ALTI LIVELLI DI MAGNESIO, BASSI LIVELLI DI SILICIO

Chimica delle rocce di mondi che furono

L’analisi delle righe spettrali delle atmosfere gassose di 23 nane bianche contaminate dai resti di pianeti rocciosi – rilevate dal Keck, da Hubble e da altri telescopi – ha consentito a un’astronoma e a un geologo statunitensi di ricostruire la composizione chimica dei pianeti stessi. Composizione risultata abbastanza diversa da quella che s’incontra nei mondi rocciosi del Sistema solare, e assai più varia del previsto. I risultati su Nature Communications

     03/11/2021

Rappresentazione artistica di detriti rocciosi – frammenti di un pianeta roccioso che si è frantumato – si muovono a spirale attratti verso la nana bianca al centro. Studiando le atmosfere delle nane bianche che sono state “inquinate” da tali detriti, un’astronoma del NoirLab e un geologo hanno identificato tipi di rocce esotiche che non esistono nel Sistema solare. I risultati suggeriscono che gli esopianeti rocciosi siano più strani e più vari di quanto si pensasse. Crediti: NoirLab / Nsf / Aura / J. da Silva

«Ho incontrato Keith Putirka a una conferenza, e il fatto che potesse aiutarmi a comprendere i sistemi che stavo osservando mi ha entusiasmato. Mi ha insegnato la geologia e io gli ho insegnato l’astronomia», ricorda oggi Siyi Xu, astrofisica al NoirLab della della National Science Foundation statunitense, «e abbiamo capito come dare un senso a questi misteriosi sistemi esoplanetari».

I “misteriosi sistemi esoplanetari” finiti sotto la lente bidisciplinare – astronomica e geologica – di Xu e Keith Putirka (geologo della California State University, a Fresno) sono quelli che un tempo circondavano 23 stelle simili al Sole, e che quando queste stelle sono giunte a fine vita – diventando nane bianche, come accadrà al Sole fra qualche miliardo di anni – sono stati in parte distrutti. I pianeti più vicini a ognuna di queste stelle, in particolare, sono stati inceneriti e fatti a brandelli dalla stella stessa. Il materiale di cui erano fatti si è così mescolato al gas che circonda la stella, contaminandolo: non a caso vengono chiamate in gergo “nane bianche inquinate”. Ed è proprio analizzando lo spettro dell’atmosfera gassosa di queste 23 nane bianche inquinate – tutte nel raggio di 650 anni luce da noi – che Putirka e Xu sono riusciti a risalire al materiale di cui quei mondi rocciosi ormai perduti dovevano essere fatti. Materiale sorprendentemente diverso, e molto più vario, da quello che troviamo nei pianeti rocciosi del Sistema solare – compreso il nostro.

«Alcuni esopianeti che un tempo orbitavano intorno a nane bianche inquinate sembrano simili alla Terra, ma la maggior parte presenta tipi di rocce per noi “esotici” – tipi di rocce senza controparti dirette nel Sistema solare», osserva Xu. Rocce esotiche al punto da aver costretto i due scienziati a inventare nuovi nomi per classificarle. Nomi come “pirossenite di quarzo” (per le rocce che contengono più del 10 per cento ciascuna di ortopirosseni, clinopirosseni e quarzo), per esempio, o dunite di periclasio” (quando periclasio e olivina superano il 10 per cento, e i clinopirosseni stanno invece sotto al 10 per cento).

Studi precedenti condotti sulle nane bianche inquinate avevano mostrato la presenza di alcuni elementi caratteristici dei mondi rocciosi, come calcio, alluminio e litio. Ma si trattava di elementi di solito presenti in piccola quantità, perlomeno sulle rocce terrestri. Per capire di che cosa effettivamente fossero fatti questi mondi occorreva trovare le tracce – e quantificare la concentrazione – di elementi molto più abbondanti, quali il silicio, il magnesio e il ferro. E sono state proprio le righe spettrali di questi elementi – rilevate dal Keck, da Hubble e da altri telescopi – ad aver fornito alcuni indizi, riportati ieri in un articolo su Nature Communications. Indizi preziosi anche per immaginare quale aspetto potrebbero aver un tempo avuto, questi pianeti.

«Alcuni tipi di roccia potrebbero fondersi a temperature molto più basse e produrre una crosta più spessa rispetto alle rocce terrestri», ipotizza Putirka, «e alcuni tipi di roccia potrebbero essere più deboli, il che potrebbe facilitare lo sviluppo della tettonica a placche».

Essendo state condotte attorno a nane bianche, queste osservazioni sono utili non solo per scoprire la varietà geologica dei mondi rocciosi nella Via Lattea, ma anche per farsi un’idea di quel che accadrà ai pianeti rocciosi del Sistema solare quando anche la nostra stella diventerà una nana bianca. «La cattiva notizia è che, dalle simulazioni dinamiche del Sistema solare, sembra che la Terra sia troppo piccola e troppo vicina al Sole, e potrebbe non sopravvivere allo stadio di nana bianca della nostra stella», dice a questo proposito Xu. L’eventuale scoperta di un pianeta simile alla Terra sopravvissuto attorno a una nana bianca, d’altronde, ci offrirebbe qualche speranza per la sopravvivenza del nostro pianeta. «Non abbiamo ancora trovato alcun pianeta simile alla Terra attorno alle nane bianche, ma continueremo a cercare», promette l’astronoma, «incrociando le dita».

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