Si chiama Lucy, è una missione della Nasa destinata a visitare ben otto asteroidi, ed è ormai pronta a partire per un viaggio lungo oltre sei miliardi di km. Nei giorni scorsi ha fatto il pieno d’idrazina e ossigeno liquido – i propellenti che le serviranno per spostarsi da uno all’altro dei suoi numerosi obiettivi – ed è stata trasportata alla Vehicle Integration Facility di Cape Canaveral, dove ha preso posto nella punta del razzo Atlas V 401 che sabato 16 ottobre – a partire dalle 5:34 ora locale, se non ci saranno imprevisti – la porterà in volo oltre l’atmosfera terrestre, dando così il via al suo lungo viaggio verso gli asteroidi troiani.
Fra gli scienziati che saranno lì in Florida a vederla partire c’è anche l’italiano Simone Marchi, astrofisico originario di Lucca, con laurea e dottorato conseguiti a Pisa, oggi ricercatore alla Space Science and Engineering Division del Southwest Research Institute di Boulder (Colorado, Stati Uniti). Oltre a essere il deputy project scientist della missione, Marchi – insieme al figlio, che all’epoca aveva sette anni – è anche l’autore del logo di Lucy. Ed è proprio lì allo Space Launch Complex 41, mentre è intento agli ultimi preparativi prima del lancio, che Media Inaf lo ha raggiunto.
È la sua prima volta, a Cape Canaveral, o ha già avuto occasione d’assistere ad altri lanci spaziali?
«È la prima volta! Nonostante il mio coinvolgimento in numerose missioni spaziali alle due sponde dell’Atlantico (Nasa ed Esa), il lancio di Lucy sarà la mia prima partecipazione di persona».
Lucy è una missione lunghissima, ben dodici 12 anni. È previsto un ritorno, magari con materiale raccolto sugli asteroidi, o è un viaggio di sola andata?
«Lucy compirà incontri ravvicinati con numerosi asteroidi, a una distanza tra i 400 e 1000 km a seconda dell’asteroide. Incontri durante i quali si limiterà a passare vicino a questi oggetti, quindi senza prelevare campioni».
Perché?
«Il motivo fondamentale è che per “frenare“ la sonda al punto tale da entrare in orbita richiederebbe una quantità enorme di carburante pari a circa 20 volte la massa della sonda stessa. Non è previsto il rientro sulla Terra».
Superato il momento del lancio, quali sono i passaggi più rischiosi che Lucy dovrà affrontare?
«Il primo fondamentale passo sarà quello di aprire i pannelli solari. Lucy ne ha due di grandi dimensioni, oltre 7 metri di diametro ciascuno. I pannelli solari forniscono energia alla sonda, e dunque la loro corretta apertura è essenziale. Successivamente Lucy dovrà eseguire due incontri ravvicinati con la Terra in modo tale da sfruttare l’effetto fionda dovuto all’attrazione gravitazionale del nostro pianeta, e quindi potersi lanciare verso gli asteroidi troiani. Questi sono gli eventi più critici».
Veniamo a questi otto asteroidi: perché proprio questi?
«È una lunga storia. Abbiamo iniziato a lavorare alla missione Lucy nel 2014. Ricordo innumerevoli discussioni sulla scelta degli asteroidi da visitare. Esistono alcune migliaia di asteroidi troiani più grandi di 10 km, come scegliere quelli da visitare? L’idea trainante fu quella di osservare la variabilità delle proprietà fisiche di questi asteroidi. Quindi studiare asteroidi piccoli e grandi, con colori variabili, e una diversa storia evolutiva. E poi il più alto numero di asteroidi possibili. Dunque con un processo selettivo siamo arrivati all’attuale lista di asteroidi. Una lista davvero lunga: basti pensare che Lucy visiterà un numero di asteroidi pari circa a quelli più vicini alla Terra visitati complessivamente sino a oggi».
Che tappe saranno? Un mordi e fuggi? O Lucy resterà per qualche tempo attorno a ognuno di essi?
«Gli asteroidi troiani hanno la peculiare caratteristica di essere divisi in due grandi gruppi che seguono e precedono Giove lungo la sua orbita attorno al Sole. Lucy visiterà entrambi i gruppi, separati da 1300 milioni di km! Con queste distanze da coprire, e con il gran numero di asteroidi da visitare, Lucy si limiterà a sorvolare gli asteroidi troiani prescelti. I primi quattro troiani saranno visitati nel 2027-2028 e gli ultimi due nel 2033».
Otto asteroidi, abbiamo detto, quasi tutti con nomi mitologici. Però nell’elenco sul sito della missione ne vedo solo sette…
«Gli asteroidi troiani che Lucy visiterà sono Eurybates, Polymele, Leucus, Orus, Patroclus, Menoetius. Nel 2020, abbiamo scoperto un piccolo satellite di Eurybates, chiamato Queta, in onore dell’atleta messicana Enriqueta Basilio, prima donna ad accendere il calderone olimpico. Lucy sorvolerà anche un piccolo asteroide della Fascia principale, Donaldjohanson, dal nome di uno degli scopritori dell’ominide Lucy, anche se questo è un incontro fortuito che non fa parte della missione principale».
Qual è il suo preferito? Quello che sente che le potrebbe dare più soddisfazioni?
«Eurybates. Questo asteroide sembra possedere una composizione rara tra i troiani, ed è il sopravvissuto di una collisione che distrusse un asteroide progenitore più grande. Sappiamo che le collisioni sono un processo fondamentale per l’evoluzione degli asteroidi, ed è la prima volta che un asteroide generato da una distruzione catastrofica verrà osservato da vicino».
Lei lavora da anni a questa missione. Come sarà dare l’addio a Lucy?
«Vederla partire sarà fenomenale. Immaginate la punta del razzo Atlas che contiene, ripiegata in se stessa come un embrione in un uovo, una sonda estremamente complessa. Molte emozioni di sicuro, ma per certo non mi mancherà niente di Lucy sulla Terra, e non sarà un addio: Lucy è stata concepita per attraversare il Sistema solare, e lo spazio è il suo elemento naturale. Per parafrasare il cantautore Vinicio Capossela, Lucy è diretta verso un posto “che è lontano solo prima d’arrivare”. Ecco, quindi, l’emozione dominante sarà quella di essere partiti per un lungo viaggio, in attesa di arrivare».