I corpi minori del Sistema solare interno sono generalmente raggruppati in due classi fenomenologiche: comete e asteroidi. La principale differenza che distingue queste due tipologie è che la prima mostra un qualche tipo di attività, con conseguente emissione di gas e polveri nello spazio. Per le comete la causa dell’emissione viene solitamente attribuita alla presenza di materiali volatili congelati alla superficie del corpo come acqua, anidride carbonica o monossido di carbonio, a loro volta indicatori della regione di formazione del corpo nel disco protoplanetario.
Questa distinzione piuttosto netta è stata messa in discussione dalla scoperta degli asteroidi attivi (come l’asteroide 6478 Gault). In questo caso si tratta di corpi eterogenei che mostrano un’attività per cause diverse: eventi d’impatto, superamento della spin-barrier oppure attività dovuta alla presenza di ghiaccio d’acqua sotto la superficie.
Tuttavia, ci sono alcuni corpi minori che non rientrano in nessuna di queste pur ampie categorie. L’esempio più notevole di “corpo fuori dagli schemi” è l’asteroide (3200) Phaethon: un oggetto near-Earth (Neo) attivo solo quando si trova in prossimità del perielio – a circa 21 milioni di km dal Sole. Phaethon è associato alla corrente di meteoroidi responsabile dello sciame delle Geminidi, che ha il suo massimo il 14 dicembre di ogni anno. Un altro asteroide fuori dal coro è (101955) Bennu per via della sua attività d’espulsione di pietre nello spazio cui non si capisce bene l’origine.
Considerato che la temperatura superficiale di Phaethon arriva a circa 750 °C al perielio, è chiaro che ogni elemento volatile termicamente connesso con la superficie è stato perso da tempo nello spazio e non può essere il responsabile dell’emissione dei meteoroidi che va a rifornire la corrente delle Geminidi, come accadrebbe per una classica cometa. Peraltro l’attività di Phaethon avviene solo in prossimità del perielio, se la causa fosse la sublimazione del ghiaccio sarebbe invece estesa lungo quasi tutta l’orbita. Osservazioni spettrali condotte nel 2020 hanno indicato un’assenza completa di minerali idrati sulla superficie di Phaethon, supportando ulteriormente la conclusione che non è l’acqua la fonte dell’attività.
In passato per giustificare l’attività di Phaethon erano stati esaminati gli effetti delle temperature estreme che l’asteroide sperimenta al perielio. Questi studi avevano mostrato che il ciclo dell’escursione termica può frammentare in modo efficiente i massi superficiali che diventerebbero così una sorgente di polvere e detriti che potrebbero essere espulsi dalla superficie per alimentare l’attività osservata e il flusso di meteoroidi associato. Per via di questa attività peculiare si considerava Phaethon come una “cometa di roccia“. Tuttavia, è improbabile che la sola fratturazione termica produca un’accelerazione sufficiente per consentire a polvere e frammenti di superare la velocità di fuga e abbandonare Phaethon. Per questo motivo è stato recentemente preso in considerazione un elemento alternativo: il sodio. L’idea di base è che l’attività di Phaethon sia dovuta alla sublimazione del sodio presente nella matrice rocciosa del corpo che fa le veci del vapore d’acqua in una cometa tradizionale. Questo meccanismo spiegherebbe anche il motivo della scarsità di sodio nelle meteore delle Geminidi: il sodio verrebbe perso nello spazio permettendo a polvere e frammenti di lasciare la superficie dell’asteroide.
Per indagare sulla plausibilità di questa ipotesi, un team di astrofisici guidati da Joseph Masiero del Jet Propulsion Laboratory ha costruito un modello termofisico di Phaethon, considerandolo come un corpo sferico, rotante e orbitante attorno al Sole costituito da una miscela porosa di silicati e granelli di sodio. Il team ha anche eseguito in laboratorio degli esperimenti di riscaldamento su campioni della meteorite di Allende, una condrite carbonaceo che potrebbe arrivare da un corpo simile a Phaethon, per cercare l’emissione del gas di sodio.
Il modello teorico mostra che, entro circa un’unità astronomica (AU) dal Sole, il tasso di produzione di sodio aumenta di sei ordini di grandezza, raggiungendo brevemente un tasso di produzione molare simile al tasso di produzione di acqua della cometa 67P/Churyumov–Gerasimenko a 2,1 AU. Se su Phaethon fosse presente sodio puro come nel modello e si verificasse un degassamento così forte, causerebbe facilmente l’espulsione di polvere nello spazio in modo simile a una cometa classica.
In laboratorio il contenuto di sodio è stato determinato per tutta una gamma di temperature sui singoli minerali all’interno di ciascun campione, che sono stati analizzati anche dopo il riscaldamento per determinare le modifiche avvenute nella loro composizione chimica. Il ciclo di riscaldamento-raffreddamento è stato di lunghezza paragonabile al periodo di rotazione di Phaethon (3,6 ore), con temperature compatibili con il passaggio al perielio. Il risultato dei test di laboratorio è stato un impoverimento del sodio rispetto agli altri elementi chimici presenti: questo dimostra che, nelle condizioni adatte, il sodio può essere disperso nello spazio.
Il lavoro teorico-sperimentale non è conclusivo, ma ci fa capire che classificare i corpi minori come “asteroidi” e “comete” è troppo semplificativo: non bisogna solo considerare la quantità di ghiaccio che contengono, ma anche quali elementi vaporizzano ad alte temperature.
Per saperne di più:
- Leggi su Planet. Sci. J. l’articolo “Volatility of Sodium in Carbonaceous Chondrites at Temperatures Consistent with Low-perihelion Asteroids”, di Joseph R. Masiero, Björn J. R. Davidsson, Yang Liu, Kelsey Moore e Michael Tuite