Da qualche giorno è pubblico il Pathways to Discovery in Astronomy and Astrophysics for the 2020s – o Astro2020: un documento delle National Academies of Sciences, Engineering and Medicine degli Stati Uniti che nelle sue 614 pagine sintetizza l’orientamento della ricerca scientifica e tecnologica nel campo dell’astronomia e dell’astrofisica nel prossimo decennio. Uscito con qualche mese di ritardo a causa delle pandemia, il documento è un Consensus Study Report che ha l’obiettivo di identificare i principali obiettivi scientifici relativi alla comprensione del cosmo, e presenta un ambizioso programma di attività terrestri e spaziali da sviluppare.
Agenzie governative come la Nasa e la National Science Foundation si affidano proprio a questo “sondaggio”, frutto dell’opinione scientifica di decine di esperti, per decidere come stanziare finanziamenti pubblici e altre risorse destinate alla ricerca astrofisica nel prossimo decennio e oltre. Negli ultimi dieci anni sono stati vinti sei Premi Nobel grazie a risultati derivanti da dati astronomici, e molti degli obiettivi presenti nel report del 2010 – New Worlds, New Horizons in Astronomy and Astrophysics – sono stati raggiunti. Per esempio, il Next Generation Space Telescope era stato identificato come la missione da sviluppare con la massima priorità. Questo progetto, poi diventato il James Webb Space Telescope, sarà lanciato dalla Guyana francese il 18 prossimo dicembre. Già nel stesso report del 2010 il Wide-Field Infrared Survey Telescope (WFirst) e il Large Synoptic Survey Telescope (List) erano già stati segnalati come progetti su cui puntare, i quali stanno infatti procedendo verso la fase operativa, anche se a rilento. Il telescopio spaziale WFirst, ora noto come Nancy Grace Roman Space Telescope, dovrebbe essere lanciato entro maggio 2027, mentre l’Lsst – rinominato nel frattempo Osservatorio Vera C. Rubin – vedrà la prima luce nel 2022 o nel 2023, se tutto va secondo i piani.
Oltre ad alcune raccomandazioni su alcune azioni critiche da fare a breve termine per potenziare gli strumenti necessari per la ricerca scientifica, in Astro2020 sono stati identificati tre importanti temi da studiare: la scoperta e lo studio di esopianeti abitabili, l’esplorazione di buchi neri e stelle di neutroni come finestre per l’universo primordiale e una migliore comprensione dell’origine e dell’evoluzione delle galassie. Per raggiungere questi e altri obiettivi ambiziosi sarà necessario un nuovo programma spaziale, erede del Great Observatories programme della Nasa, che ha permesso di lanciare nello spazio dal 1990 al 2003 ben quattro telescopi spaziali, a partire dallo Hubble Space Telescope.
Secondo Astro2020 le risorse devono essere concentrate su un telescopio spaziale con uno specchio primario di circa otto metri di diametro, ottimizzato sull’infrarosso e capace di osservare l’universo dall’infrarosso all’ultravioletto. Il futuro telescopio – chiamato per ora Luvoir, da Large Ultraviolet Optical Infrared Surveyor, e per il quale esiste anche un’opzione con lo specchio da quindici metri – dovrebbe essere pronto per il lancio nei primi anni ’40 e avrà il compito di cercare segni biologici nelle atmosfere di circa venticinque esopianeti ritenuti potenzialmente abitabili. La sua missione potrebbe costare circa undici miliardi di dollari – una cifra paragonabile a quella richiesta da Jwst.
Sarà quindi Lovoir il vero erede di Hubble? A rispondere alla domanda da undici milioni di dollari è Roberto Ragazzoni, direttore dell’Inaf di Padova. «L’Hubble Space Telescope, pur essendo dotato di un diametro “modesto” in confronto ai telescopi da terra, ha rivoluzionato la nostra conoscenza del cosmo, in modi diversi da quelli che ci aspettavamo al momento del lancio. È lecito aspettarci un esito simile da un grande osservatorio come il Jwst e altrettanto per un suo successore come Luvoir, un telescopio della classe di almeno otto metri che non potrà non fare tesoro dell’esperienza, che speriamo più che decennale. È rimarchevole che le conclusioni del documento americano, almeno in questo segmento di lunghezza d’onda, tendano a consolidare il loro primato nazionale con un progetto – ancora più ambizioso – di un grande osservatorio “generalista” nello spazio».
Da terra, invece, si continuerà a dare priorità ai due colossi Giant Magellan Telescope (sette telescopi combinati di classe otto metri) e Thirty Meter Telescope (con uno specchio primario da trenta metri), che dovranno garantire alla comunità astronomica americana l’accesso a osservazioni in grado di rispondere ai quesiti di tutte e tre le aree scientifiche considerate prioritarie e integrare i telescopi spaziali del presente e del futuro.
Alle grandi lunghezze d’onda dovrebbe pensarci il Cosmic Microwave Background Stage 4 Observatory, un balzo in avanti per le osservazioni da terra dell’universo primordiale e per la comprensione della sua evoluzione. Infine, i principali osservatori radio statunitensi dovrebbero essere sostituiti dal Next-Generation Very Large Array, dotato di una sensibilità dieci volte maggiore rispetto agli attuali radiotelescopi di punta: il Karl Jansky Very Large Array e il Very Long Baseline Array. La pianificazione tecnica non tarderà a iniziare per poter entrare nella fase di costruzione entro il 2030.