Ci sono alcune regole a cui devono obbedire anche gli oggetti più estremi dell’universo. Una di queste riguarda i buchi neri e prevede che l’area dei loro orizzonti degli eventi – il confine oltre il quale nulla può sfuggire – non dovrebbe ridursi mai. Questa legge è conosciuta come teorema dell’area di Hawking, dal nome del fisico Stephen Hawking che l’ha derivata nel 1971.
Cinquant’anni dopo, un gruppo di cinque fisici ha confermato per la prima volta il teorema dell’area di Hawking utilizzando osservazioni di onde gravitazionali. I loro risultati sono stati pubblicati la scorsa settimana su Physical Review Letters.
Nello studio, i ricercatori esaminano più da vicino Gw 150914, il primo segnale di onde gravitazionali rilevato dal Laser Interferometer Gravitational-wave Observatory (Ligo), nel 2015. Il segnale era stato prodotto da due buchi neri che, spiraleggiando l’uno attorno all’altro, hanno generato fondendosi un nuovo buco nero, oltre a un’enorme quantità di energia che si è propagata nello spaziotempo sotto forma di onde gravitazionali.
Se valesse il teorema dell’area di Hawking, allora l’area dell’orizzonte del nuovo buco nero non dovrebbe essere più piccola dell’area totale dell’orizzonte dei suoi buchi neri progenitori. Nel nuovo studio, i fisici hanno rianalizzato il segnale di Gw 150914 prima e dopo la collisione cosmica e hanno scoperto che in effetti l’area totale dell’orizzonte degli eventi non è diminuita dopo la fusione, un risultato che riportano con un grado di confidenza molto buono (95 per cento).
La loro scoperta segna la prima conferma osservativa diretta del teorema dell’area di Hawking, dimostrato matematicamente ma mai osservato in natura, fino a oggi.
Ma vediamo com’è avvenuta la scoperta, che vede coinvolto anche un noto fisico teorico conosciuto al pubblico anche per il suo rilevante contributo in uno dei film più belli e intriganti sui temi più complicati e affascinanti dell’astrofisica, Insterstellar.
Nel 1971, il teorema dell’area di Hawking diede il via a una serie di intuizioni fondamentali sulla meccanica dei buchi neri e suggerì un curioso parallelo con la seconda legge della termodinamica, che afferma che l’entropia – o grado di disordine all’interno di un sistema – non dovrebbe mai diminuire. La somiglianza tra le due teorie suggeriva che i buchi neri potessero comportarsi come oggetti termici che emettono calore – una proposta sconcertante, poiché si pensava che i buchi neri per loro stessa natura non lasciassero mai fuoriuscire energia. Nel 1974, Hawking mostrò che i buchi neri potrebbero emettere radiazioni su scale temporali molto lunghe se fossero presi in considerazione i loro effetti quantistici. Questo fenomeno è conosciuto come radiazione di Hawking e rimane una delle rivelazioni più importanti sui buchi neri. Da allora Hawking e altri scienziati hanno dimostrato che il teorema dell’area funziona matematicamente, ma non c’era modo di verificarlo in natura fino alla prima rilevazione delle onde gravitazionali di Ligo.
Hawking, dopo aver appreso del risultato, contattò il co-fondatore di Ligo Kip Thorne, professore di fisica teorica al Caltech, per chiedergli se il rilevamento avrebbe potuto confermare il teorema dell’area. All’epoca, i ricercatori non erano in grado di individuare le informazioni necessarie all’interno del segnale, prima e dopo la fusione, per determinare se l’area dell’orizzonte finale non fosse diminuita, come supponeva il teorema di Hawking. Non lo è stato fino a diversi anni dopo, quando è diventato possibile testare la legge dell’area grazie allo sviluppo di una tecnica particolare da parte di Maximiliano Isi, un Einstein Postdoctoral Fellow della Nasa al Kavli Institute for Astrophysics and Space Research del Mit.
Nel 2019, il gruppo di ricercatori coordinato da Isi ha infatti sviluppato un metodo per estrarre toni specifici nelle onde gravitazionali immediatamente successivi al picco di Gw 150914, che ha segnato il momento in cui i due buchi neri si sono scontrati per formare un nuovo buco nero. Il team ha utilizzato la tecnica per individuare frequenze specifiche – o ipertoni – che possono essere utilizzate per calcolare la massa e lo spin del buco nero finale. La massa e lo spin di un buco nero sono direttamente correlati all’area del suo orizzonte degli eventi e Thorne, ricordando la domanda di Hawking, ha chiesto loro se la stessa tecnica potesse essere usata per confrontare il segnale prima e dopo la fusione e confermare il teorema dell’area.
I ricercatori hanno accettato la sfida e hanno analizzato nuovamente il segnale Gw 150914 al suo apice. Hanno sviluppato un modello per analizzare il segnale prima del picco, quando i buchi neri stavano ancora spiraleggiando, per identificare la massa e lo spin di entrambi prima che si fondessero. Da queste stime, hanno calcolato le aree racchiuse dai loro orizzonti degli eventi, una stima approssimativamente pari a circa 235mila chilometri quadrati, non di molto inferiore a quella dell’Italia (302mila chilometri quadrati).
Hanno quindi usato la loro tecnica per estrarre il ringdown, i riverberi del buco nero appena formato, da cui hanno calcolato la sua massa e rotazione, e infine la sua area dell’orizzonte, che hanno trovato essere equivalente a 367mila chilometri quadrati.
«I dati mostrano con una sicurezza schiacciante che l’area dell’orizzonte è aumentata dopo la fusione e che la legge dell’area è soddisfatta con probabilità molto elevate», afferma Isi. «È stato un sollievo che il nostro risultato sia in accordo con il paradigma che ci aspettiamo e confermi la nostra comprensione di queste complicate fusioni di buchi neri».
«È possibile che ci sia uno zoo di diversi oggetti compatti, e mentre alcuni di loro sono buchi neri che seguono le leggi di Einstein e Hawking, altri potrebbero essere bestie leggermente diverse», conclude Isi. Il team prevede ora di testare i futuri segnali di onde gravitazionali per vedere se potrebbero confermare ulteriormente il teorema di Hawking oppure confutarlo.
Per saperne di più:
- Leggi su Physical Review Letters l’articolo “Testing the Black-Hole Area Law with GW150914” di Maximiliano Isi, Will M. Farr, Matthew Giesler, Mark A. Scheel e Saul A. Teukolsky