Nel 1984 gli astronomi Victor Clube e Bill Napier svilupparono un’ipotesi suggestiva e popolare secondo la quale i meteoroidi delle Tauridi, la cometa Encke e una decina di altri oggetti di dimensioni chilometriche sarebbero il risultato della frammentazione di una grande cometa – dal diametro di circa 100 chilometri – avvenuta 20-30mila anni fa. Questo gruppo di corpi grandi e piccoli, residui della frammentazione, è chiamato “Complesso delle Tauridi”.
Questo complesso è stato studiato, in un lavoro pubblicato sulla rivista Planetary and Space Science, da Ignacio Ferrín dell’Istituto di fisica dell’Università di Medellin, in Colombia, e da Vincenzo Orofino del Dipartimento di matematica e fisica dell’Università del Salento di Lecce.
«Abbiamo prima di tutto vagliato l’appartenenza al Complesso di più di cento possibili candidati, trovati in letteratura, analizzando le loro caratteristiche orbitali», spiega Orofino a Media Inaf. «Tale analisi ha portato a una prima importante conclusione: un numero superiore alle aspettative di oggetti – almeno 88 – con diametro stimato tra alcune decine di metri e pochi chilometri appartiene al complesso. Con una tecnica fotometrica, chiamata “analisi delle curve di luce secolari”, abbiamo poi cercato variazioni di luminosità dei singoli corpi, soprattutto in prossimità del Sole. Abbiamo così trovato che il 67 per cento degli oggetti, di cui sono disponibili dati fotometrici, mostra attività cometaria. Ciò fornisce un forte supporto fotometrico all’ipotesi che gli oggetti del complesso abbiano tutti un’origine comune e che l’evento di disintegrazione suggerito da Clube e Napier sia realmente avvenuto. Sulla base dei dati ottenuti sugli 88 membri del “Complesso delle Tauridi”, abbiamo ricavato che la dimensione della cometa originaria era di circa 120 km, in buon accordo con quanto ipotizzato da Clube e Napier».
Il fatto che questi 88 oggetti abbiano orbite simili a quelle dei meteoroidi che cadendo sulla Terra danno luogo alla pioggia delle Tauridi implica che anche questi grandi oggetti potrebbero collidere con il nostro pianeta. In realtà, ciò dovrebbe essere già accaduto in passato. Un membro del Complesso delle Tauridi potrebbe, infatti, essere stato la causa dell’evento di Tunguska del 30 giugno 1908, quando un piccolo asteroide, o una cometa, esplose a 5-10 chilometri sopra la superficie di una regione disabitata della Siberia. L’esplosione abbatté decine di milioni di alberi sparsi su un’area di 2200 chilometri quadrati, senza fortunatamente causare vittime accertate. Gli effetti dell’esplosione si percepirono fino a Londra dove il cielo divenne tanto luminoso da permettere addirittura la lettura del giornale nonostante fosse notte.
Questo episodio mette in luce la pericolosità di questa componente del complesso, costituita da oggetti di grandi dimensioni. Infatti, se l’oggetto di Tunguska fosse arrivato con solo qualche ora di ritardo al suo appuntamento con la Terra, invece di esplodere su una regione disabitata, sarebbe caduto molto vicino alla popolosa città russa di San Pietroburgo producendo danni enormemente maggiori soprattutto in termini di perdite di vite umane.
Ma altre volte, nel remoto passato, l’umanità non sembra stata altrettanto fortunata. Infatti, secondo Bill Napier e alcuni altri ricercatori, il repentino insorgere di quello sconvolgimento climatico chiamato Younger Dryas, avvenuto 12900 anni fa, potrebbe essere stato causato dalla caduta sulla Terra di uno, o molto probabilmente più frammenti contemporaneamente, precedentemente prodotti dalla disgregazione della cometa gigante progenitrice delle Tauridi. Sempre secondo Napier, in America Settentrionale l’evento provocò numerosi incendi boschivi su larga scala, causando l’estinzione della megafauna locale e il rapido declino dell’antica cultura Clovis. Nel vicino oriente, invece, l’impatto e/o l’esplosione in atmosfera di un altro frammento cometario dovrebbe aver provocato la distruzione del villaggio di Abu Hureyra, in Siria.
«È proprio questo rischio di collisioni con la Terra che rende assolutamente indispensabile studiare questi membri di grande taglia del Complesso delle Tauridi», conclude Orofino. «Determinare innanzitutto il numero esatto di questi oggetti e poi comprendere anche la loro natura e le loro caratteristiche orbitali è fondamentale per poter valutare con sufficiente anticipo la probabilità di impatto e la regione della Terra eventualmente coinvolta, al fine di approntare le opportune strategie di difesa planetaria contro questi nostri pericolosi ed ancora misteriosi “vicini di casa”».
Per saperne di più:
- Leggi su Planetary and Space Science l’articolo “Taurid complex smoking gun: Detection of cometary activity”, di Ignacio Ferrín e Vincenzo Orofino