Uno scettico potrebbe chiedersi, come può una persona ipovedente o non vedente sperare di diventare uno scienziato? Come potrebbe portare avanti gli esperimenti? O accedere alla vasta letteratura scientifica?
Queste domande non hanno scalfito la curiosità dei dieci scienziati – del passato e del presente – protagonisti de L’Universo tra le dita. Storie di scienziati ipovedenti o non vedenti (edizioni Efesto), primo libro di Michele Mele, matematico ipovedente, nato a Salerno, classe 1991.
L’agile saggio colleziona storie e invenzioni di alcuni scienziati con l’intento di guidare il lettore attraverso un’analisi profonda dei fattori che hanno permesso loro di seguire le proprie passioni, e ispirare i giovani ipovedenti e non-vedenti, così come le loro famiglie e i loro insegnanti, a non lasciarsi influenzare o scoraggiare dagli stereotipi.
Secondo l’autore, infatti, la prima vera causa di cecità nella nostra società è il pregiudizio. Siamo circondati da stereotipi che propongono lo scienziato chino sulla sua scrivania a fissare numeri e formule strane, quasi incomprensibili; oppure l’astronomo a scrutare il cielo notturno alla ricerca di qualcosa di insolito, mai osservato prima. Questi preconcetti suggeriscono l’idea che la ricerca scientifica sia qualcosa di esclusivamente visivo, e non tiene conto del processo creativo che sta alla base della scoperta e che non si affida agli occhi, bensì alla mente.
Scopo ambizioso di questa agile raccolta è proprio quello di contrastare il pregiudizio e ogni forma di ghettizzazione sociale che circondano le carriere di persone che soffrono di gravi patologie della vista, svilendone il ruolo nell’ambito della ricerca scientifica.
Così, vengono raccontate le storie di ben sei scienziati del passato, vissuti tra il diciottesimo e il ventesimo secolo: Nicholas Saunderson e Leonhard Euler, matematici e fisici, John Metcalf, ingegnere civile, Francois Huber, entomologo con la passione per le api, Jacob Bolotin, medico, e Abraham Nemeth, matematico e inventore. A queste si aggiungono le storie di quattro scienziati ancora molto attivi nei loro campi di ricerca come i chimici Mona Minkara e Henry Wedler, il matematico Lawrence Bagget e l’ingegnere biomedico Damion Corrigan, che in occasione della stesura del libro, hanno chiacchierato a lungo con l’autore, descrivendo il loro percorso accademico attraverso successi e traguardi.
Il libro di Mele, tuttavia, si rivela essere molto più di una semplice raccolta di storie di scienziati segnate dai successi e dagli ostacoli dovuti alla loro disabilità. Viaggiando tra i vari capitoli, a un lettore attento non sfuggirà il vero fil rouge che lega tutti i protagonisti citati, nonostante siano essi molto distanti tra loro per epoca, ambito sociale e culturale. Tutti loro possiedono un dono molto speciale. Il genio, direbbe qualcuno, unito alla capacità di guardare oltre, probabilmente accentuato dall’impossibilità di osservare il mondo come la maggior parte delle persone, e una smisurata curiosità. Sono tutti ingredienti fondamentali, ma manca il dono più importante, l’unico in grado di far sì che ai giovani non venga preclusa a priori nessuna strada: il sostegno di qualcuno. Un dono in grado di combattere qualsiasi forma di autocommiserazione.
Proprio per questo l’autore, mentre snocciola le storie di questi pionieri della scienza inclusiva, ci tiene a menzionare tutti gli attori non protagonisti del loro successo – genitori, mogli, figli, colleghi, insegnanti – perché fin dal principio del loro percorso sono stati in grado di andare oltre la loro disabilità e di supportare il loro genio.
Grazie al linguaggio diretto ed efficace di Mele, questo è un libro per tutti. L’autore costruisce un viaggio appassionato in cui è impossibile non tifare per tutti i suoi protagonisti. Un libro che ispira a ripensare gli ambienti, scolastici e accademici, perché ognuno ha il diritto di essere sempre sostenuto, indipendentemente dal luogo di provenienza e dalle proprie vicende umane, per esprimere a pieno il proprio potenziale.
Correzione dell’8/2/2022: l’autore del libro è un matematico, non un matematico e ingegnere come inizialmente riportato.