Decine di film hanno come protagonisti asteroidi in rotta di collisione con la Terra. Ora uno studio dell’Università dell’Illinois Urbana-Champaign (Uiuc) potrebbe aiutare a prevedere i danni di un evento del genere in base alla composizione chimica dell’oggetto. A coordinare lo studio, pubblicato su Planetary Science Journal, Francesco Panerai, laureato all’Università di Perugia e oggi professore al dipartimento di ingegneria aerospaziale dell’Uiuc.
Gli scienziati, in collaborazione con l’Ames Research Center della Nasa, hanno riscaldato frammenti di meteoriti portandoli alla temperatura che raggiungono quando entrano in contatto con l’atmosfera terrestre. «Abbiamo estratto dall’interno campioni che non erano già stati esposti al calore elevato dell’ambiente di ingresso», spiega Panerai. «Volevamo capire come cambia la microstruttura di un meteorite mentre viaggia attraverso l’atmosfera». Quello che è emerso è che il solfuro di ferro vaporizzato lascia dei vuoti, rendendo più poroso il materiale. Queste informazioni aiuteranno a prevedere il peso di una meteora e la sua probabilità di rompersi, contribuendo alla valutazione dei danni se dovesse raggiungere il suolo.
Gli esperimenti sono stati eseguiti al Lawrence Berkeley National Laboratory utilizzando l’ Advanced Light Source del sincrotrone per ricostruire, grazie alla tecnica della microtomografia a raggi X, immagini 3D dei campioni mentre venivano riscaldati fino a 1200 gradi.
«La capacità di guardare in 3D l’interno del meteorite, nonostante il suo calore, ci ha portato a scoprire un progressivo aumento della porosità del materiale con il riscaldamento», dice Panerai. «Successivamente abbiamo preso sezioni trasversali del materiale e ne abbiamo osservato la composizione chimica per capire la fase che era stata modificata dal calore, cambiandone la porosità». La porosità e la permeabilità del materiale, sostiene Panerai, potrebbero avere effetti sulla forza e sulla propensione alla frammentazione.
Inizialmente la Nasa aveva selezionato come caso di studio un solo campione: Tamdakht, un meteorite atterrato in un deserto marocchino alcuni anni fa. Ma per confermare i risultati e capire se un meteorite con una composizione diversa si sarebbe comportato allo stesso modo, il team di ricercatori ha preso in esame un ulteriore frammento, proveniente da Tenham, meteorite caduto nel 1879 in Australia. Entrambi gli esemplari provengono da una classe di meteoriti chiamata condriti, i più comuni tra i ritrovamenti di meteoriti costituiti da ferro e nichel, elementi ad alta densità.
«Entrambi sono diventati porosi, ma la porosità che si sviluppa dipnde dal contenuto dei solfuri», chiarisce Panerai. «Uno dei due aveva una maggior quantità di solfuro di ferro, che è ciò che evapora. Abbiamo scoperto che la vaporizzazione dei solfuri di ferro avviene a temperature di ingresso miti. Ciò avverrebbe non sulla crosta di fusione esterna del meteorite, dove la temperatura è molto più alta, ma appena sotto la superficie».
La maggior parte del materiale cosmico brucia quando entra in contatto con l’involucro di gas che circonda la Terra, disintegrandosi nell’atmosfera. Meteoroidi di dimensioni significative possono però provocare danni non indifferenti. È stato il caso della meteora di Chelyabinsk, che ha portato a un’esplosione sui cieli della Russia nel 2013 e al ferimento di 1500 persone a causa di effetti indiretti dovuti all’onda d’urto, come la frammentazione del vetro delle finestre. Dopo quell’incidente, la Nasa ha creato l’Asteroid Threat Assessment Program per fornire strumenti scientifici che possano aiutare i decisori politici a comprendere le potenziali minacce da meteoriti per la popolazione.
«Stiamo anche utilizzando strumenti perfezionati negli anni per la progettazione di veicoli di rientro ipersonici e trasferendo questa conoscenza allo studio dei meteoroidi, gli unici sistemi ipersonici in natura», conclude Panerai. «Ciò fornisce alla Nasa dati critici sulla microstruttura e sulla morfologia di un meteorite durante il riscaldamento, in modo che tali caratteristiche possano essere integrate nei loro modelli».
Per saperne di più:
- Leggi su Planetary Science Journal l’articolo “Morphological Evolution of Ordinary Chondrite Microstructure during Heating: Implications for Atmospheric Entry”, di Francesco Panerai, Brody Bessire, Justin Haskins, Collin Foster, Harold Barnard, Eric Stern e Jay Feldman