Il lavoro di un telescopio solare è piuttosto impegnativo perché, fissando continuamente il Sole, viene bombardato costantemente dall’intensa luce emessa dalla nostra stella e da un flusso di particelle solari che, nel tempo, degradano le lenti e i sensori degli strumenti sviluppati per compiere le osservazioni. Per garantire che i dati inviati da tali strumenti siano sempre accurati, gli scienziati li ricalibrano periodicamente al fine di essere certi di avere tutto sotto controllo, tenendo conto di come lo strumento cambia nel tempo.
Lanciato nel 2010, il Solar Dynamics Observatory (Sdo) della Nasa ha fornito immagini ad alta definizione del Sole per oltre un decennio, che hanno regalato agli scienziati una vista dettagliata su vari fenomeni solari che possono alterare il clima spaziale e influenzare sia gli astronauti che la tecnologia sulla Terra e nello spazio. L’Atmospheric Imagery Assembly (Aia) è uno dei due strumenti di imaging a bordo di Sdo e osserva costantemente il Sole, catturando immagini a 10 lunghezze d’onda della luce ultravioletta ogni 12 secondi. Questo garantisce una ricchezza di informazioni senza uguali ma, come tutti gli strumenti di osservazione del Sole, nel tempo Aia si degrada e i dati devono essere calibrati di frequente.
Dal lancio di Sdo, per calibrare Aia gli scienziati hanno utilizzato razzi sonda. I razzi sonda sono razzi più piccoli che in genere trasportano solo pochi strumenti e compiono brevi voli nello spazio, generalmente di soli 15 minuti. I razzi sonda volano al di sopra dell’atmosfera terrestre, consentendo agli strumenti a bordo di vedere le lunghezze d’onda ultraviolette misurate da Aia. Occorre andare a quote così alte poiché queste lunghezze d’onda sono assorbite dall’atmosfera terrestre e non possono essere misurate da terra. Per calibrare Aia si confrontano i dati ultravioletti ottenuti dal razzo sonda con quelli misurati da Aia, apportando modifiche ai dati di Aia per tenere conto di eventuali differenze.
Tuttavia, esistono alcuni inconvenienti nel metodo di calibrazione dei razzi sonda. La prima è legata al fatto che i razzi sonda possono essere lanciati molto spesso ma Aia guarda costantemente il Sole. Ciò significa che ci sono tempi in cui la calibrazione di Aia potrebbe essere leggermente errata, tra ogni calibrazione effettuata con il razzo sonda. Inoltre, le missioni spaziali non sempre possono beneficiare dell’aiuto offerto dai razzi sonda. Luiz Dos Santos, fisico solare presso il Goddard Space Flight Center della Nasa a Greenbelt, nel Maryland, e primo autore dell’articolo, riguardo alla calibrazione ricorda che «è importante anche per le missioni nello spazio profondo, che non hanno la possibilità di eseguire la calibrazione usando i razzi. Stiamo affrontando due problemi contemporaneamente».
Con queste sfide in mente, gli scienziati hanno deciso di esaminare altre opzioni per calibrare lo strumento, con particolare riferimento alla costanza della calibrazione. L’apprendimento automatico, una tecnica utilizzata nell’intelligenza artificiale, sembra una soluzione perfetta.
Come suggerisce il nome, l’apprendimento automatico richiede lo sviluppo di un algoritmo che impara a svolgere il proprio compito in modo autonomo. Innanzitutto, utilizzando i dati di Aia i ricercatori hanno addestrato l’algoritmo per riconoscere le strutture solari e confrontarle. Per farlo, hanno fornito all’algoritmo le immagini dei voli di calibrazione del razzo sonda, comunicandogli a che livello fare la calibrazione. Dopo un numero sufficiente di questi esempi, hanno fornito all’algoritmo immagini simili per capire se l’algoritmo fosse in grado di identificare la calibrazione corretta. Con dati sufficienti, l’algoritmo ha imparato a identificare la calibrazione necessaria per ogni immagine.
Poiché Aia osserva il Sole a più lunghezze d’onda, i ricercatori possono utilizzare l’algoritmo per confrontare strutture specifiche a tutte le lunghezze d’onda osservate, in modo tale da rafforzare le sue valutazioni. Per iniziare, hanno insegnato all’algoritmo come appare un brillamento solare mostrandogli brillamenti solari a tutte le lunghezze d’onda di Aia, fino a quando non ha riconosciuto i brillamenti solari a tutte le frequenze. Quando il programma è in grado di riconoscere un brillamento solare senza alcun degrado, l’algoritmo determina l’entità del degrado dell’immagine e la calibrazione necessaria per correggerlo. In effetti, quando i dati di calibrazione virtuale sono stati confrontati con i dati di calibrazione del razzo sonda, si è visto che il programma di apprendimento automatico si è comportato in modo eccellente. Con questo nuovo processo, gli scienziati sono pronti a calibrare costantemente le immagini di Aia, anche tra un volo di calibrazione e l’altro, migliorando l’accuratezza dei dati di Sdo.
L’apprendimento automatico si è rivelato utile anche per comprendere meglio le condizioni più vicine a casa. Un gruppo di ricercatori guidati da Ryan McGranaghan – principal data scientist e ingegnere aerospaziale presso Astra Llc e Nasa Goddard Space Flight Center – ha utilizzato il machine learning per studiare la connessione tra il campo magnetico terrestre e la ionosfera terrestre. Utilizzando tecniche di data science su grandi volumi di dati, si possono applicare tecniche di apprendimento automatico per sviluppare un modello che aiuti a capire meglio come le particelle energizzate dallo spazio piovano nell’atmosfera terrestre, guidando il clima spaziale.
Con l’avanzare dell’apprendimento automatico, le sue applicazioni scientifiche si estenderanno a un numero sempre più alto di missioni. Nel prossimo futuro, ciò potrebbe significare che le missioni nello spazio profondo – che operano in luoghi in cui non sono possibili voli di razzi di calibrazione – potranno essere facilmente calibrate e potranno continuare a fornire dati accurati, anche quando si viaggia a distanze sempre maggiori dalla Terra.
Per saperne di più:
- Leggi su Astronomy & Astrophysics l’articolo “Multichannel autocalibration for the Atmospheric Imaging Assembly using machine learning” di Luiz F. G. Dos Santos, Souvik Bose, Valentina Salvatelli, Brad Neuberg, Mark C. M. Cheung, Miho Janvier, Meng Jin, Yarin Gal, Paul Boerner and Atılım Güneş Baydin
- Leggi su Space Weather l’articolo “Toward a Next Generation Particle Precipitation Model: Mesoscale Prediction Through Machine Learning (a Case Study and Framework for Progress)” di Ryan M. McGranaghan, Jack Ziegler, Téo Bloch, Spencer Hatch, Enrico Camporeale, Kristina Lynch, Mathew Owens, Jesper Gjerloev, Binzheng Zhang, Susan Skone