già formate all’interno di questi oggetti, sarà compito di Jwst svelarci queste popolazioni e quindi confermare o meno la natura proto-stellare o pre-stellare di questi oggetti che noi abbiamo stabilito sulla base dei nostri dati nel lontano infrarosso. Il valore di eredità che ha questo catalogo è molto importante, anche perché non ci saranno delle facilities come Herschel nei prossimi decenni. In fondo neanche Spica, se fosse stato realizzato, sarebbe stato troppo simile a Herschel per capacità e intervallo di lunghezze d’onda osservato. Ci aspettiamo che questo catalogo diventerà un punto di riferimento per lungo tempo, un po’ come è stato il catalogo Iras degli anni Ottanta, prima dell’avvento di Herschel».
Per saperne di più:
- Leggi l’articolo su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society “The Hi-Gal compact source catalogue – II. The 360◦ catalogue of clump physical properties” di Davide Elia, M. Merello, S. Molinari, E. Schisano, A. Zavagno, D. Russeil, P. Mège, P. G. Martin, L. Olmi, M. Pestalozzi, R. Plume, S. E. Ragan, M. Benedettini, D. J. Eden, T. J. T. Moore, A. Noriega-Crespo, R. Paladini, P. Palmeirim, S. Pezzuto, G. L. Pilbratt, K. L. J. Rygl, P. Schilke, F. Strafella, J. C. Tan, A. Traficante, A. Baldeschi, J. Bally, A. M. di Giorgio, E. Fiorellino, S. J. Liu, L. Piazzo e D. Polychroni