Betelgeuse, la supergigante rossa della costellazione di Orione, torna a far parlare di sé. La stella, quasi mille volte più grande del Sole, si trova a circa 500 anni luce dalla Terra ed è visibile a occhio nudo. Al centro dell’attenzione è ancora una volta la sua luminosità, che da ottobre 2019 a marzo 2020 ha mostrato un misterioso calo di intensità, facendo arrovellare gli astronomi di tutto il mondo.
Nonostante tutte le giganti rosse siano soggette a periodiche e irregolari variazioni di luminosità, la “fiochezza” a cavallo tra 2019 e 2020 è stata la più significativa degli ultimi cinquant’anni, tanto da meritarsi l’appellativo di great dimming – letteralmente ‘grande attenuazione’. Sulle sue cause sono state avanzate varie ipotesi: dalla polvere alle macchie stellari, fino a considerare plausibile che la stella stesse vivendo la fase precedente all’esplosione. Un nuovo studio, pubblicato su Nature Communications e guidato da Zhao Gang dell’Osservatorio astronomico nazionale della Cina (Naoc) e dell’Accademia cinese delle scienze (Cas), in collaborazione con l’Università di Shandong (Cina) e l’Università del Missouri (Usa), fa finalmente chiarezza.
Cosa c’è quindi all’origine del fenomeno che ha portato al temporaneo calo di luminosità? È scongiurata l’ipotesi di una fase “pre-supernova” – che avrebbe portato la stella a un’esplosione nel giro di circa 300.000 anni – perché, dopo un picco di minimo tra gennaio e febbraio 2020, la stella ha ripreso a brillare. Ora gli scienziati hanno studiato gli spettri ad alta risoluzione del vicino infrarosso di Betelgeuse – ottenuti dall’Osservatorio Weihai dell’Università di Shandong il 31 gennaio, 19 marzo, 4 e 6 aprile 2020 – coprendo la fase di oscuramento e post-oscuramento.
«Il nostro metodo si basa sulla misurazione delle righe molecolari dell’ossido di titanio (TiO) e del cianuro (CN) negli spettri stellari. Più una stella è fredda, più queste molecole possono formarsi e sopravvivere nella sua atmosfera. In un’atmosfera più calda, queste molecole si dissociano facilmente e non sopravvivono», spiega Sofya Alexeeva, prima autrice dello studio.
La temperatura era di 3476 kelvin il 31 gennaio 2020, per poi risalire fino a raggiungere 3646 kelvin il successivo 6 aprile. La ricercatrice sostiene che questo cambiamento di temperatura basti per spiegare il sorprendente oscuramento. Secondo gli autori, l’unica ipotesi percorribile è quella di una grande macchia stellare sulla superficie di Betelgeuse, all’origine di un calo di temperatura di 170 kelvin che, a sua volta, ha causato l’affievolimento dell’astro.
Le macchie stellari, come quelle solari, sono regioni della fotosfera – cioè della superficie luminosa della stella – caratterizzate da una temperatura inferiore e da un’intensa attività magnetica. La loro natura è ancora oggetto di studio, ma sappiamo che sono il corrispettivo visibile dei tubi di flusso magnetico che dal nucleo risalgono per “galleggiamento” verso la superficie. A causa del forte campo magnetico, infatti, in questi tubi il plasma (gas ionizzato) viene respinto all’esterno degli stessi, rendendoli più leggeri del mezzo circostante e permettendo che emergano verso gli strati più esterni della stella.
Questa nuova tesi sembrerebbe quindi scalzare quella del “velo polveroso” che ha offuscato Betelgeuse e che poteva essersi formato per espulsione di materia dall’astro stesso.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Communications l’articolo “Spectroscopic evidence for a large spot on the dimming Betelgeuse”, di Sofya Alexeeva, Gang Zhao, Dong-Yang Gao, Junju Du, Aigen Li, Kai Li e Shaoming Hu