Lago sì, lago no. Colpo su colpo, la partita a ping pong sulla presenza o meno di acqua allo stato liquido nel sottosuolo marziano continua. Era iniziata nell’estate del 2018 con un articolo pubblicato su Science che annunciava la scoperta d’un bacino di acqua liquida e salmastra nelle profondità del Polo sud di Marte, intravisto nei segnali raccolti con il radar italiano Marsis (da Mars Advanced Radar for Subsurface and Ionosphere Sounding) a bordo della sonda europea Mars Express. Italiano il radar e in gran parte italiana anche la squadra di ricercatori, capitanata da Roberto Orosei dell’Inaf, primo autore di quell’articolo di tre anni fa.
Interpretazione che non ha però convinto tutti. L’estate scorsa una serie di tre articoli pubblicati su Geophysical Research Letters nell’arco di poche settimane ha proposto ipotesi alternative per spiegare gli echi radar raccolti da Marsis: non sarebbero la firma dell’acqua allo stato liquido, bensì di altre sostanze – ghiacci salini, per esempio, oppure argille come la smectite, le cui proprietà dielettriche sarebbero in grado di generare forti riflessioni basali analoghe a quelle osservate.
La pallina è così tornata nella metà campo del team lago-sì, chiamiamolo così per brevità, che ha risposto questa settimana con un nuovo articolo, pubblicato questa volta su Earth and Planetary Science Letters, nel quale si smonta l’ipotesi argilla con una nuova serie di misure. Contro-misure, potremmo dire, nel senso che – attraverso un’analisi delle proprietà dielettriche di alcuni materiali, condotta in laboratorio raccogliendo misure di permettività, un parametro legato al coefficiente di riflessione dei materiali stessi – portano a conclusioni contrarie a quelle suggerite dalle misure compiute nei mesi scorsi, sempre in laboratorio, dai team lago-no, come quello guidato da Isaac Smith della York University canadese.
«Consapevoli che il metodo scientifico si basa sulla assunzione di un’ipotesi e sulla sua verifica, attraverso esperimenti o analisi dei dati, non ci restava che rimboccarci le maniche e verificare tali ipotesi», dice Elena Pettinelli, geofisica all’Università Roma Tre e coautrice del nuovo articolo. «Avendo già lavorato in passato su questi materiali, proprio per supportare le misure di Marsis, ci siamo resi conto che i lavori pubblicati su Geophysics Research Letters avevano diversi punti deboli. Prima di tutto erano in contraddizione con la teoria dielettrica delle argille e dei ghiacci salini, poi le misure presentate nell’articolo di Smith e colleghi non sembravano essere in accordo con la vasta letteratura sperimentale sulle proprietà dielettriche delle argille. Tuttavia, poiché le misure a temperature marziane e alla frequenza di Marsis erano poche abbiamo deciso di integrarle con nuove misure di laboratorio». Nuove misure condotte al Dipartimento di matematica e fisica di Roma Tre su sei campioni di sedimenti argillosi – raccolti in diversi ambienti e appartenenti a diverse epoche, da recenti depositi fluviali dell’Olocene a depositi metamorfici antichi fino a 200 milioni di anni – in un ampio intervallo di temperature (da 200 a 298 kelvin, ovvero da -73 a + 24 °C) e di frequenze (da 1 MHz a 1 GHz). Sei campioni argillosi, dicevamo, raccolti qui sulla Terra – in Italia, per la precisione – ma simili a quelli trovati su Marte.
«Le nostre misure confermano che alle temperature tipiche della base dei depositi polari sud marziani (200 K), e alle frequenze di Marsis, le argille non possono generare forti riflessioni come recentemente ipotizzato dai due articoli pubblicati da Smith e colleghi (2021) e da Bierson e colleghi (2021)», spiega la prima autrice del nuovo studio, Elisabetta Mattei, dell’Università Roma Tre. «Le nostre misure sono in perfetto accordo con la teoria delle proprietà dielettriche e con le misure sperimentali effettuate da molti autori negli ultimi sessant’anni su diversi tipi di argille a basse temperature e a diverse frequenze».
«Inoltre, poiché sappiamo che l’acqua alla base del ghiaccio non può essere pura», aggiunge Mattei, «perché sarebbe allo stato solido alle temperature marziane, abbiamo cominciato a investigare in dettaglio le proprietà dielettriche di soluzioni saline contenenti sali particolari, come i perclorati e i cloruri, che sono stati trovati sulla superficie di Marte. Questo lavoro è stato fatto in collaborazione con un collega americano, David Stillman, del Southwest Research Institute a Boulder (Colorado) che firma con noi l’articolo, e dimostra che l’acqua può trovarsi in diverse condizioni: mescolata al ghiaccio, nei pori dei sedimenti basali o accumulata alla base dei depositi polari. I risultati mostrano inoltre che, contrariamente a quanto ipotizzato da altri ricercatori, le concentrazioni di sali necessarie per mantenere l’acqua liquida anche a basse temperature (circa 200K) sono relativamente piccole e non richiedono che le soluzioni siano ipersaline».
«Questo risultato», conclude Mattei, «oltre ad essere compatibile con le concentrazioni di sali trovate sulla superficie di Marte, ha importanti conseguenze sulla possibilità che questa acqua fredda basale possa ospitare la vita». Dunque non solo viene ribadita la plausibilità della presenza di acqua liquida nel sottosuolo del Pianeta rosso, ma viene anche sottolineato che non deve per forza trattarsi di robaccia salatissima: potrebbe essere una “salamoia” – in inglese brine, così gli scienziati chiamano questo tipo di soluzioni saline dal punto di congelamento molto basso – compatibile con qualche forma di vita.
Un risultato promettente, certo, ma non siamo ancora alla schiacciata che potrebbe porre fine alla sfida: una contro-risposta da parte della squadra avversaria è da mettere in conto. A impedire al team lago-sì di rilassarsi è però un’altra minaccia: l’essere costretti a restituire la “racchetta”, ponendo così termine al gioco prima ancora che la partita sia finita. Dove la racchetta, fuor di metafora, è lo stesso radar Marsis a bordo della sonda Mars Express, il cui collocamento a riposo potrebbe essere dietro l’angolo.
«C’è ancora molto lavoro da fare», sottolinea infatti Orosei, anch’egli fra i coautori del nuovo articolo, «a partire da nuove misure del radar per confermare quanto visto in precedenza, e per approfondire lo studio di altre aree dove sono stati rilevati echi radar sotterranei analoghi a quelli che hanno portato all’identificazione dell’acqua. A breve si discuterà se continuare a far funzionare Mars Express fino alla fine del 2025, oppure spegnerla a fine anno. Per noi è molto importante proseguire le misure, e speriamo di contribuire a convincere l’Esa in tal senso».
«L’analisi dei dati già a disposizione è comunque ben lontana dall’essere terminata», mette comunque in chiaro Orosei, «mentre stiamo ampliando il ventaglio di tecniche e metodi con cui studiamo le proprietà del segnale radar. Le possibilità di studio e sperimentazione sono ancora moltissime, ed è difficile coprirle tutte con le risorse di cui disponiamo. Dalle misure di laboratorio, alle simulazioni elettromagnetiche, all’elaborazione del segnale, per arrivare all’interpretazione geologica della stratigrafia vista dal radar, c’è ancora un tesoro di conoscenza sulla storia geologica e climatica di Marte nascosto nei dati di Marsis».
Per saperne di più:
- Leggi su Earth and Planetary Science Letters l’articolo “Assessing the role of clay and salts on the origin of MARSIS basal bright reflections”, di Elisabetta Mattei, Elena Pettinelli, Sebastian Emanuel Lauro, David E. Stillman, Barbara Cosciotti, Lucia Marinangeli, Anna Chiara Tangari, Francesco Soldovieri, Roberto Orosei e Graziella Caprarelli