È in rete da poche ore un nuovo sito web dedicato interamente alle minacce che arrivano dallo spazio: “Sorvegliati spaziali”. Un prodotto interamente grafico, ricco di contenuti multimediali, responsivo e funzionale su ogni tipologia di dispositivo mobile, sviluppato da ricercatrici e ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica in collaborazione con l’azienda Demarka. Ma Sorvegliati spaziali non è solo un sito web: quello che trovate in rete all’indirizzo sorvegliatispaziali.inaf.it è il “volto pubblico” di un omonimo progetto di divulgazione dell’Istituto nazionale di astrofisica dedicato alla difesa planetaria. Ne parliamo con la coordinatrice, l’astrofisica Daria Guidetti dell’Inaf di Bologna.
Chi sono i “sorvegliati spaziali”?
«Sono quei corpi celesti e quelle attività spaziali che potrebbero avere effetti sull’ambiente terrestre, e che possiamo suddividere in quattro classi. Primo, asteroidi e comete che effettuano passaggi ravvicinati con la Terra (oggetti near-earth) e che quindi potrebbero determinare un rischio impatto per il nostro pianeta o esplodere ad alta quota e generare onde d’urto importanti. Secondo, il traffico nello spazio orbitale terrestre: attorno alla Terra, infatti, operano migliaia di satelliti artificiali che orbitano insieme a migliaia di tonnellate di rifiuti spaziali che possono danneggiare i satelliti operativi, colpire altri rifiuti creandone di nuovi, rientrare in atmosfera in modo incontrollato, rappresentare un pericolo per gli astronauti in particolare durante le missioni extra-veicolari. Terzo, alcune attività del Sole e i fenomeni di alta energia nella nostra galassia e nelle altre galassie, studiati dalla meteorologia spaziale, che potrebbero provocare malfunzionamenti dei satelliti artificiali o black-out elettrici a terra, per esempio. Quarto, infine, le meteore e le meteoriti, che però costituiscono una minaccia davvero minima: si possono avere danni da meteoriti, tipo se colpiscono il tetto di una casa, ma sono eventi improbabili. Essendo la Terra ricoperta per circa il 75 per cento da acqua e da molte aree desertiche, è in queste aree che le meteoriti tendono ad arrivare il suolo nella stragrande maggioranza dei casi».
Quattro tipi di minacce, dunque. Qual è a oggi la più pericolosa?
«Direi che l’effetto più importante che si potrebbe sperimentare è l’interruzione di servizi basati sulle applicazioni di tecnologie spaziali – quali le telecomunicazioni, i sistemi Gps, internet, il monitoraggio della Terra e dello spazio – e su cui oggi si basano la sicurezza militare, la protezione delle economie, delle società e dei cittadini. Abbiamo messo in orbita attorno alla Terra quasi 12000 satelliti per tutte queste diverse applicazioni! Le loro operatività e affidabilità possono essere compromesse da collisioni con rifiuti spaziali e dai fenomeni meteorologici spaziali, quali eiezioni di massa dalla corona solare che possono perturbare la magnetosfera terrestre e mettere temporaneamente fuori servizio i satelliti o provocando danni anche permanenti ai loro strumenti. I rifiuti spaziali possono creare poi collisioni che vanno a coinvolgere i satelliti operativi. Per esempio, se in orbita geostazionaria (a 35786 km di quota) dovessero innescarsi delle collisioni a cascata, là sono posizionati tanti satelliti per le comunicazioni. Si potrebbe creare un effetto domino su quella che è un’unica orbita. Last but not least, gli astronauti devono essere protetti – e anche i futuri turisti dello spazio – sia da impatti di rifiuti spaziali ma anche dalle dosi elevate di radiazioni e particelle energetiche provenienti dal Sole e dallo spazio, a cui potrebbero essere esposti negli strati più alti dell’atmosfera. Per questo è prezioso il lavoro svolto dalle reti di sorveglianza spaziale e tracciamento, che offrono la soluzione migliore e immediata per preservare la sicurezza dell’ambiente orbitale, e quello della meteorologia dello spazio, al fine di conoscere in tempo reale e di prevedere fenomeni potenzialmente critici per la, per poi agire con azioni di mitigazione».
Ci dica qualcosa del “ricercato numero uno”, se esiste. Ha un nome, un volto, una sigla?
«Potrei fare una battuta, dicendo che il ricercato numero uno ora è la meteorite di origine asteroidale che dovrebbe essere caduta la notte tra il 1 e il 2 ottobre scorsi in un’area tra le province di Prato e Pistoia, sulla base delle osservazioni e dei calcoli della rete Prisma dell’Inaf, e che tuttora viene cercata sul campo. Tuttavia, in genere i ricercati numero uno sono gli asteroidi e le comete near-earth (Neo) e attualmente no, non ce n’è nessuno – certo potrebbe saltar fuori in qualunque momento».
Ma ce ne sarà uno dall’aspetto un po’ più minaccioso degli altri…
«Oggi l’asteroide con la probabilità di impatto più elevata è il famoso Bennu, però in un periodo tra il 2170 e il 2290, e comunque si parla di probabilità d’impatto dell’ordine di 10-4, quindi niente di preoccupante. Tutti i Neo noti hanno probabilità di impatto di questo ordine o inferiori, per cui possiamo stare tranquilli per un centinaio di anni, sempre tenendoli sotto’occhio. Semmai il problema è rappresentato dai Neo che non conosciamo e per i quali il rischio d’impatto è diverso da zero. Tipicamente si tratta di oggetti di dimensioni modeste e che tendono a disintegrarsi in atmosfera, ma non sono da sottovalutare, perché in certi casi (vedi l’evento Tunguska del 1908) potrebbero provocare onde d’urto e danni importanti a Terra. È importante il monitoraggio continuo dei Neo, sia per aggiornare la loro posizione nello spazio sia per scoprirne di nuovi, in modo da migliorare il più possibile la conoscenza delle orbite e capire se effettivamente c’è un rischio di impatto. Vedi il caso di Aphophis, ricercato numero uno fino a poco fa, con un primo rischio di impatto per il 2029, e poi uscito dalla lista degli asteroidi pericolosi grazie a recenti osservazioni ottiche e radar che hanno permesso di determinare meglio la sua orbita e di abbattere a zero il rischio di impatto per almeno i prossimi 100 anni».
E chi li sorveglia?
«A fare da padrone sono gli Stati Uniti. Per quanto riguarda i Neo il più grande programma di sorveglianza spaziale è il Neo Observation Program della Nasa, che supporta survey quali Pan-Starrs (il Panoramic Survey Telescope And Rapid Response System) e la Catalina Sky Survey, le cui scoperte allungano la lista dei Neo di circa mille in più ogni anno. Sempre negli Usa c’è il Noaa Space Weather Prediction Center per la meteorologia spaziale, e per il monitoraggio delle orbite terrestri c’è lo Space Surveillance Network operato dalla Space Force statunitense, infine per meteore e bolidi la Nasa All-sky Fireball Network. In Europa c’è il programma Space Situational Awareness dell’Agenzia spaziale europea, che si occupa di meteorologia spaziale, monitoraggio e follow-up di Neo, di satelliti e rifiuti spaziali, e la Rete di sorveglianza spaziale e tracciamento EuSst dell’Unione Europea. Da notare che dal 2013, a Frascati, all’interno della sede Esrin dell’Esa opera il Near-Earth Object Coordination Centre, deputato alla sorveglianza dei Neo a livello europeo».
Voi che siete dietro alle quinte del sito “Sorvegliati spaziali” siete in qualche modo coinvolti?
«L’Inaf partecipa ad alcuni di questi progetti e a molti altri non menzionati, però va specificato che “Sorvegliati spaziali” è un progetto di divulgazione e non di sorveglianza spaziale. Il team dietro le quinte è un gruppo piuttosto variegato fatto di personale Inaf impegnato in attività di comunicazione, divulgazione, didattica e grafica, anche se ci sono alcuni membri, detti “esperti”, che si occupano di attività di ricerca di sorveglianza spaziale che coprono tutte e quattro le aree menzionate sopra: osservazioni ottiche e radar di Neo, osservazioni per la EuSst, analisi dei materiali componenti i rifiuti spaziali, meteorologia spaziale e monitoraggio di meteore brillanti tramite il progetto Prisma dell’Inaf. Del team “Sorvegliati spaziali” fa anche parte personale del Dipartimento delle scienze e tecnologie aerospaziali del Politecnico di Milano. Ci tengo infine a precisare che “Sorvegliati spaziali” ha ricevuto l’endorsement dall’Ufficio outreach del Planetary Defense Coordination Office della Nasa, con il quale è prevista una collaborazione».
Cosa potremo trovare, a partire da oggi, sulle pagine di “Sorvegliati spaziali”?
«Tante informazioni aggiornate su tutte le tematiche che abbiamo menzionato tramite diversi prodotti quali un glossario, brevi video, infografiche, notizie, recensioni, una mappa per visualizzare i satelliti che passano sopra le nostre teste, e altri contenuti a sorpresa che produrremo a breve. Lo scopo è quello di sensibilizzare il pubblico sui temi della difesa planetaria facendo conoscere i concetti di base, le curiosità, le principali attività di ricerca in corso, privilegiando quelle dell’Istituto nazionale di astrofisica, e in particolare in vista di future missioni e progetti spaziali destinati a influenzare profondamente l’immaginario del pubblico e a ispirare le prossime generazioni. Nonché per remare contro le tante fake news che spopolano in questi settori».
C’è la sorveglianza, certo, poi però serve anche qualcuno che sappia passare all’azione. Proprio questa settimana sul New York Times si prende in considerazione l’eventuale impiego di una bomba atomica per sventare un impatto da asteroide. Lei che ne pensa?
«Direi che dovrebbe essere l’ultima spiaggia, quando si è a corto di tempo per organizzare e finalizzare una missione di deflessione, perché l’asteroide in questione viene scoperto con poco preavviso, per esempio a causa delle sue dimensioni limitate e di un basso albedo. Tuttavia la frantumazione di un asteroide potrebbe ritorcersi contro di noi, perché si creerebbero tanti frammenti che tendono a disporsi attorno e lungo l’orbita originale dell’asteroide, facendo sì che incrocino la nostra orbita in tempi diversi. Sarebbe bene che essi fossero di dimensioni tali da essere dissolti nella nostra atmosfera, altrimenti ci ritroviamo con più corpi che ci colpiscono a raffica e potrebbero danneggiare più aree della Terra. Ma al di là del fatto che non è facile frantumare totalmente un asteroide, ci sono poi studi che mostrano come in poche ore i frammenti tendano ad riaccumularsi per l’attrazione gravitazionale reciproca, ricadendo sul frammento più grosso… Un uso più soft di una bomba è quello di farla esplodere a una distanza opportuna dall’asteroide in modo che la radiazione che emette vada a colpirlo e faccia vaporizzare del materiale della sua superficie, provocando un sorta di “effetto razzo” che lo spinga fuori traiettoria. Questo sarebbe un processo più “controllabile”. L’opzione migliore rimane comunque quella della deflessione con un impatto cinetico, tecnica che sarà testata per la prima volta dalla missione spaziale Double Asteroid Redirection Test (Dart) della Nasa, prossima a partire. Per questo sono importanti e andrebbero potenziati i vari progetti dedicati al monitoraggio dei Neo e per scoprirne di nuovi con largo anticipo, in modo da organizzare al meglio eventuali missioni di deflessione. L’abbiamo sperimentato con la pandemia Covid: la preparazione e la prevenzione possono fare la differenza».
Il video di presentazione del progetto su MediaInaf Tv: