Nel profondo del tempo, quando l’universo era ancora bambino, circa 13,5 miliardi di anni fa, da un mare calmo e oscuro costituito solo da idrogeno ed elio apparvero le prime stelle. Si pensa che fossero stelle più massicce del nostro Sole, dunque destinate a morire esplodendo come supernove e diffondendo nell’ambiente circostante i primi elementi chimici pesanti forgiati durante la loro evoluzione: carbonio, ossigeno, ferro, zinco… La ricerca delle tracce delle prime stelle è ad oggi una delle frontiere più affascinanti dell’astrofisica e della cosmologia. Dal gas arricchito di elementi chimici derivanti dall’esplosione di quei primi astri sono infatti nate le stelle di seconda generazione. Di queste ultime, le stelle di piccola massa sono sopravvissute fino ai giorni nostri.
In questo quadro si colloca la ricerca internazionale pubblicata il 13 luglio scorso su The Astrophysical Journal Letters da un team, guidato dall’Università di Firenze, che ha portato a identificare le tracce chimiche dell’esplosione di una prima supernova, di altissima energia, in una stella di seconda generazione, denominata AS0039, presente nella galassia nana di Sculptor, che gravita attorno alla Via Lattea. La firma chimica di questo tipo di supernove primordiali energetiche è una novità assoluta per gli studiosi.
«Altre volte le ricerche hanno provato, attraverso lo studio delle tracce chimiche di stelle di seconda generazione, l’esistenza di stelle primigenie, ma finora tutti i dati analizzati hanno indicato che la stella primordiale progenitrice è deflagrata con una bassa energia di esplosione», spiegano Asa Skuladottir e Stefania Salvadori, del Dipartimento di fisica e astronomia dell’Università di Firenze e associate all’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), che hanno guidato il lavoro. «In questo caso, invece, siamo in presenza di una stella secondaria dalle caratteristiche chimiche eccezionali: povera di ferro, AS0039 non è neanche ricca di carbonio e ha una quantità estremamente bassa di magnesio rispetto ad altri elementi chimici più pesanti, come il calcio. In sostanza, è la stella più povera di elementi chimici pesanti mai scoperta al di fuori della nostra galassia. La spiegazione della sua unicità è che l’antichissimo fossile stellare studiato si è formato in un ambiente arricchito dai prodotti chimici rilasciati da una prima stella di circa 20 masse solari esplosa come ipernova, cioè con un’energia 10 volte superiore a quella di supernove normali di massa analoga».
«Per giungere a questo fondamentale risultato», prosegue Salvadori, vincitrice nel 2018 di un Erc starting grant per il progetto Nefertiti sull’origine delle prime stelle e delle prime galassie, «abbiamo usato il metodo della spettroscopia ad alta risoluzione e sono stati analizzati oltre 16mila modelli di arricchimento da prime stelle. La ricerca ha coinvolto anche ricercatori di Svezia, Olanda, Gran Bretagna, Francia e Spagna, e porta a una fondamentale acquisizione: lo studio dimostra che l’analisi dei fossili stellari ci permette non solo di determinare indirettamente la massa delle prime stelle, ma ci fornisce anche informazioni cruciali sull’energia delle prime esplosioni di supernove. E quindi sui primi passi dell’universo».
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal Letters l’articolo “Zero-metallicity hypernova uncovered by an ultra metal-poor star in the Sculptor dwarf spheroidal galaxy”, di Ása Skúladóttir, Stefania Salvadori, Anish M. Amarsi, Eline Tolstoy, Michael J. Irwin, Vanessa Hill, Pascale Jablonka, Giuseppina Battaglia, Else Starkenburg, Davide Massari, Amina Helmi e Lorenzo Posti