Avete presente la sensazione che si prova quando si guida l’artiglio meccanico fino a tuffarsi in un mare di pupazzi, lo si vede chiudersi su quello desiderato, sollevarsi e realizzare che le lunghe dita fredde non hanno trattenuto nulla? Frustrazione. La stessa che, almeno in un primo momento, deve aver colto i membri del team della Nasa quando hanno realizzato che la provetta del campione raccolto da Perseverance era vuota.
Ma andiamo con ordine e vediamo che è successo, anche se vi anticipo già che la frustrazione in questo caso è durata poco, perché lo spirito investigativo di chi è abituato a fare ricerca ha naturalmente prevalso.
Al sol 164, Perseverance ha compiuto il suo primo carotaggio sul Pianeta rosso, ha elaborato i dati relativi al campione e li ha inviati diligentemente a terra. Il 6 agosto, più di 90 ingegneri e scienziati, che hanno lavorato anni per prepararsi a questo momento, si sono riuniti online per riceverli. I dati hanno mostrato che il Corer ha di fatto raggiunto la profondità comandata (7 centimetri), oltre che l’immagine di un bel foro sulla superficie marziana e della provetta del campione, correttamente trasferita dal Corer all’Adaptive Caching Assembly (Aca), sigillata e conservata.
Purtroppo però l’euforia iniziale ha presto lasciato lo spazio allo sgomento, quando il team ha capito che la provetta del campione era vuota. Cos’è successo?
Due giorni di analisi dei dati e ulteriori osservazioni hanno rivelato che durante il carotaggio non è avvenuto nulla di insolito rispetto ai test effettuati a terra, dove sono state raccolte più di 100 carote da una serie di rocce di prova. Inoltre, l’osservazione della zona circostante non ha evidenziato la presenza di alcun nucleo roccioso sulla superficie marziana dove ha lavorato il rover.
Le misurazioni effettuate in corrispondenza del buco portano a credere che l’attività di carotaggio in questa insolita roccia abbia prodotto solo polvere e piccoli frammenti che non sono stati trattenuti a causa delle loro dimensioni e della mancanza di un nucleo significativo del campione. Nella parte inferiore del foro è visibile del materiale, ed è probabile che sia proprio quello il materiale del nucleo desiderato, oppure nel mucchietto di polvere intorno al buco, o in entrambi i punti.
«Da un punto di vista ingegneristico il processo di campionamento è avvenuto in maniera del tutto nominale, dimostrando la capacità del rover di eseguire delle operazioni molto complesse in totale autonomia», commenta a Media Inaf Teresa Fornaro, ricercatrice all’Inaf di Firenze e unica italiana tra i 13 participating scientist della missione. «Purtroppo però la natura della roccia scelta per il campionamento non ha aiutato. Sembra infatti che il campione si sia polverizzato durante il carotaggio, cosa che non era stata osservata nei test effettuati in laboratorio. Marte non smette mai di sorprendere! Il prossimo tentativo di campionamento verrà effettuato su una roccia più resistente».
Questi inconvenienti fanno parte della natura stessa dell’esplorazione: un risultato specifico non è mai garantito, non importa quanto ci si prepara. Ora bisognerà attendere i primi di settembre, quando verrà fatto il prossimo tentativo di campionamento a South Seitah dove, sulla base delle immagini del rover e di Ingenuity, si trovano rocce sedimentarie che si prevede si comportino come le rocce terrestri sulle quali sono stati svolti i test.