A qualcuno potrebbero ricordare le due gigantesche creature cosmiche a forma di medusa che fluttuano nello spazio interstellare alla fine di “Incontro a Farpoint”, episodio pilota della serie tv Star Trek: The Next Generation. Sono le galassie medusa, un tipo di galassie che si trovano in gruppi o ammassi galattici e che, interagendo con il gas che permea questi ambienti, tendono a perdere il loro di gas, formando lunghe code dalla forma simile a quella dei tentacoli dei famigerati animali acquatici.
Rare e difficili da osservare, le galassie medusa rappresentano una fase importante nella storia evolutiva di galassie, gruppi e ammassi, e così molti ricercatori cercano di studiarle anche attraverso le simulazioni cosmologiche. Tra loro anche il gruppo di astrofisici guidato da Annalisa Pillepich al Max Planck Institute for Astronomy di Heidelberg, in Germania, che lo scorso giugno aveva lanciato Cosmological jellyfish, un progetto di citizen science sulla piattaforma Zooniverse che invitava il pubblico a visionare migliaia di immagini di galassie estratte dalle simulazioni della serie IllustrisTng (dove Tng sta per The Next Generation di star-trekkiana memoria) aiutando i ricercatori a stabilire quali tra queste assomiglino effettivamente a delle meduse.
Visto il grande successo dell’iniziativa, Pillepich e colleghi hanno recentemente rilanciato il progetto, invitando i volontari a classificare oltre 50mila nuove immagini per approfondire l’analisi scientifica in corso. L’interfaccia e il materiale di supporto sono adesso disponibili anche in italiano, cliccando sul menu a tendina della pagina web con le diverse lingue. Per saperne di più, Media Inaf ha raggiunto la ricercatrice a Heidelberg.
Dottoressa Pillepich, come mai avete deciso di rilanciare questo progetto?
«Il progetto lanciato su Zooniverse a giugno ha avuto molto successo: ci sono state oltre 700mila classificazioni – 20 per ciascuna delle 38mila galassie – in due settimane. Allora abbiamo pensato di rilanciarlo con tutte le galassie del nostro campione. Abbiamo già iniziato ad analizzare i dati, anche se non c’è ancora un paper: preferiamo aspettare di avere tutte le classificazioni prima di pubblicare i risultati».
C’è qualcosa di diverso in questa nuova fase del progetto?
«Ci eravamo già accorti, anche durante un progetto pilota nel nostro gruppo di ricerca alcuni anni fa, che una galassia può apparire come medusa o meno a seconda della sua inclinazione rispetto alla direzione in cui la guardiamo. Nella nuova fase del progetto Zooniverse abbiamo inserito una buona frazione di immagini già classificate nella prima fase, ma questa volta proiettate nella direzione che dovrebbe massimizzare la visione delle code galattiche. Questo ci darà una stima molto robusta su quante galassie medusa si perdono nelle osservazioni soltanto perché non le possiamo vedere nella direzione “giusta”. E poi abbiamo aggiunto molte più galassie in molte più epoche cosmologiche per studiare la loro evoluzione in dettaglio».
Dal punto di vista della partecipazione dei volontari, cambia qualcosa?
«No, sulla piattaforma Zooniverse è tutto identico: è un’estensione del progetto lanciato a giugno. Sappiamo che ci sono diversi volontari che hanno già partecipato e ora sono tornati, ma la partecipazione è più limitata rispetto alla prima fase. Però adesso il progetto è disponibile anche in italiano: siamo due italiane nel gruppo, oltre a me c’è anche la collega Martina Donnari, quindi era dovuto, e speriamo che stimoli un po’ di partecipazione in più».
A che punto siete?
«Siamo a più di metà strada. Fino a oggi ci sono stati 3700 volontari, abbiamo bisogno di circa un milione di classificazioni, e ne sono già state fatte la metà. A giugno hanno partecipato circa duemila volontari per 700mila classificazioni, significa che ognuno ha classificato in media qualche centinaia di galassie. Quindi non serve un grande sforzo, basta che ogni nuovo partecipante faccia cento, duecento clic, e ci siamo».
Torniamo all’evoluzione delle galassie: perché è importante analizzarne tante per studiare le “meduse”?
«Una simulazione come la nostra, che si chiama IllustrisTng, inizia poco dopo il Big Bang e arriva fino ai giorni nostri. Però poi facciamo degli “snapshot”, delle istantanee in un certo senso, e salviamo i dati solo ad alcuni redshift, ovvero solo in un certo numero di epoche nella storia dell’universo. Nella prima fase del progetto, avevamo selezionato questi snapshot in modo abbastanza scaglionato per evitare di avere troppe galassie. Adesso invece abbiamo preso tutte le galassie in tutti gli snapshot disponibili: questo ci dà un’idea dell’evoluzione delle galassie attraverso la storia del cosmo ogni 150 milioni di anni circa. Quindi possiamo iniziare a studiare l’evoluzione di galassie individuali, mentre prima potevamo parlare solo di popolazioni.
Una galassia diventa medusa solo se è satellite di una galassia più massiccia: deve interagire con un ambiente sufficientemente denso, come un gruppo o un ammasso di galassie, per generare la pressione ram che produce le code. Diversi modelli teorici, per esempio, prevedono la formazione di code a diverse distanze dal centro di un gruppo o ammasso. Per questo ci interessa capire quando e dove una galassia può diventare medusa: queste informazioni sono molto utili anche per chi osserva e cerca di catturare queste galassie con i telescopi».
Quante sono le galassie medusa rispetto alle galassie normali?
«È difficile dare un solo numero. La frequenza delle galassie medusa dipende dalla massa dei satelliti e dei gruppi o ammassi in cui cadono, ma anche dalla distanza dal centro di queste strutture e (poco) dall’epoca cosmologica in questione: è tutto correlato. In una struttura come l’ammasso della Vergine, se consideriamo tutti i satelliti con massa superiore a un miliardo di masse solari, ci sono molti satelliti ma solo una manciata potrebbero essere galassie medusa.
Non è molto frequente vedere queste galassie secondo le previsioni teoriche, e nelle osservazioni è ancora più complesso. E poi c’è tanta differenza tra ammasso e ammasso. Se si considerano tutti gli ammassi molto massicci, a partire dall’ammasso della Fornace per esempio e oltre, circa il 10-15 per cento dei satelliti sono galassie medusa. Ma dipende sempre dalla presenza di gas: solo se c’è abbastanza gas possiamo vedere le code. La medusa è una fase nell’evoluzione di una galassia satellite in cui questa perde tutto – o quasi tutto – il suo gas, che può essere uno dei motivi per cui una galassia cambia morfologia e smette di formare stelle. Noi pensiamo che tutte le galassie satellite passino attraverso una fase di medusa e vogliamo testare questa ipotesi dal punto di vista quantitativo».
Quanto dura questa fase?
«Questa è un’altra cosa che stiamo cercando di capire con le simulazioni. Su questo gli osservativi sono un po’ sforniti perché ogni galassia si può osservare solo in una precisa epoca. Secondo noi la fase di medusa è “relativamente veloce” – due o tre miliardi di anni – ma vogliamo capire quanto questo intervallo cambia con la massa della galassia satellite e della struttura ospite, e soprattutto in diverse epoche cosmologiche».
Avete già scoperto qualcosa grazie alle classificazioni dei volontari?
«Innanzitutto, abbiamo cercato di capire se le classificazioni dei volontari concordano con quelle del progetto pilota, nel quale avevamo potuto guardare solo qualche migliaio di galassie, anche perché eravamo solo in cinque. All’epoca avevamo selezionato galassie da una sola simulazione, la Tng100, che copre un cubo di 100 megaparsec di lato [circa 320 milioni di anni luce, ndr].
Nella prima fase del progetto di citizen science invece abbiamo aggiunto non solo molte più galassie, per cercare le galassie medusa attraverso tutte le epoche cosmologiche disponibili nella simulazione, ma anche in più di una simulazione: in particolare, la Tng50, che copre un cubo di 50 megaparsec di lato [circa 160 milioni di anni luce, ndr] e ha una risoluzione molto più alta rispetto alla Tng100. Così abbiamo potuto studiare le galassie satellite in orbita intorno a galassie meno massicce rispetto allo studio pilota. Per ora le classificazioni dei volontari sono in ottimo accordo, quasi quasi inaspettatamente, con quelle del progetto pilota, quindi possiamo davvero iniziare a studiare le galassie su tutte le epoche cosmologiche che ci interessano».
La piattaforma Zooniverse contiene anche un forum dove i partecipanti possono fare domande ai ricercatori e conversare con gli altri volontari. Ci sono state delle discussioni particolarmente accese finora?
«La maggior parte dei messaggi erano semplici domande del tipo “questa secondo me è una medusa, voi che dite?” oppure “questa non sembra una medusa, giusto?”. In un paio di casi però siamo dovuti intervenire per calmare alcune persone che discutevano molto animatamente sulla natura di queste galassie. Qualcuno poi ci ha chiesto perché non usiamo il machine learning anziché la selezione visiva: in realtà, lo faremo più avanti».
I dati del progetto sono pubblici?
«I dati delle simulazioni da cui abbiamo estratto le galassie sono già pubblici da tempo sui nostri siti, qualcuno ha domandato anche questo nella chat di Zooniverse. Più avanti vorremmo pubblicare anche i risultati della classificazione, ovvero la lista di galassie che sono o meno medusa, ma aspettiamo di pubblicare prima il primo articolo con l’analisi scientifica».
Ci può dare un’anteprima sui risultati di questo lavoro?
«A livello scientifico abbiamo visto che è vero, come ci si aspetta, che le galassie medusa sono meno frequenti in orbita intorno a galassie meno massicce di quelle al centro degli ammassi, ma tuttavia ci sono. Questo è molto importante: stiamo studiando anche satelliti che orbitano intorno a galassie con masse comparabili a quelle della nostra Via Lattea oppure della vicina galassia di Andromeda».
Come procede invece il lavoro sulle simulazioni IllustrisTng?
«Finora le simulazioni sono state usate tantissimo, più di 300 paper hanno usato le nuove IllustrisTng, oltre ai 200 che hanno usato Illustris, la simulazione precedente. Ora vogliamo andare oltre. Per esempio, la simulazione IllustrisTng più grande (chiamata Tng300) copre un volume di 300 megaparsec di lato [circa 1 miliardo di anni luce, ndr] e ora Volker Springel, il nostro mentore e autore della famosa Millennium simulation del 2005, vuole farne una ancora più grande. La Millennium è una simulazione solo di materia oscura in un volume di circa 700 megaparsec di lato [oltre 2 miliardi di anni luce, ndr] e il nuovo progetto prevede una simulazione come IllustrisTng, che include anche il comportamento della materia barionica [il gas e le stelle, molto più complessi da modellare, ndr] su un volume pari a quello della Millennium: necessariamente con una risoluzione più bassa di Tng300, altrimenti la simulazione non finirebbe mai.
E poi ci sono altri spin-off che mantengono il modello generale di IllustrisTng e aggiungono dei dettagli, per esempio nel nostro gruppo stiamo usando una tecnica di “zoom” per studiare ammassi molto massicci. In Tng300 ci sono solo trenta strutture davvero molto massicce, che sono rare nell’universo: allora stiamo facendo una simulazione di sola materia oscura su un volume molto più grande, poi selezioniamo gli ammassi più massicci e li simuliamo di nuovo per aggiungere gli effetti del gas e delle stelle, così ne avremo più di trecento da studiare».
Cosa pensa della nuova simulazione Uchuu?
«Anche questa è una simulazione solo di materia oscura, come la Millennium, ma molto più grande: due Gigaparsec di lato [oltre sei miliardi di anni luce, ndr]. È enorme, un lavoro fantastico, ma poi serve altro lavoro per “dipingere” le galassie all’interno».
Per saperne di più:
- Partecipa al progetto Cosmological jellyfish sul sito Zooniverse.org