Anche stavolta l’ha fatta franca, la relatività generale. Ci provano continuamente a metterla in crisi, fisici e astrofisici, ma finora nessun tentativo è andato a buon fine. Ecco l’ultimo in ordine di arrivo: i ricercatori del Flatiron Institute, della Columbia University e della Princeton University hanno dimostrato che i campi magnetici intorno ai buchi neri decadono rapidamente e, quindi, che il cosiddetto teorema “no-hair” (letteralmente, “senza-capelli”) della relatività generale non viene violato. Lo studio è stato pubblicato questa settimana su Physical Review Letters.
Vediamo di che si tratta. Secondo i principi della relatività generale, un buco nero è una ricetta a soli tre ingredienti: massa, rotazione e carica elettrica. Null’altro. È sufficiente (e necessario) conoscere solo queste tre grandezze fisiche per caratterizzare in modo completo questo oggetto celeste estremo.
Cosa c’entrino i capelli (o meglio, la loro assenza) con questa teoria è presto detto. Fra le grandezze fisiche caratterizzanti oggetti celesti (come stelle, pianeti e galassie) spesso troviamo il campo magnetico, e i buchi neri non ne sono esenti. Alcuni ce l’hanno in dotazione dal principio, poiché nascono dal collasso di stelle o oggetti compatti magnetizzati, altri possono diventarlo fondendosi con una stella di neutroni altamente magnetizzata, e altri ancora possono essere circondati da dischi di accrescimento di plasma – gas così eccitato che gli elettroni sono separati dai loro atomi – che può sostenere il campo magnetico. Perché la legge “no-hair” regga, dunque, un simile campo deve scomparire rapidamente.
«La “calvizie” dei buchi neri è una pietra miliare della relatività generale», dice Bart Ripperda del Center for Computational Astrophysics al Flatiron Institute di New York, ricercatore postdoc a Princeton e coautore dello studio. «Se un buco nero mantiene a lungo un campo magnetico, allora questa regola viene violata. Per fortuna, è arrivata una soluzione dalla fisica del plasma che ha salvato l’ipotesi del “no-hair” dalla rottura».
Utilizzando simulazioni al supercomputer di un buco nero circondato dal plasma, gli autori hanno dimostrato che le linee del campo magnetico intorno al buco nero si rompono e si riconnettono rapidamente, creando sacche piene di plasma che si lanciano nello spazio o cadono nelle fauci del buco nero. Questo processo prosciuga rapidamente il campo magnetico e potrebbe spiegare i brillamenti osservati vicino ai buchi neri supermassicci.
«I fisici teorici non ci avevano pensato, perché di solito collocano i loro buchi neri nel vuoto», spiega Ripperda. «Ma nella vita reale c’è spesso plasma, e il plasma può sostenere e portare campi magnetici. Questo deve trovare il modo di adattarsi anche con l’ipotesi del “no-hair”».
Ci sono volute 10 milioni di ore di Cpu per sfornare tutti i calcoli necessari a raggiungere una risoluzione sufficiente nella fisica del plasma e nella modellazione general-relativistica del campo magnetico attorno al buco nero. Le simulazioni servivano a mostrare come il campo magnetico intorno a un buco nero evolve nel tempo: all’inizio, il campo si estende in un arco dal polo nord del buco nero al suo polo sud. Poi le interazioni all’interno del plasma fanno sì che il campo si gonfi verso l’esterno. Questa apertura separa la singole linee di campo magnetico che si irradiano verso l’esterno dal buco nero (da qui la similitudine con i capelli). La direzione delle linee di campo (verso il buco nero o verso lo spazio) varia continuamente, e quelle fra loro vicine si connettono, creando un intreccio. Il vuoto presente tra due punti di connessione si riempie di plasma, che – eccitato dal campo magnetico – viene lanciato verso il centro del buco nero o verso l’esterno, facendo perdere energia al campo magnetico e finendo per dissiparlo. Il tutto, infine, avviene in un tempo estremamente breve: secondo i calcoli, il buco nero esaurirebbe il suo campo magnetico a un tasso del 10 per cento della velocità della luce.
A livello osservativo, come dicevamo, questo processo produce dei brillamenti come quelli visti in associazione al buco nero supermassiccio al centro della galassia Messier 87. I primi confronti fra le simulazioni e i dati – concludono i ricercatori – sembrano promettenti. E se davvero i brillamenti energetici fossero un fenomeno interamente allineato alla riconnessione magnetica, essi sarebbero davvero diffusi, e osservarli sarebbe solo questione di poco.
Per saperne di più:
- Leggi su Physical Review Letters l’articolo “Magnetic Hair and Reconnection in Black Hole Magnetospheres”, di Ashley Bransgrove, Bart Ripperda e Alexander Philippov
Guarda il video della simulazione: