A prima vista considerati “pianeti gemelli” per le dimensioni simili, la composizione principalmente rocciosa e la presenza di atmosfera su entrambi, Venere e la Terra non potrebbero essere più diversi. Malgrado le tracce di vapor acqueo, la densa atmosfera venusiana è infatti ricca di anidride carbonica e puntellata da nubi di acido solforico. Nemmeno in superficie ce la si passa bene, tra la pressione comparabile a quella delle profondità oceaniche terrestri e la temperatura che supera i 400 ºC.
Alcuni studi in passato avevano avanzato l’ipotesi di una Venere primordiale diversa, con oceani di acqua liquida in superficie che, diversi miliardi di anni fa, l’avrebbero resa un pianeta più ospitale e chissà, magari anche abitabile. Ma pare che non sia andata così, quanto meno secondo uno studio pubblicato oggi su Nature, condotto da astrofisici dell’Università di Ginevra, in Svizzera, e del Laboratoire d’astrophysique de Bordeaux, del Cnrs e dell’Università di Versailles-Saint Quentin-en-Yvelines in Francia.
«Abbiamo simulato il clima della Terra e di Venere proprio all’inizio della loro evoluzione, più di quattro miliardi di anni fa, quando la superficie dei pianeti era ancora allo stato fuso», spiega Martin Turbet, ricercatore all’Università di Ginevra e primo autore del nuovo articolo. «Le alte temperature associate significavano che l’acqua sarebbe stata presente sotto forma di vapore, come in una gigantesca pentola a pressione».
Questa è un’importante differenza rispetto ai lavori precedenti, che contemplavano la presenza di acqua sulla superficie del pianeta primordiale, descrivendo possibili meccanismi per spiegare l’ipotetica stabilità di questi bacini per un certo lasso di tempo: lo studio di Turbet e colleghi, invece, prevede che sin da principio l’acqua si trovasse solo nell’atmosfera di Venere. E lì, secondo le loro conclusioni, sarebbe sempre rimasta.
Il team ha utilizzato un modello climatico tridimensionale all’avanguardia (simile a quelli usati per simulare il clima terrestre) per studiare l’evoluzione dell’atmosfera sia di Venere che della Terra nel corso dei miliardi di anni e indagare la possibilità che si siano potuti formare oceani sulle superfici dei due pianeti. Secondo questo modello, le temperature venusiane non sarebbero mai state sufficientemente basse – nemmeno ai primordi del Sistema solare, quando il Sole brillava circa il 30 percento in meno rispetto a oggi – da permettere a questo vapor d’acqua di condensarsi, formando gocce di pioggia che, una volta sulla superficie, avrebbero potuto dar luogo a oceani.
«Uno dei motivi principali di ciò sono le nuvole, che si formano con maggiore probabilità sul lato notturno del pianeta», aggiunge Turbet. Le nuvole avrebbero potuto rappresentare una possibile soluzione, schermando la superficie dalla luce solare e abbassando così la temperatura: sul lato notturno di Venere, però, non hanno potuto svolgere questa funzione, non essendo esposte al Sole.
Al contrario: invece di fungere da scudo, le nubi avrebbero contribuito a mantenere alte le temperature, provocando un effetto serra che ha intrappolato il calore nella densa atmosfera del pianeta e bloccando la pioggia sul nascere. L’acqua, dunque, è rimasta sotto forma di vapore nell’atmosfera e gli oceani non si sono mai formati.
Il nuovo studio ha risvolti inaspettati anche per quanto riguarda la “nostra” storia. La Terra, infatti, avrebbe potuto subire lo stesso destino di Venere qualora si fosse malauguratamente trovata solo un po’ più vicino al Sole, oppure se il Sole fosse stato tanto brillante ai primordi quanto lo è oggi. Questo ribalterebbe un’apparente contraddizione che interessa le fasi iniziali del nostro pianeta, nota come ‘paradosso del Sole giovane debole’: se la radiazione del Sole primordiale fosse stata molto più debole rispetto a quella odierna, avrebbe rischiato di trasformare la Terra in una palla di ghiaccio ostile alla vita. «Ma si scopre che per la giovane Terra, molto calda, un Sole debole potrebbe essere stato in effetti un’opportunità propizia», commenta la co-autrice Emeline Bolmont dell’Università di Ginevra. «Questo è un totale capovolgimento».
Per non parlare degli esopianeti: qualora confermato, questo risultato potrebbe ridefinire la zona di abitabilità intorno a una stella. Come suggeriscono i ricercatori statunitensi James F. Kasting e Chester E. Harman, non coinvolti nello studio, se Venere non è mai stata abitabile, anche altri pianeti al di fuori del Sistema solare, oggi ritenuti potenzialmente abitabili, non lo sarebbero affatto.
«I nostri risultati si basano su modelli teorici e sono un elemento importante per rispondere alla domanda sulla storia di Venere, ma non saremo in grado di pronunciarci sulla questione in modo definitivo sui nostri computer», afferma il coautore David Ehrenreich, anch’egli dell’Università di Ginevra. Per verificare queste previsioni teoriche, serviranno nuovi dati. Per fortuna, tra l’Esa e la Nasa, ben tre missioni – EnVision, Davinci+ e Veritas – con destinazione Venere sono in programma per il prossimo decennio. Potremmo non dover attendere troppo a lungo.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature l’articolo “Day–night cloud asymmetry prevents early oceans on Venus but not on Earth” di Martin Turbet, Emeline Bolmont, Guillaume Chaverot, David Ehrenreich, Jérémy Leconte e Emmanuel Marcq