Marte, oggi un pianeta arido e secco, non è sempre stato così: tre miliardi e mezzo di anni fa era piuttosto simile alla Terra, con vasti oceani di acqua liquida che ne coprivano la superficie e un’atmosfera più densa e umida di quella odierna. Parte di questa acqua si trova attualmente nelle calotte ghiacciate ai poli oppure nella crosta del pianeta, ma una porzione significativa è andata perduta nel corso dei miliardi di anni.
Negli anni Settanta, le sonde Mariner 6 e 7 hanno fornito i primi dati per studiare queste “fughe di gas”, che gli scienziati avevano inizialmente interpretato come un fenomeno lento e costante. Tuttavia, da osservazioni più recenti è emersa una forte variabilità stagionale: durante l’estate, l’atmosfera è più calda e il vapore acqueo tende a salire di più. In alto, l’atmosfera è più tenue e le molecole sono più vulnerabili alla radiazione ultravioletta proveniente dal Sole, che separa gli atomi di idrogeno da quelli di ossigeno e ne favorisce la fuoriuscita.
Su Marte, però, non tutte le estati sono uguali: si registrano picchi di perdita di idrogeno nell’estate dell’emisfero sud – che si verifica in prossimità del perielio, il punto più vicino al Sole lungo l’orbita del pianeta – superiori da dieci a cento volte rispetto ai valori misurati nell’estate dell’emisfero nord. Oltre alle variazioni stagionali, da tempo si indaga anche sul ruolo delle tempeste di polvere nel favorire questo processo, in particolare quelle globali che avvolgono il pianeta ogni 1–3 anni marziani: la polvere riscalda l’atmosfera, innescando analoghe fughe di idrogeno.
Un nuovo studio, pubblicato oggi sulla rivista Nature Astronomy, svela l’importanza in questo bilancio di un fattore ampiamente sottovalutato fino a ora: le tempeste di polvere su scala regionale. Più piccole ma più frequenti rispetto alle loro controparti globali, queste tempeste di breve durata avrebbero, al giorno d’oggi, un ruolo chiave nel favorire la perdita di idrogeno e con essa l’inesorabile inaridirsi del Pianeta rosso. Secondo i nuovi risultati, Marte perde il doppio della quantità di acqua durante una tempesta di polvere regionale rispetto a una intera stagione estiva nell’emisfero sud in assenza di tempeste regionali.
Finora, era stata la mancanza di dati che non aveva permesso ai ricercatori di studiare in dettaglio le tempeste di polvere regionali. Tutto è cambiato all’inizio del 2019, quando una coincidenza più unica che rara vede le orbite di tre sonde spaziali intorno a Marte – Mars Reconnaissance Orbiter (Mro) e Maven della Nasa, e Trace Gas Orbiter (Tgo) della missione ExoMars, una collaborazione tra Esa e Roscosmos – allinearsi proprio in occasione di uno di questi “polveroni”. È stato così possibile osservare la regione interessata dalla tempesta, scatenatasi a inizio gennaio e durata per diverse settimane, con ben quattro strumenti: Mars Climate Sounder su Mro, Imaging Ultraviolet Spectrograph su Maven, e a bordo del Tgo sia Nomad (Nadir and Occultation for Mars Discovery), strumento a guida belga-spagnola-italiana-britannica, il cui contributo italiano è finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana, che lo strumento a guida russa Acs (Atmospheric Chemistry Suite).
«Abbiamo davvero catturato l’intero sistema in azione», commenta il primo autore dell’articolo, Michael S. Chaffin dell’Università del Colorado a Boulder.
Combinando i dati dei quattro strumenti, i ricercatori hanno potuto misurare la temperatura e la concentrazione di polvere e ghiaccio d’acqua dalla superficie fino a circa cento chilometri di altitudine con Mro, la concentrazione di vapore acqueo e ghiaccio nello stesso intervallo di altitudine con Tgo, e la quantità di idrogeno – derivante dalle molecole di vapore acqueo “rotte” dalla radiazione solare – fino a mille chilometri di altitudine con Maven. In particolare, lo strumento Nomad a bordo di Tgo misura con estrema precisione l’abbondanza dei gas presenti a varie quote nell’atmosfera di Marte attraverso la tecnica dell’occultazione solare, osservando la luce solare che passa attraverso l’atmosfera per misurare piccolissime quantità di molecole di gas, incluso il vapore d’acqua, presenti alle diverse quote.
«Nello studio pubblicato oggi, i dati di Nomad sono stati utilizzati per misurare l’abbondanza del vapore acqueo prima e durante una tempesta di polvere regionale», spiega Giancarlo Bellucci, ricercatore Inaf a Roma, co-principal investigator dello strumento Nomad e co-autore della ricerca.
Insieme ad Acs, Nomad ha mostrato la presenza di vapore acqueo nella bassa atmosfera prima dell’inizio della tempesta di polvere; poi, mentre questa si alzava, riscaldando l’atmosfera e innescando i venti, gli strumenti hanno rivelato il vapore acqueo catapultato ad altitudini più elevate. «Si è visto che l’acqua, a causa della tempesta di polvere, viene pompata dalla troposfera fino a quote di 60 km. A queste altezze, le molecole d’acqua vengono spezzate dalla radiazione solare e disperse nello spazio. Essendo le tempeste regionali più frequenti di quelle globali, questo meccanismo può spiegare come Marte abbia perso nel tempo gran parte della sua acqua», aggiunge Bellucci.
Dopo l’inizio della tempesta, gli strumenti a bordo di Tgo hanno misurato una quantità di acqua superiore di dieci volte nella parte centrale dell’atmosfera centrale. Queste osservazioni coincidono con quanto rilevato da Mro: il radiometro a bordo della sonda ha infatti misurato l’aumento delle temperature nell’atmosfera mentre la polvere si accumulava sopra Marte.
«Gli strumenti dovrebbero raccontare tutti la stessa storia, e lo fanno», sottolinea il co-autore Geronimo Villanueva del centro Nasa Goddard Space Flight Center a Greenbelt, nel Maryland.
Mro ha anche visto scomparire le nuvole di ghiaccio d’acqua, come previsto poiché il ghiaccio non poteva più condensarsi vicino alla superficie, che nel frattempo si era riscaldata. Una ulteriore conferma è arrivata dalle immagini dello spettrografo ultravioletto a bordo di Maven: le nuvole di ghiaccio, visibili prima della tempesta sopra i vulcani nella regione marziana di Tharsis e scomparse completamente durante la tempesta, sono riapparse subito dopo. Le osservazioni di Maven hanno inoltre catturato un’aurora nell’alta atmosfera accompagnata da un aumento dell’idrogeno del cinquanta percento durante la tempesta, a testimonianza della rottura del vapore acqueo in idrogeno e ossigeno da parte della radiazione solare; l’aumento di idrogeno corrispondeva all’acqua misurata, una settimana prima, a 60 km di altitudine, da cui secondo gli scienziati si sarebbe originato l’idrogeno.
«Questo articolo ci aiuta a tornare virtualmente indietro nel tempo e a dire: “Ok, ora abbiamo un altro modo per perdere acqua che ci aiuterà a mettere in relazione la poca acqua che abbiamo oggi su Marte con l’enorme quantità di acqua che avevamo in passato”», conclude Villanueva.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “Martian Water Loss to Space Enhanced by Regional Dust Storms” di M.S. Chaffin, D.M. Kass, S. Aoki, A.A. Fedorova, J. Deighan, K. Connour, N.G. Heavens, A. Kleinböhl, S.K. Jain, J.-Y. Chaufray, M. Mayyasi, J.T. Clarke, A.I.F. Stewart, J.S. Evans, M.H. Stevens, W E. McClintock, M. Crismani, G. M. Holsclaw, F. Lefevre, D. Y. Lo, F. Montmessin6, N.M. Schneider, B. Jakosky, G. Villanueva, G. Liuzzi, F. Daerden, I.R. Thomas, J.-J. Lopez-Moreno, M.R. Patel, G. Bellucci, B. Ristic, J.T. Erwin, A.C. Vandaele, A. Trokhimovskiy, O.I. Korablev