La mattina del 10 aprile del 2019 milioni di persone da tutto il mondo seguirono in diretta la conferenza stampa in cui Heino Falcke, professore di astrofisica alla Radboud University a Nijmegen e guest-professor al Max Planck Institute for Radio Astronomy a Bonn, presentava la prima “foto” di un buco nero, quello al centro della galassia M87 – immagine divenuta ormai iconica. Un grandioso risultato scientifico reso possibile grazie a un’impresa titanica, nata da un’idea dello stesso Falcke, che permise di coordinare otto osservatori creando virtualmente un singolo radiotelescopio delle dimensioni della Terra: Eht, l’Event Horizon Telescope. Un traguardo storico le cui tappe fondamentali sono raccontate da Falcke nel libro L’enigma dei buchi neri. Alla scoperta dell’universo e della natura umana, un best-seller da oggi disponibile anche in Italia, edito da Mondadori.
Percorrendo un viaggio avventuroso attraverso lo spazio e il tempo, dallo studio dei buchi neri fino ai misteri ancora irrisolti dell’universo, l’autore si addentra in un enigma sfuggente e appassionante, interrogandosi sui dubbi e le certezze della scienza senza tralasciare un richiamo alla fede. Un sorprendente itinerario virtuale, in cui il rigore scientifico si coniuga con una scrittura semplice e scorrevole, vibrante di meraviglia e poesia. Un percorso che è al tempo stesso il sogno di un uomo con lo sguardo rivolto verso il firmamento e che ci fa riscoprire le domande fondamentali con le quali da sempre “bussiamo con forza alle porte del cielo”. Media Inaf lo ha intervistato.
Professor Falcke, qual è stata la sua reazione quando ha visto per la prima volta l’immagine dell’anello di luce?
«È stato un momento di stupore, meraviglia e paura. Stupore, perché stavamo guardando un mondo esotico mai visto prima fino a pochi istanti fa. Meraviglia e gratitudine perché ha funzionato davvero e paura perché avremmo potuto essere fuorviati. Sembrava troppo bello per essere vero. L’immagine era sorprendentemente familiare. Un po’ come la foto del tuo più grande, segreto amore che non hai mai visto di persona ma che hai sempre avuto in mente. E ora ti trovi di fronte a “lei” per la prima volta e vedi che è bellissima, più di quanto hai immaginato».
Che cosa abbiamo imparato da questa immagine?
«Che questi mostri oscuri e supermassivi che risiedono al centro delle galassie sono davvero buchi neri, o almeno si mostrano come predicono le nostre teorie. Vediamo la luce che letteralmente sparisce nell’oscurità dell’orizzonte degli eventi. Possiamo inoltre testare la relatività generale con una precisione più elevata rispetto a quanto siamo in grado di fare nell’ambito del sistema solare. La teoria di Einstein funziona molto bene quando si applica ai buchi neri di taglia stellare, che possiamo “ascoltare” attraverso i rivelatori di onde gravitazionali come Ligo e Virgo, ma anche ai buchi neri supermassivi, che hanno una massa 100 milioni di volte superiore a quella solare e che possiamo osservare con Eht. È quello che noi chiamiamo invarianza di scala della relatività generale, che vale su un ampio intervallo di valori davvero impressionante».
Si aspettava di trovare qualcosa di diverso?
«In effetti, sì. L’ombra del buco nero poteva essere molto più piccola, il gas avrebbe potuto nascondere l’ombra e persino le predizioni della relatività generale potevano risultare sbagliate. Non abbiamo mai osservato in dettaglio questa regione dello spazio-tempo. Alla fine, si spera che le cose possano presentarsi in maniera diversa, perché vuoi essere sorpreso. Ma per essere l’inizio, è confortante che le cose siano andate come previsto. Apparentemente, abbiamo fatto tutto bene ma continueremo a cercare eventuali deviazioni rispetto a ciò che ci aspettiamo».
Eht è stata una sua idea. Come ha fatto a mettere in piedi questo grande gruppo di ricercatori?
«Sono stato il primo a evidenziare il fatto che avremmo potuto vedere l’ombra di un buco nero a certe frequenze radio realizzando virtualmente un telescopio enorme delle dimensioni della Terra. Ciò risale a 25 anni fa. Alla fine, è stato uno sforzo congiunto di diverse parti, cresciuto nel corso degli anni. Ma per fare questo bisogna convincere gli altri che si tratta di una buona idea, poi bisogna creare un gruppo che vuole raggiungere insieme l’obiettivo, aspettare che vengano costruiti i radiotelescopi, avere dei fondi per l’esperimento e infine essere certi di non rimanere tagliati fuori. La scienza è anche competizione. Gli americani hanno molte risorse finanziarie, telescopi e eccellenti ricercatori. Perseguono decisamente i loro obiettivi e richiedono la leadership. Come europei, credo che dobbiamo essere in grado di dire la nostra. Per questo progetto abbiamo avuto un’ottima collaborazione da parte degli eccellenti istituti di radioastronomia in Germania, Italia e in altri paesi europei, e in più abbiamo ricevuto grande supporto dal Consiglio di Ricerca Europeo. Questa volta abbiamo agito da squadra».
Perché, secondo lei, il mondo si fermò quel giorno e milioni di persone furono emozionate nel vedere l’immagine del buco nero?
«I buchi neri vanno oltre la scienza. Sono oggetti moderni, mitologici che suscitano mistero. Creano un fascino morboso di morte e distruzione. Ci mettono di fronte ai limiti della conoscenza. E poi rappresentano un mondo esotico così diverso dal nostro. “Vederli” per la prima volta è come scoprire un nuovo continente».
Come mai è così importante studiare i buchi neri?
«Credo che il futuro della fisica sarà deciso sul confine estremo dei buchi neri. Il problema di conciliare le due maggiori teorie dell’universo, da un lato la fisica quantistica che descrive gli oggetti infinitamente piccoli, e la relatività generale, che descrive gli oggetti più grandi e l’intero universo, è ancora oggi un mistero. È proprio in prossimità dei buchi neri che la discrepanza tra le due teorie diventa più evidente».
Ha detto che la fisica è sull’orlo di un cambiamento di paradigma. Cosa intende esattamente?
«Quello passato è stato il secolo della fisica delle particelle. Il secolo in cui viviamo potrebbe essere quello della fisica dello spazio-tempo. Per la prima volta, abbiamo degli esperimenti – i rivelatori di onde gravitazionali e l’Event Horizon Telescope – che ci permettono di studiare i fenomeni fisici al confine estremo dell’orizzonte degli eventi. Ora abbiamo dati reali. Anche se la teoria di Einstein non sarà ribaltata tra qualche tempo, la possibilità di valutare nuove teorie rappresenta da sola un enorme potenziale creativo negli studiosi. Forse tutto ciò sta ispirando un nuovo Einstein da qualche parte nel mondo, oppure un nuovo Einstein è già nato quando abbiamo mostrato l’immagine del buco nero».
Crede che Einstein e la sua teoria trionferanno per sempre?
«Sicuramente, la teoria di Einstein resisterà ancora, ma dovrà essere modificata in alcuni regimi. È una situazione simile alla teoria della gravità di Newton, che descrive molto bene i fenomeni fisici nell’ambito del sistema solare. Ma quando si fanno vere misure di precisione, come ad esempio l’orbita di Mercurio, solo allora si scopre che c’è bisogno di una migliore descrizione. La stessa cosa accadrà con la teoria di Einstein. Se ci spingiamo verso le epoche primordiali della storia cosmica, se consideriamo l’espansione dell’universo o se esploriamo l’orizzonte degli eventi dei buchi neri, alla fine avremo bisogno di una teoria più completa».
Cosa si aspetta per il futuro prossimo?
«Abbiamo fatto il primo passo e abbiamo mostrato la fattibilità dell’esperimento, ma la scienza è fatta di percorsi lunghi. Se riusciremo a realizzare più immagini, potremo ridurre le incertezze di un fattore 3-10 nel prossimo decennio. Per fare questo, sarà necessario un duro lavoro e tanta pazienza. Occorre ottimizzare l’insieme dei radiotelescopi e costruirne uno o più in Africa. Poi, il passo successivo sarà andare nello spazio per realizzare virtualmente un’antenna più grande delle dimensioni della Terra. Non è un’idea folle e ci stiamo lavorando».