Quelli che vedete nell’immagine qui a fianco sono getti di onde radio emessi dal buco nero supermassiccio al centro di Hercules A, una galassia dal nucleo attivo situata nella costellazione di Ercole a una distanza di ben due miliardi di anni luce da noi. Non è una rappresentazione artistica: quei getti sono proprio “la cosa vera” – l’immagine che emerge dai dati. Non una rappresentazione artistica, dicevamo, ma nemmeno una tradizionale fotografia. Essendo invisibili ai telescopi ottici, per “vedere” questi getti occorrono infatti delle antenne radio. Antenne radio speciali, sintonizzate però su frequenze normalissime: più o meno attorno al tradizionale intervallo 88-108 MHz usato dalle stazioni che trasmettono in FM qui sulla Terra. Ma c’è di più: per produrre immagini così dettagliate di galassie distanti miliardi di anni luce, una singola antenna radio non basta. Occorre una tecnica – detta interferometria – che di antenne ne richiede decine. A volte centinaia o migliaia. E devono trovarsi lontane fra loro. Ebbene, per ricostruire l’immagine qui in apertura – e le altre che vedete nell’animazione qui sotto – sono state impiegate oltre 70mila antenne distribuite su otto paesi europei: le antenne della rete LoFar. Il risultato, presentato in una serie di dieci articoli messi online oggi e che saranno pubblicati a partire da domani su Astronomy & Astrophysics, è da record: una risoluzione di 300 milliarcosecondi, la più alta mai raggiunta a queste frequenze.
«Si tratta delle prime immagini radio a bassa frequenza mai ottenute con una qualità e una risoluzione angolare paragonabili a quelle prodotte dal telescopio Hubble in banda ottica. Per riuscirci», spiega a Media Inaf il primo autore di uno dei dieci articoli, l’astrofisico Etienne Bonnassieux, ricercatore postdoc all’Università di Bologna e associato Inaf, «abbiamo dovuto capire come correggere gli effetti della ionosfera, che causano la de-correlazione dei segnali radio ricevuti dalle stazioni LoFar internazionali: è un disturbo simile al seeing per i telescopi da terra, ma le nostre stazioni sono distanti fra loro anche molte centinaia di km».
E cosa ci dicono queste immagini? Grazie al fatto che le onde radio – a differenza della normale luce visibile – riescono ad attraversare senza problemi le nubi di gas e polvere che avvolgono molti oggetti astronomici, le antenne di LoFar consentono agli astronomi di vedere ciò che avviene nelle regioni di formazione stellare, per esempio. O nei nuclei galattici attivi, appunto, dove albergano i buchi neri supermassicci. Buchi neri che divorano la materia in caduta verso il loro orizzonte degli eventi, innescando in tal modo l’emissione dei potentissimi getti radio captati dalle antenne di LoFar, permettendoci di osservarne in dettaglio la struttura interna e di svelarne aspetti fino a oggi sconosciuti. La risoluzione ottenuta è un record anche per lo stesso LoFar: queste immagini sono 20 volte più nitide di quelle che il radiotelescopio europeo era riuscito a produrre in precedenza. Ciò grazie al modo innovativo in cui il team di scienziati ha utilizzato l’array – vale a dire, l’insieme di antenne. Di solito, per produrre immagini a risoluzione standard, pur acquisendo i dati con tutte le antenne, vengono correlati solo i segnali da quelle situate nei Paesi Bassi, il che consente di ottenere con l’interferometria un “telescopio virtuale” con uno specchio di raccolta da 120 km di diametro – tale è infatti la massima distanza fra le antenne olandesi. Utilizzando invece i segnali di tutte e 70mila le antenne europee, com’è stato fatto in questo caso, è come se il diametro dello specchio virtuale fosse aumentato fino a quasi 2000 km, incrementando così la risoluzione di circa venti volte.
L’elevato numero d’antenne e l’ampia estensione dell’area nella quale sono disposte sono però solo due dei requisiti necessari per ottenere immagini così nitide. Occorre anche che le 70mila antenne funzionino come se fossero un’antenna sola, dunque è indispensabile correlare il segnale acquisito da ciascuna di esse. A differenza degli array convenzionali, che per produrre immagini correlano i segnali dalle varie antenne in tempo reale, i segnali raccolti da ciascuna antenna di LoFar vengono prima digitalizzati, poi inviati al processore centrale e infine combinati per creare un’immagine. Ogni immagine di LoFar è dunque il risultato della combinazione dei segnali di oltre 70mila antenne, il che implica enormi potenze di calcolo: parliamo, per una singola immagine, di oltre 13 terabit di dati grezzi al secondo – l’equivalente di trecento dvd – da elaborare.
E non siamo che all’inizio. «Quello che vogliamo fare adesso», anticipa infatti a Media Inaf un altro fra gli autori degli articoli pubblicati su A&A, l’astrofisico dell’Inaf di Bologna Gianfranco Brunetti, coordinatore italiano della collaborazione LoFar, «è mappare ampie aree di cielo ad alta risoluzione angolare. In questo caso una difficoltà è rappresentata dalle grandi richieste computazionali: sarà infatti necessario riuscire a distribuire efficacemente su supercomputer i calcoli dei complessi algoritmi per l’analisi dei dati,. Questa è la nuova sfida. Pensate che oggi per mappare ad alta risoluzione angolare un singolo puntamento LoFar a 140 MHz – un’area del cielo di 2.5×2.5 gradi, dunque – servono circa settemila ore di calcolo su un nodo di un cluster di ultima generazione».
A proposito di calcolo, va infine sottolineato che, oltre ai risultati scientifici, il team di LoFar ha reso pubblici anche i suoi algoritmi – e in particolare la cosiddetta pipeline di analisi dei dati, descritta in dettaglio in uno degli articoli pubblicati su A&A, così da consentire a chiunque di produrre immagini ad alta risoluzione con relativa semplicità. «Il nostro obiettivo», conclude a questo proposito un’altra delle scienziate del team di LoFar, la radioastronoma Leah Morabito della Durham University, «è mettere la comunità scientifica in grado di utilizzare l’intera rete europea di telescopi LoFar per produrre scienza, senza che si sia per questo costretti a impiegare anni per diventare esperti».
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