Nel 1945, con le esplosioni nucleari di Hiroshima e Nagasaki, si conclude – su tutti i fronti – la Seconda guerra mondiale. Esplosioni tragiche per l’umanità intera, ma anche emblema del successo del Progetto Manhattan degli statunitensi rispetto all’analogo programma nucleare militare tedesco. Cosa sappiamo del fallimentare tentativo nazista di precedere gli Alleati nel dotarsi dell’ordigno atomico?
A partire dagli anni Quaranta, la Germania aveva impiegato centinaia di blocchi di uranio per la ricerca sulla tecnologia nucleare. La maggior parte sono andati perduti, ma alcuni di essi vengono usati vengono oggi usati per condurre analisi chimiche. Tra questi, ce ne è uno che si trova al Pnnl, il Pacific Northwest National Laboratory (Pnnl), negli Usa, ed è oggetto di studio da parte di un team di scienziati che lo ha radiodatato attraverso un nuovo metodo sperimentale, confermandone la provenienza. I risultati della ricerca, che potrebbero aiutare anche le indagini sul traffico illecito di materiale nucleare, sono stati presentati ieri, 24 agosto, a una conferenza dell’American Chemical Society.
Non si sa come il cubo di uranio (di circa 5 cm di lato per 2.5 kg di peso) sia arrivato al Pnnl, così come non si sa dove siano finiti gli altri esemplari. Con la missione Alsos, l’operazione di spionaggio sull’andamento del progetto nucleare tedesco, gli Alleati erano riusciti a confiscare più di seicento blocchi di uranio sepolti in un campo nei pressi della città Haigerloch, ma questi andarono perduti una volta spediti negli Usa. Non si conosce il destino nemmeno degli altri cubi delle stesse dimensioni di quelli di Haigerloch che facevano parte di un esperimento simile. Alcuni potrebbero essere stati distrutti o riutilizzati in favore del programma statunitense di arricchimento delle armi, altri potrebbero essere stati venduti clandestinamente. Soltanto una manciata di essi si trova in siti museali negli Usa e in Europa.
Il Pnnl usa il suo campione per la formazione delle guardie di frontiera e dei ricercatori di medicina nucleare. Il cubo di uranio di cui è in possesso viene etichettato come “cubo di Heisenberg” – dal nome di Werner Heisenberg, il fisico a capo di uno dei due gruppi di ricerca che sviluppò il progetto nucleare della Germania nazista (l’altro era guidato da Kurt Diebner). Una definizione puramente aneddotica – chiarisce però Brittany Robertson, dottoranda del Pnnl e coautrice dello studio – in assenza di misurazioni abbastanza attendibili per determinarne le origini.
«Non sappiamo per certo che i cubi provengano dal programma tedesco, quindi vogliamo stabilirlo», precisa Jon Schwantes, autore principale dello studio. «Vogliamo confrontare i diversi cubi per vedere se possiamo classificarli secondo il particolare gruppo di ricerca che li ha creati».
I metodi di radiodatazione dell’uranio sono diversi, e vengono impiegati anche nel controllo degli accordi di non proliferazione nucleare, nonché per prevenire dirottamenti di materiale radioattivo. Esistono due metodi principali, uno – il più usato – basato sull’abbondanza relativa del torio, e l’altro sul protoattinio, entrambi prodotti dal decadimento dell’uranio. È buona norma applicare più di un procedimento di datazione allo stesso oggetto, dato che se i risultati ottenuti da tecniche diverse coincidono, allora il margine d’errore tende a essere ridotto e la misurazione molto affidabile. Questo tuttavia ha un costo e comporta delle difficoltà intrinseche, che sarebbe ideale ridurre. È in questo contesto che trova utilità il metodo ideato dagli scienziati del Pnnl: esso permette di separare contemporaneamente Th e Pa dal campione di uranio, in maniera efficace. Una sola tecnica fornisce quindi la precisione che si sarebbe avuta soltanto effettuando due misurazioni indipendenti. Con la stessa tecnica, è possibile anche separare le cosiddette terre rare (elementi chimici presenti in minuscole quantità come impurità), che caratterizzano l’origine geologica dell’uranio.
Robertson e Schwantes stanno attualmente collaborando con Carlos Fraga, altro ricercatore del Pnnl, per esaminare i rivestimenti dei cubi che i tedeschi applicavano per limitare l’ossidazione e che potrebbero contribuire a stabilire a quali dei due gruppi appartenesse l’uranio, quello di Heisenberg o quello di Diebner.
Guarda l’intervista (in inglese) a Brittany Robertson e Jon Schwantes sul canale dell’American Chemical Society:
Correzione del 25.08.2021: il peso di ogni cubetto è di circa 2.5 kg, non di mezzo chilo come scritto in una prima versione.