MENO DELETERI DI QUANTO SI PENSASSE PER LE ATMOSFERE DEGLI ESOPIANETI

Via di fuga dai superflare delle nane rosse

Dall’analisi delle curve di luce di alcune nane rosse osservate con il Transiting Exoplanet Survey Satellite, un team di astronomi ha scoperto che i superflare tendono a verificarsi al di sopra di circa 55 gradi di latitudine: un risultato che ha rilevanti implicazioni per i modelli dei campi magnetici delle stelle e per l’abitabilità degli esopianeti che orbitano loro intorno. Tutti i dettagli su Mnras

     09/08/2021

I brillamenti delle piccole stelle espellono particelle che possono alterare ed evaporare le atmosfere dei pianeti che gli orbitano intorno. Nuove scoperte suggeriscono che i grandi superflare tendono a originarsi ad alte latitudini, risparmiando i pianeti che orbitano attorno all’equatore stellare. Crediti: Leibniz Institute for Astrophysics Potsdam/J. Fohlmeister

Gli astronomi sospettano da tempo che i superflare – o super-brillamenti, la cui energia è equivalente a un milione di volte o più quella caratteristica dei comuni brillamenti solari – possano causare danni permanenti alle atmosfere, e quindi all’abitabilità, degli esopianeti. Un nuovo studio pubblicato sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society sostiene che in realtà i superflare costituiscono un pericolo limitato per i sistemi planetari. «Sappiamo che si tratta di grandi brillamenti, molto più grandi di quelli che vediamo sul Sole», riporta il co-autore James Davenport, dell’Università di Washington. «Vediamo i superflare verificarsi ad alte latitudini, vicino ai poli della stella, il che significa che i lampi di radiazione non sono diretti verso i percorsi degli esopianeti orbitanti».

I brillamenti sono esplosioni magnetiche che avvengono sulla fotosfera delle stelle, che espellono intense radiazioni elettromagnetiche nello spazio. Grandi brillamenti come i superflare emettono una cascata di particelle energetiche che possono colpire gli esopianeti in orbita attorno alla stella e, nel processo, alterare o addirittura far evaporare le atmosfere planetarie.

Utilizzando le osservazioni ottiche del Transiting Exoplanet Survey Satellite (Tess) il team, guidato dagli astronomi del Leibniz Institute for Astrophysics Potsdam, ha studiato grandi superflare sulle nane rosse, una classe di stelle giovani e piccole che hanno una temperatura e una massa inferiori a quelle del Sole. Attorno a questo tipo di stelle sono stati trovati molti esopianeti. Una domanda ricorrente è se siano o no abitabili, dal momento che le nane rosse sono più attive del Sole e manifestano brillamenti molto più frequenti e intensi.

Il team ha sviluppato un metodo per determinare la posizione, sulla superficie delle stelle, in cui i brillamenti hanno origine, analizzando i cosiddetti “brillamenti di luce bianca” (whitelight flares) su stelle nane rosse in rapida rotazione. Questo tipo di brillamenti dura così a lungo che la loro luminosità, come osservato da Tess, varia mentre ruotano dentro e fuori la linea di vista della superficie stellare. «Dal momento che non possiamo vedere le superfici di queste stelle, determinare le latitudini dei brillamenti caldi e delle macchie fredde è sempre stato tra il difficile e l’impossibile», spiega Davenport, che è anche direttore associato del Data Intensive Research in Astrophysics and Cosmology Institute – o DiRac – presso l’Università di Washington. «Questo lavoro combina una modellazione dei dati intelligente con i dati straordinariamente precisi che provengono da missioni come Tess, e trova qualcosa di straordinario».

Elaborando le curve di luce di oltre tremila nane rosse osservate da Tess, il team ha trovato brillamenti rotanti. Tra queste stelle, ne hanno trovate quattro con flare abbastanza grandi per il loro nuovo metodo. Il team ha utilizzato la forma precisa della curva di luce di ciascuna stella per dedurre la latitudine della regione del brillamento e ha scoperto che tutti e quattro i brillamenti si sono verificati al di sopra di circa 55 gradi di latitudine, ossia molto più vicino al polo rispetto ai brillamenti e alle macchie sulla superficie del Sole, che di solito si verificano al di sotto dei 30 gradi di latitudine. Il team ha anche dimostrato che il loro metodo di rilevamento non ha alcun bias rispetto a una particolare latitudine stellare.

Questi risultati, anche con solo quattro brillamenti, sono significativi: se i brillamenti fossero distribuiti equamente sulla superficie stellare, le probabilità di trovare quattro brillamenti di fila a latitudini così elevate sarebbero di circa 1 su 1000.

Il risultato ottenuto dal team ha implicazioni rilevanti per i modelli dei campi magnetici delle stelle e per l’abitabilità degli esopianeti che gli orbitano intorno. «Abbiamo scoperto che i brillamenti estremamente grandi vengono emessi da regioni vicino ai poli delle stelle nane rosse, piuttosto che al loro equatore, come avviene tipicamente sul Sole», ribadisce la prima autrice Ekaterina Ilin, studentessa di dottorato a Leibniz. «Gli esopianeti che orbitano sullo stesso piano dell’equatore della stella, come i pianeti del Sistema solare, potrebbero quindi essere ampiamente protetti da tali superflare, poiché questi sono diretti verso l’alto o verso il basso, fuori dal sistema di esopianeti. Ciò potrebbe migliorare le prospettive di abitabilità degli esopianeti attorno a piccole stelle ospiti, che altrimenti sarebbero molto più minacciate dalla radiazione energetica e dalle particelle associate ai brillamenti rispetto ai pianeti del Sistema solare».

Il rilevamento di questi brillamenti è un’ulteriore prova che, vicino ai poli delle stelle in rapida rotazione, si formano concentrazioni forti e dinamiche di campi magnetici stellari che possono manifestarsi come macchie scure e brillamenti. L’esistenza di tali “macchie polari” è stata a lungo sospettata da tecniche di ricostruzione indiretta come l’imaging Doppler delle superfici stellari, ma finora non è stata rilevata direttamente. «La natura ci sta dicendo qualcosa di importante su come queste piccole stelle generalmente giovani producono campi magnetici molto più forti del Sole», conclude Davenport. «Questo ha implicazioni enormi su come rivolgiamo lo sguardo ai pianeti che gli orbitano intorno».

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