Grazie alla sua peculiarità, una stella di per sé insignificante vicina alla costellazione dell’Aquila, a circa 7500 anni luce da noi, ha permesso di fare luce su un particolare tipo di ipernovae – violente esplosioni di stelle massicce più brillanti e rare delle supernove – e sulla formazione di elementi pesanti nelle prime fasi di vita dell’universo. I dati ottenuti con il telescopio SkyMapper dell’osservatorio australiano di Siding Spring e con il Very Large Telescope dell’Eso hanno rivelato che la stella gigante rossa Smss J200322.54-114203.3, come tutte le stelle a lei coeve che ancora popolano l’alone della nostra galassia, è molto povera di metalli, ma caratterizzata da una concentrazione di alcuni elementi pesanti particolarmente alta. Questa caratteristica anomala è stata studiata da un gruppo di ricercatori di Astro3D (l’Arc Centre of Excellence for All Sky Astrophysics in 3 Dimensions dell’Australian National University), portando a ricostruire un nuovo percorso per la formazione di elementi pesanti nell’universo giovane, mai dimostrato prima con una tale evidenza osservativa diretta.
«La straordinarietà di questa stella, tremila volte più povera di “metalli” rispetto al Sole, sta nelle elevate abbondanze in alcuni elementi pesanti, come lo zinco, l’uranio e l’europio», spiega a Media Inaf Anna Fabiola Marino, ricercatrice all’Inaf di Arcetri e fra le autrici dello studio, pubblicato ieri su Nature, che illustra i risultati della scoperta. «Questo pattern chimico può essere riprodotto solo assumendo che questa stella si sia formata in un mezzo arricchito da una ipernova con con campo magnetico e rotazione elevati. È infatti la prima volta in assoluto che si osserva un pattern chimico compatibile con un oggetto simile».
E a lasciare ben pochi dubbi sul fatto che il mezzo nel quale ha avuto origine questa stella sia stato fornito da un’ipernova, «un’ipernova molto energetica», aggiunge un altro fra i coautori dello studio, il premio Nobel per la fisica del 2011 Brian Schmidt, è soprattutto «l’elevata abbondanza di zinco».
In particolare, potrebbe essere stata un’ipernova magnetorotante: l’esplosione di una singola stella di circa venticinque masse solari collassata su se stessa, amplificata dalla sua rotazione e da un intenso campo magnetico. L’esistenza delle ipernove è conosciuta dagli anni ’90, ma questa è la prima volta in cui, tramite l’osservazione accurata di una stella di per sé non particolarmente interessante, si dimostra che nella fase primordiale della nostra galassia è esistito un secondo modo – oltre alla fusione di due stelle di neutroni, non in grado di spiegare le abbondanze degli elementi chimici riportati in questo studio – di produrre l’esplosione di ipernove con stelle di grande massa, combinando la rapidissima rotazione con la presenza di fortissimi campi magnetici.
«I nostri calcoli indicano che la stella J200322.54-114203.3 si sia formata, circa 13 miliardi di anni fa, da una zuppa chimica che conteneva i resti di un’ipernova di questo tipo», dice il primo autore dello studio, David Yong, dell’Australian National University. «Nessuno aveva mai osservato prima un simile fenomeno».
Per saperne di più:
- Leggi su Nature l’articolo “r-Process elements from hypernova” di D. Yong, C. Kobayashi, G. S. Da Costa, M. S. Bessell, A. Chiti, A. Frebel, K. Lind, A. D. Mackey, T. Nordlander, M. Asplund, A. R. Casey, A. F. Marino, S. J. Murphy e B. P. Schmidt