Per quanto ci si possa preparare a un lancio spaziale considerando ogni possibile imprevisto, vi è sempre una variabile indipendente che determina la possibilità di procedere davvero, con il lancio: il meteo. Il lancio di cui parliamo oggi – l’avrete intuito – è il più chiacchierato del periodo, quello di Jwst, che non poteva farsi mancare anche l’imprevisto meteorologico. Secondo le ultime notizie, la situazione meteo su Kourou sarebbe incerta e di lanciare alla Vigilia proprio non se ne parla. Il James Webb Space Telescope continuerà a ingombrare buona parte del posto sotto l’albero di Natale, allora, visto che si slitta – il gioco di parole viene da sé – proprio al 25 alla stessa ora. L’orario, per chi festeggerà qui in Europa, coinciderà proprio con quello del pranzo di Natale.
Ma come mai un razzo che viene lanciato dalla Terra e può raggiungere L2, il punto lagrangiano secondo, in un viaggio lungo 1.5 milioni di chilometri, si preoccupa di un po’ di nuvole o di un temporale? Se parlassimo di un uragano, si potrebbe certamente intuire il rischio. Non si tratterà di eccesso di prudenza?
Sono 14 le situazioni meteorologiche attentamente monitorate e valutate prima di un lancio, e sono tutte descritte nell’immagine qui a fianco (riferita però non a un Ariane 5, come quello sul quale viaggerà Jwst, ma a un Falcon 9 Crew Dragon di SpaceX, che presenta qualche vincolo in più legato al rientro della capsula, assente nel caso di Jwst). La violazione di una qualsiasi di esse causa il rinvio del lancio a un giorno (all’interno della finestra di lancio disponibile) con tempo migliore. Il maltempo è la prima causa di ritardi nei lanci spaziali, e il 30 per cento di questi ritardi è dovuto al rischio di fulmini. Se un veicolo di lancio fosse colpito da un fulmine, infatti, il rischio concreto sarebbe quello di cortocircuito elettrico, che con ogni probabilità comprometterebbe il sistema di guida del veicolo stesso portando il razzo fuori controllo. Il rischio finale, da evitare a ogni costo, è quello che esso cada su regioni abitate della Terra.
Anche quando non ci sono tuoni, pioggia o temporali, comunque, il rischio di fulmini persiste: si tratta però di un tipo di fulmine diverso da quello di cui si preoccupano i meteorologi. Un veicolo di lancio che sale attraverso le nuvole, infatti, può innescare un fulmine a campi elettrici più bassi di quelli richiesti per i fulmini naturali. Questo perché esso agisce come conduttore nell’aria abbassando la soglia richiesta dalla fisica per innescare un lampo. Si tratta di un cosiddetto “fulmine autoindotto” e fu sperimentato, ad esempio, nel 1969 quando l’Apollo 12 si lanciò attraverso nuvole che producevano un debole campo elettrico. Il veicolo spaziale, in quel caso, innescò due fulmini, e nessuno di questi era naturale. Adeguati sistemi di backup fortunatamente permisero al volo di procedere senza disastri, ma dopo quella missione l’attenzione al problema dei fulmini naturali e innescati fu decisamente maggiore.
Un’altra questione, precisa l’Esa in un tweet che risponde proprio alle questioni poste circa il rischio meteorologico, è quella del vento. Una leggera brezza al momento del lancio va bene, ma se la velocità del vento supera i 48 km/h circa a un’altezza di circa 50 metri dal suolo, siamo già oltre il limite concesso per lanciare in sicurezza. In altre parole, nessun lancio fino a quando il vento non diminuisce, perché venti a queste velocità e superiori potrebbero spingere il razzo fuori rotta.
Che dire, dunque, soprattutto ai diretti interessati: godetevi il cenone della Vigilia, perché l’agitazione potrebbe rendere il pranzo di Natale un po’ più indigesto del solito. La speranza, per sabato, è ovviamente quella di poter fare un doppio brindisi.