Si chiama supersolidità ed è uno stato della materia inseguito dai fisici per decenni. Uno stato quantistico dalle proprietà quasi magiche: un supersolido, infatti, possiede contemporaneamente le proprietà di un solido – con gli atomi disposti in modo ordinato, a formare una struttura cristallina – e quelle di un superfluido – in particolare, l’assenza di attrito. Un po’ come un cubetto di ghiaccio che scivola sull’acqua, o l’acqua che scivola su un cubetto di ghiaccio, volendo cercare un’analogia, ma con i singoli atomi che sono ciascuno e contemporaneamente acqua e ghiaccio. Uno stato difficile anche solo da immaginare, figuriamoci da realizzare. Eppure nel laboratorio del Dipartimento di fisica sperimentale dell’Università di Innsbruck, in Austria, ci sono riusciti.
Ci sono riusciti usando un gas quantistico ultrafreddo – parliamo di appena un centinaio di nanokelvin, dunque al confine con lo zero assoluto – di atomi di disprosio: un elemento del gruppo delle terre rare che, a basse temperature, è fortemente magnetico. E quello che sono riusciti a produrre rappresenta una novità assoluta: non una singola fila di atomi – dunque un supersolido unidimensionale, già realizzato due anni fa – bensì una matrice, ovvero un supersolido bidimensionale (vedi immagine in apertura). Un reticolo di quelle che gli scienziati chiamano droplets: “goccioline” addensate in un mare di gas quantistico ultrafreddo. Con una particolarità prettamente quantistica, e del tutto controintuitiva, che ne sancisce appunto la supersolidità: nonostante gli addensamenti, gli atomi di disprosio sono indistinguibili, in quanto ciascuno di essi è diffuso su tutto il reticolo. «Di solito, si penserebbe che ogni atomo si trovi in una data droplet, e che non ci sia alcun modo per questo atomo di muoversi tra le stesse», dice infatti il primo autore dello studio pubblicato oggi su Nature, Matthew Norcia, dell’Istituto di ottica quantistica e informazione quantistica (Iqoqi) dell’Accademia delle scienze austriache, a Innsbruck. «Al contrario, nello stato supersolido, ogni particella è delocalizzata su tutte le droplets, trovandosi contemporaneamente in ogni droplet. Dunque, il sistema forma una serie di regioni ad alta densità (droplets) che condividono gli stessi atomi delocalizzati».
Ma come ci sono arrivati? Per capirlo conviene risalire alle origini degli studi sulla supersolidità, spiega a Media Inaf la scienziata alla guida del gruppo che ha realizzato l’esperimento, Francesca Ferlaino, che dopo una laurea in fisica alla Federico II di Napoli e un dottorato al Lens di Firenze è oggi professore ordinario all’università di Innsbruck, in Austria, nonché managing and research director dell’Iqoqi, sempre a Innsbruck.
«Se dobbiamo scegliere un anno dal quale far partire questa storia, direi il 1957, quando i grandi padri fondatori della meccanica quantistica hanno iniziato domandarsi quali fossero gli stati più paradossali che questa teoria potesse sostenere, e la superfluidità cominciava a essere un fenomeno sempre meglio conosciuto. Prima Eugene Gross, poi Andreev, Lifshitz e Chester, si domandarono se fosse possibile creare uno stato della materia che da una parte mostri la rigidità di un solido, ma dall’altra parte fluisca come un liquido»
Ed era possibile?
«Dal punto di vista delle regole della meccanica quantistica sì: questo tipo di stato sembrava poter esistere. Certo è uno stato paradossale, anche solo immaginarsi un cristallo che fluisce è abbastanza difficile. Questo però ha aperto, negli anni ‘60 e ‘70, tutta una serie di dibattiti teorici, con scienziati come Oliver Penrose and Lars Onsager che dicevano no: la superfluidità, con un fluido che fluisce senza attrito, e la localizzazione sono due tipi di ordini della materia che si contraddicono a vicenda – uno previene la formazione dell’altro, per cui questo stato supersolido non può esistere».
C’era invece chi diceva che sì, forse esisteva?
«Be’, c’era chi si domandava: ma se esistesse, in quale sistema si potrebbe vedere? Quale sistema in natura? In questo senso un grande contributo è arrivato dal premio Nobel Anthony Leggett, fisico teorico che nel 1970 pubblica un articolo – considerato oggi una pietra miliare sull’argomento – intitolato “Può un solido essere superfluido?”. Un articolo nel quale discute varie possibilità».
Per esempio?
«Gli approcci sperimentali – o le simulazioni teoriche – partivano dall’idea di creare un solido che a un certo punto, se raffreddato abbastanza, potesse avere delle proprietà superfluide. Un materiale in cui non ci fossero due componenti – non ci fossero il solido e il superfluido – bensì una singola particella, indistinguibile quanto-meccanicamente, che si comportasse allo stesso tempo come localizzata e diffusa».
Quale materiale? C’era qualche candidato?
«Da punto di vista sperimentale, si è iniziato a cercare questo stato nell’elio solido. Un grande risultato è stato poi pubblicato su Nature del 2004 da due scienziati alla Penn State University – E. Kim e M. H. W. Chan – in un articolo intitolato “Probabile osservazione di un supersolido nell’elio”. Un risultato che ha attratto l’attenzione di tutta la comunità della materia condensata: ci sono stati grandi dibattiti, ci sono stati molti gruppi teorici che hanno cercato di riprodurlo facendo calcoli, simulazioni numeriche, eccetera. E la comunità ha iniziato a dividersi in due parti: quelli che credevano in quel risultato e quelli che tendevano a essere un poco scettici. D’altronde anche solo dal titolo del paper – “probabile osservazione…” – si intuiva che non era tutto completamente sotto controllo, a quel tempo. Il dibattito era molto acceso, ma veramente molto acceso all’interno di questa comunità».
Come andò a finire?
«C’è stato un intenso lavoro scientifico, alcuni gruppi sperimentali hanno ripetuto l’esperimento di Kim e Chan ottenendo risultati diversi, aumentando così ancor di più il mistero intorno a questo stato. Successivamente gli stessi Kim e Chan hanno ripetuto il loro esperimento, questa volta sulla base dei calcoli e la comprensione del sistema sviluppata negli anni, arrivando a concludere con un commento al loro stesso lavoro, pubblicato nel 2012 su Physical Review Letters, intitolato “Assenza di supersolidità nell’elio solido”».
Una pietra tombale…
«Diciamo che nella comunità della materia condensata la domanda è diventata: game over, è finito tutto, oppure ancora questo sistema è possibile? Una parte della ricerca – soprattutto teorica, ma anche sperimentale – continua a svilupparsi considerando come piattaforma madre per l’osservazione della supersolidità questi solidi. Altri teorici, invece, hanno spostato l’attenzione verso un altro tipo di piattaforma: quella degli “atomi freddi”. Perché negli atomi freddi, in effetti, vari ingredienti necessari per la supersolidità sono, diciamo, innati».
Cos’hanno di particolare gli atomi freddi?
«In un gas ultrafreddo, come un condensato di Bose-Einstein, con delle interazioni a lunga portata – quindi con gli atomi che si “vedono” a distanza – e non sferiche, dunque anisotropiche – tali cioè che se gli atomi si vedono in una direzione si attraggono ma se si vedono in un’altra direzione si respingono – il sistema tende a essere in qualche modo instabile. Il sistema ha voglia di cristallizzare: è un gas, non diventa mai una vera struttura cristallina, ma ha voglia di organizzarsi spontaneamente in una struttura come un’onda di materia – come un’onda cristallina, regolare. Il problema è che questa voglia del sistema è troppo forte: solo con questo loro “desiderio” – perché sappiamo che in fisica tutti i sistemi cercano uno stato di energia minore – in una direzione che diminuisce l’energia, la voglia di cristallizzare li farebbe collassare. Quello che mancava alla comprensione – ed è qui che gli esperimenti hanno avuto veramente una grande importanza – era trovare un meccanismo che potesse stabilizzare, cioè dire: tu puoi cristallizzare fino a un certo punto, ma poi ti devi fermare. In tal modo il sistema subisce una transizione di fase in un nuovo stato, che è appunto questo stato di minima energia che è supersolido: l’onda di materia si forma e rimane».
E qual è questo meccanismo in grado di stabilizzare il sistema?
«È stato scoperto, prima da un gruppo di Stoccarda e poi confermato quantitativamente dal nostro gruppo, che negli atomi dipolari il sistema viene stabilizzato dalle sue stesse fluttuazioni quantistiche. Il sistema, quindi, crea sì un cristallo, ma non può completamente “esplodere” con cristalli dai picchi infinitamente alti, dicamo, perché c’è questo sistema di stabilizzazione che gli dice: tu più di tanto non puoi creare picchi di densità. È una specie di “pressione quantistica”. Tutti questi ingredienti insieme hanno poi permesso l’osservazione del fatto che il sistema, da solo, spontaneamente, entra in un nuovo stato fondamentale: uno stato completamente coerente, in cui ogni atomo è identico agli altri – quindi sono indistinguibili – e sono tutti sia localizzati che diffusi. E questo è appunto lo stato supersolido».
Stato che voi avete realizzato con un gas ultrafreddo di atomi di disprosio, dicevamo. Ma come ci siete arrivati, a usare il disprosio? Prendete la tavola degli elementi e ne scegliete qualcuno a caso – elementi, tra l’altro, che per noi sono assolutamente esotici – fino a trovare quello giusto per ottenere l’effetto che cercate? Oppure andate a colpo sicuro, sapendo già più o meno qual è la regione della tavola periodica in cui andare a pescare per riuscire ottenere uno stato del genere?
«Il primo condensato è stato fatto con atomi semplici, gli alcalini, quindi atomi della prima colonna della tavola periodica, che hanno solo un elettrone di valenza. Più o meno lì e nella colonna successiva, quella degli alcalini terrosi, si era un po’ fermata la ricerca degli atomi freddi. Poi, man mano che abbiamo iniziato a capire questi sistemi più semplici, abbiamo preso il coraggio per muoverci oltre e chiederci: io voglio una certa proprietà atomica, quale atomo me la può dare?
E avete fatto il balzo dall’elio al disprosio…
«Già, ma con una serie di passaggi. Abbiamo provato con l’itterbio, che però assomiglia molto agli alcalini terrosi. Poi con il cromo, che già mostrava effetti dipolari, ma occorreva un momento magnetico ancora più alto. Quindi siamo andati a vedere quali erano gli atomi più magnetici della tavola periodica, e siamo arrivati al disprosio».
Supersolidi a parte, tra tutti gli elementi della tavola periodica qual è quello che le dà più soddisfazione? Quello al quale, a forza di usarlo in laboratorio, si è più affezionata?
«Sono molto legata all’erbio, perché siamo stati i primi a condensarlo, ma anche a trovare una “ricetta” che adesso viene adoperata in molti laboratori. Però va detto che l’erbio i suoi fratelli lantanidi sono pressoché uguali: ne impari uno e li hai imparati tutti. Dunque sì, provo un certo senso di “maternità” – diciamo così – nei confronti dell’erbio, il primogenito, ma anche per gli altri figli».
Per saperne di più:
- Leggi su Nature l’articolo “Two-dimensional supersolidity in a dipolar quantum gas”, di Matthew A. Norcia, Claudia Politi, Lauritz Klaus, Elena Poli, Maximilian Sohmen, Manfred J. Mark, Russell N. Bisset, Luis Santos e Francesca Ferlaino