Una nuova ricerca pubblicata su Nature Communications è riuscita a stabilire che molti meteoriti marziani rinvenute sulla Terra si sono probabilmente originati nei pressi del cratere Tooting, situato nella regione di Tharsis, un’enorme zona montuosa di origine vulcanica in prossimità dell’equatore di Marte, dove si trovano alcuni tra i più grandi vulcani del Sistema solare, tra cui Olympus Mons.
I meteoriti marziani sono gli unici campioni del Pianeta rosso disponibili per analisi di laboratorio. Si tratta di oltre 307 pezzi di 166 campioni unici, provenienti da almeno 11 crateri, le cui età di espulsione, valutate in base all’esposizione ai raggi cosmici, variano da 0.7 a 20 milioni di anni. I siti di provenienza, almeno prima di questo studio, erano sconosciuti.
I meteoriti marziani comprendono cinque grandi categorie petrologiche: shergottiti, nakhliti, chassigniti, ALH 84001 e NWA 7034. Di queste, le shergottiti sono le più rappresentate per massa e numero di esemplari. In base alla concentrazione di terre rare e alle composizioni isotopiche, questo gruppo è suddiviso in tre classi geochimiche distinte: impoverite, intermedie e arricchite.
Le età di espulsione delle shergottiti impoverite del campione di meteoriti marziane si raggruppano intorno a un valore di circa 1.1 milioni di anni, e si suppone quindi che siano state espulse come massi al di sotto del metro da un singolo impatto meteoritico. Ma dove si trova il cratere che ha dato loro origine?
La formazione di un cratere da impatto genera detriti espulsi con velocità sia superiori che inferiori alla velocità di fuga su Marte (pari a 5 chilometri al secondo, contro gli 11.2 chilometri al secondo sulla Terra). La frazione di materiale espulso con una velocità superiore alla velocità di fuga su Marte può attraversare l’atmosfera marziana e dirigersi nello spazio interplanetario, ad esempio verso la Terra.
Le simulazioni numeriche suggeriscono che gli eventi in grado di produrre tali frammenti formerebbero sulla superficie marziana crateri più grandi di circa 3 chilometri di diametro. In base alle simulazioni, una parte del materiale espulso con una velocità inferiore a 5 chilometri al secondo ricade sulla superficie distribuendosi intorno al cratere primario con uno schema radiale, dando origine a crateri secondari che tipicamente raggiungono un diametro massimo di circa il 2-5 per cento del diametro del cratere primario. Ad esempio, i detriti provenienti da un cratere di 30 chilometri formerebbero crateri secondari di diametro inferiore al chilometro. Questi crateri secondari sono meno profondi di quelli formati da impatti primari e vengono rapidamente erosi. Pertanto, la presenza di pattern radiali di piccoli crateri secondari associati a un cratere primario è una caratteristica diagnostica di un impatto recente.
Il cratere da impatto che ha dato origine alle shergottiti impoverite eiettate nello spazio circa 1.1 milioni di anni fa dovrebbe essere associato a numerosi piccoli crateri secondari, nell’intervallo di circa 10 – 300 metri. Si tratta quindi di riuscire a identificare, sulla superficie di Marte, crateri primari circondati da piccoli crateri secondari di quelle dimensioni.
Prima di questo lavoro, i database esistenti di crateri da impatto su Marte non coprivano i diametri (inferiori al chilometro) utili per trovare pattern radiali attorno a crateri primari inferiori a 30 chilometri. L’uso di immagini ad alta risoluzione ha risolto questo problema, ma la mappatura manuale delle decine di milioni di crateri da impatto secondari che costellano la superficie di Marte non è fattibile.
Ciò che ha fatto questo gruppo di scienziati è stato adattare un algoritmo di machine learning – chiamato Crater Detection Algorithm (Cda) – per individuare crateri inferiori al chilometro su tutta la superficie di Marte.
Con tecniche di apprendimento automatico, utilizzando uno dei supercomputer più veloci dell’emisfero australe – il Pawsey Supercomputing Centre – e il Curtin Hive (Hub for Immersive Visualization and eResearch), i ricercatori hanno analizzato un volume molto ampio di immagini planetarie ad alta risoluzione e hanno compilato un database di 90 milioni di crateri da impatto, con il quale sono riusciti a identificare sistemi di crateri secondari attorno a “candidati” crateri primari da cui potenzialmente sono partiti i meteoriti marziani.
Anthony Lagain, dello Space Science and Technology Center della Curtin University presso la School of Earth and Planetary Sciences, primo autore dello studio, sostiene che le nuove scoperte potrebbero aiutare a svelare la storia geologica del Pianeta rosso. «Osservando i campi di crateri secondari – piccoli crateri formati dal materiale espulso dal cratere più grande formatosi di recente sul pianeta – abbiamo scoperto che il cratere Tooting è la sorgente più probabile di questi meteoriti espulsi da Marte 1.1 milioni di anni fa. Per la prima volta, grazie a questa ricerca, è possibile accedere al contesto geologico di un gruppo di meteoriti marziane, 10 anni prima che la missione Mars Sample Return della Nasa rispedisca i campioni raccolti dal rover Perseverance, che sta attualmente esplorando il cratere Jezero».
Gretchen Benedix, co-autrice dello Space Science and Technology Centre della Curtin University, ha affermato che l’algoritmo che ha reso possibile tutto ciò rappresenta un importante passo avanti nel modo in cui gli scienziati possono utilizzare i terabyte di dati planetari disponibili. «Non saremmo stati in grado di riconoscere i crateri più giovani su Marte senza contare le decine di milioni di crateri di diametro inferiore a un chilometro», ha affermato Benedix. «Questa scoperta implica che le eruzioni vulcaniche si sono verificate in questa regione 300 milioni di anni fa, che su una scala geologica è un periodo molto recente. Fornisce inoltre nuove informazioni sulla struttura del pianeta, al di sotto di questa zona vulcanica».
Lagain sostiene che la ricerca potrebbe offrire benefici anche in altri settori che riguardano il nostro pianeta: «La mappatura dei crateri su Marte è un primo passo. L’algoritmo che abbiamo sviluppato può essere riaddestrato per eseguire la mappatura digitale automatizzata di qualsiasi corpo celeste. Può essere applicato alla Terra per aiutare nella gestione dell’agricoltura, dell’ambiente e persino di potenziali disastri naturali come incendi o inondazioni».
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Communications l’articolo “The Tharsis mantle source of depleted shergottites revealed by 90 million impact craters” di A. Lagain, G. K. Benedix, K. Servis, D. Baratoux, L. S. Doucet, A. Rajšic, H. A. R. Devillepoix, P. A. Bland, M. C. Towner, E. K. Sansom e K. Miljković