Al centro della maggior parte delle galassie, buchi neri con masse di milioni o addirittura miliardi di volte quella del Sole divorano grandi quantità di gas, polvere e stelle. La fisica ci dice che questo materiale, prima di cadere nelle fauci del buco nero supermassiccio, tende a formare un disco di accrescimento. Tali dischi di accrescimento sono tra i luoghi meno “invitanti” e più violenti dell’universo conosciuto, con velocità che si avvicinano alla velocità della luce e temperature di gran lunga superiori a quelle sulla superficie del Sole. Questo calore produce radiazioni che noi vediamo come “luce”, ma la conversione del calore in luce è così efficiente – circa 30 volte più efficiente della fusione nucleare – che i fisici tuttora non hanno ancora ben compreso come sia possibile.
Il “regime alimentare” dei buchi neri supermassicci è molto vario. Alcuni, come quello della nostra galassia, non hanno molta fame e non sembrano avere dischi di accrescimento. Altre galassie invece sono molto più fameliche e i buchi neri presentano dischi di accrescimento estremamente caldi, così luminosi da eclissare tutte le stelle nella galassia stessa.
Solo nel 2019 è stata presentata la prima immagine di un buco nero dall’Event Horizon Telescope. Tuttavia, il disco di accrescimento in questione appartiene a una galassia molto vicina e non è facile riuscire a ottenere simili risultati con galassie più lontane, poiché i dischi appaiono troppo piccoli e non si riescono a distinguere nemmeno usando i più grandi telescopi.
Ma sembra esserci un altro modo per sondare le dimensioni e la struttura dei dischi di accrescimento distanti: sebbene non possiamo risolvere le varie componenti dei dischi, possiamo studiare come l’intensità del disco varia nel tempo e riuscire così ad avere un’immagine dei dischi di accrescimento anche delle galassie più lontane. Questo è ciò che ha fatto John Weaver del Cosmic Dawn Center, esaminando le passate osservazioni di oltre 9mila galassie con dischi di accrescimento particolarmente luminosi – i cosiddetti quasar – della Sloan Digital Sky Survey.
Quando la sorgente non viene risolta (ossia non si riesce a distinguere nitidamente nelle immagini), la luce osservata dal disco di accrescimento è “contaminata” dalla luce della galassia che ospita il buco nero. Utilizzando un nuovo modello per le variazioni della luminosità dei quasar, John Weaver e il suo collaboratore Keith Horne, professore di astronomia all’Università di St Andrews, sono stati in grado di distinguere la luce del disco di accrescimento da quella della galassia ospite. In altre parole, il modello ha permesso loro di vedere meglio la luce del disco di accrescimento attorno ai buchi neri supermassicci, anche in galassie distanti miliardi di anni luce.
Weaver e Horne hanno scoperto che la polvere cosmica vicino al disco di accrescimento sta probabilmente bloccando la visuale. Utilizzando diversi modelli di polvere per spiegare e rimuovere i suoi effetti oscuranti, sono stati in grado di determinare quanto è caldo il disco di accrescimento, sia vicino al buco nero che lontano da esso, ai bordi del disco. La differenza di temperatura tra il disco interno caldo e il disco esterno più freddo è stata prevista teoricamente. Tuttavia, ciò che Weaver e Horne hanno trovato è un quadro molto diverso della temperatura del disco: i dischi si sono rivelati ancora più caldi vicino al buco nero di quanto inizialmente previsto. Questa inaspettata scoperta è stata pubblicata su Monthly Notices of The Royal Astronomical Society e suggerisce che le ipotesi e i modelli teorici debbano essere rivisti.
Per saperne di più:
- Leggi su Monthly Notices of The Royal Astronomical Society l’articolo “Dust and the intrinsic spectral index of quasar variations: hints of finite stress at the innermost stable circular orbit“ di John R Weaver e Keith Horne