Ogni giorno sul sito Apod – Astronomy Picture of the Day – la Nasa pubblica una spettacolare immagine del nostro universo. Oggi, giovedì 30 settembre, la scelta dell’agenzia spaziale statunitense è caduta sull’immagine che vedete qui sotto: ritrae in tutto il suo splendore Messier 33, una galassia a spirale che si trova a circa tre milioni di anni luce da noi, nella piccola costellazione settentrionale del Triangolo.
Distese lungo bracci a spirale che si snodano verso il nucleo, sono chiaramente visibili le regioni HII o nebulose ad emissione della galassia, nubi di gas ionizzato riconoscibili dal caratteristico bagliore rosso che produce la ionizzazione dell’idrogeno. Nubi che sono siti di formazione di stelle molto massicce e che, nel caso specifico di M33, sono tra i più grandi vivai stellari conosciuti. L’immagine mostra alcune di queste nursery in primo piano nei 21 riquadri ai lati dell’immagine.
L’autore dello scatto è Luca Fornaciari. Appassionato da sempre di fotografia e informatica, ha iniziato a lavorare come web designer per poi approdare nel campo della fotografia e infine in quello dell’astrofotografia. Oggi è consulente e formatore per grafica industriale e fotografia generale, specializzato nella fotografia notturna e nell’astrofotografia. Il suo palmarès conta numerosi riconoscimenti, l’ultimo dei quali, ricevuto nel 2021, è il Moscow International Foto Awards, categoria Fine Art/Abstract. Lo abbiamo intervistato.
Fornaciari, quando e dove è stata scattata la fotografia scelta oggi dalla Nasa?
«L’immagine è stata scattata nel mio osservatorio astronomico privato a Maranello, in provincia di Modena. Un posto che continuo a espandere negli anni e dal quale realizzo tutte le immagini in postazione fissa quando non sono in viaggio».
Qualche dettaglio tecnico sullo scatto?
«L’immagine è il risultato di scatti acquisiti in quattro notti con un telescopio newtoniano Sky-Watcher 300/1200 f/4 su una montatura equatoriale EQ8R-Pro e una camera astronomica Cmos monocromatica. La fotografia si compone di una base di luminanza e colori in banda larga da cui ho inizialmente assemblato un Lrgb, per andare poi a integrare due sessioni in banda stretta, una dedicata all’idrogeno ionizzato H-Alpha e l’altra all’ossigeno ionizzato OIII. La composizione finale quindi è il prodotto ottenuto da sei tipi differenti di acquisizioni».
Come ha fatto a evidenziare le regioni HII in questa immagine telescopica?
«Concettualmente non è complicato da spiegare, le regioni HII essendo fortemente caratterizzate da elementi ionizzati specifici, possono essere fotografate anche con filtri selettivi che lasciano passare soltanto quelle precise emissioni. In questo modo, aggiungendo a una ripresa “tradizionale” in banda larga il contributo ottenuto con questi filtri selettivi (in banda stretta), possiamo di fatto dare maggior rappresentazione ai colori che caratterizzano quelle zone, rendendole meglio visibili».
Quali sono i principali ostacoli nel fotografare oggetti celesti come questi?
«In generale per fotografare una galassia serve un cielo tendenzialmente meno inquinato di quanto non serva per una nebulosa a emissione (due tra le tipologie di oggetti astronomici che spesso fotografiamo in astrofotografia di profondo cielo). Questo perché una galassia va necessariamente fotografata in banda larga, con filtri quindi che possono contrastare in modo limitato l’eventuale inquinamento luminoso artificiale presente nel cielo notturno. Fotografare in banda larga dal cielo di Maranello non è semplicissimo, considerato il cielo fortemente inquinato da una distribuzione esagerata e incontrollata di luci artificiali notturne. A complicare l’acquisizione subentra l’oggetto stesso. La galassia Triangolo è caratterizzata da polveri e dettagli molto fini, non scontati da acquisire e da sviluppare successivamente. Dettagli che al contempo sono anche relativamente deboli. Questo oggetto astronomico, anche se ha una misura angolare notevole, richiede un certo livello di integrazione e di efficienza del proprio setup astronomico per ottenere un buon risultato finale. Per semplificare, il risultato aumenterà di pari passo rispetto all’efficienza e al potenziale del nostro setup astronomico, ma anche rispetto al quantitativo di ore di fotografie che riusciremo ad accumulare».
Nel suo portfolio ci sono foto che spaziano dalla paesaggistica notturna all’imaging planetario, dalla fotografia digiscoping, fino alle nebulose planetarie. Qual è quella che più di tutte l’ha emozionata durante la realizzazione?
«Il genere fotografico a cui dedico il mio tempo libero e parte anche del mio tempo lavorativo è quello dell’astrofotografia di profondo cielo. È un genere fotografico molto articolato e multidisciplinare che dopo dieci anni continua a ricordarmi che qualsiasi risultato si riesca ad ottenere, ci sarà sempre qualcosa da imparare di nuovo e più complesso che permetterà di superarlo. Studiare con metodo e costanza questo genere fotografico ci apre a una comprensione globale dei meccanismi che regolano la moderna fotografia digitale e non smette mai di spronarci a superare i propri limiti di tecnica e teoria. Ho iniziato a praticare fotografia astronomica di profondo cielo con la fissazione di voler ritrarre su una mia immagine la nebulosa Testa di Cavallo, e a oggi resta sempre un oggetto che mi trasmette una fortissima emozione. Dalle prime notti fotografiche però si scopre un mondo inaspettato popolato da oggetti bizzarri e incredibili fenomeni del cosmo e mi sono emozionato durante la realizzazione di molte fotografie. Questa per l’appunto è l’ultima immagine che mi ha trasmesso emozioni molto forti: inizi a scattare, superi le prime notti, ottieni i primi risultati e dici “ehi, ma sto davvero fotografando nebulose che si trovano all’interno di un’altra galassia. Sta succedendo davvero e sono io a farlo”. Questo è il genere di emozioni che ci può trasmettere la fotografia in generale e nel mio caso l’astrofotografia deep sky mi coinvolge come nessun altro genere».
Com’è nata la sua passione per l’astrofotografia?
«Dico sempre che all’astrofotografia ci si arriva dalla passione per la fotografia oppure per la passione per l’astronomia. Nel mio caso io mi sono appassionato all’astronomia fin da ragazzino, con il classico telescopio in regalo che si riceve sempre “dallo zio” per il compleanno dei 12 o dei 13 anni. Fortuna vuole che mio padre sia un fotografo e che mi abbia coinvolto nei suo servizi cerimoniali come fotografo di appoggio fin da giovane età, permettendomi così di coltivare fin da piccolo anche la passione per la fotografia. Crescendo scoprì quasi per caso che era possibile fare fotografia astronomica amatoriale e da quel giorno questa pratica divenne per me un vero e proprio stile di vita. Al di là del telescopio, al di là delle immagini, quello che oggi motiva me e la mia compagna (con cui condivido le attività divulgative) a viaggiare in lungo e in largo per l’Italia per raccontare questo genere fotografico, è il valore sociale, umano, che l’astrofotografia ha da offrirci. Una maggior comprensione di ciò che ci circonda ci permette di vivere quotidianamente una vita migliore, in relazione con gli altri e con il pianeta che ci ospita».