Secondo un nuovo studio condotto da un team di scienziati guidati dall’Università di Leicester, nel Regno Unito, ad alimentare le straordinarie aurore ai poli del gigante gassoso Saturno sarebbero venti d’alta quota.
In tutti gli altri pianeti osservati, inclusa la Terra, lo spettacolo delle aurore polari è dovuto solo a potenti correnti di particelle che fluiscono nell’atmosfera del corpo celeste dalla circostante magnetosfera. Queste correnti sono guidate sia dall’interazione con le particelle cariche provenienti dal Sole con il vento solare (come nel caso della Terra), sia dal materiale vulcanico espulso da una luna in orbita attorno al corpo celeste (come nel caso di Giove e Saturno).
In un articolo uscito sulla rivista Geophysical Research Letters, il ricercatore dell’Università di Leicester Nahid Chowdhury e i suoi colleghi descrivono la scoperta di un meccanismo che alimenta i bagliori luminosi ai poli di Saturno mai visto prima: il primo esempio noto di aurora causata da fenomeni meteorologici.
Utilizzando l’Osservatorio Keck di Mauna Kea, alle Hawaii, gli astronomi hanno osservato le aurore boreali di Saturno nell’estate del 2017. Hanno quindi misurato le emissioni nell’infrarosso dall’atmosfera superiore del gigante gassoso e mappato il flusso variabile dei venti nella ionosfera, uno strato molto al di sotto della magnetosfera del pianeta. La mappa così ottenuta, confrontata con quella prodotta da emissioni radio aurorali – luce prodotta con le eso-aurore dall’interazione tra il vento stellare e il sistema magnetosfera-ionosfera planetaria – ha mostrato che una parte significativa delle aurore ai poli del pianeta può essere spiegata da un doppio vortice di venti atmosferici. Il meccanismo proposto è questo: i venti originano da una regione dell’alta atmosfera del pianeta, spingono la ionosfera a muoversi in modo altrettanto vorticoso e una volta raggiunta la circostante magnetosfera, guidano le correnti che producono l’aurora polare.
I ricercatori ritengono, in particolare, che il processo aurorale sia guidato dall’energia della termosfera di Saturno – una regione dell’atmosfera del pianeta – con venti che nella ionosfera – la parte ionizzata della termosfera – soffiano tra i mille e i diecimila chilometri orari.
«Questa ricerca di un nuovo tipo di aurora si rifà ad alcune delle prime teorie sull’aurora terrestre» spiega Tom Stallard, professore all’Università di Leicester e co-autore della pubblicazione. «Sappiamo che le aurore sulla Terra sono alimentate dalle interazioni con il flusso di particelle cariche provenienti dal Sole, ma è interessante il fatto che Aurora Borealis significhi “alba del vento del nord” [dal nome della dea romana dell’alba, Aurora, e dal nome del dio greco del vento del nord, Borea, suo figlio – ndr]. Queste osservazioni hanno rivelato che Saturno ha una vera aurora boreale, la prima in assoluto guidata dai venti nell’atmosfera di un pianeta».
La scoperta riguardante le aurore di Saturno non cambia solo la comprensione dello scenario di formazione delle aurore planetarie, ma risponde anche a uno dei primi misteri sul pianeta sollevati dai dati raccolti dalla sonda Cassini della Nasa: perché non possiamo calcolare facilmente la durata di un giorno sul pianeta inanellato?
Quando nel 2004 è arrivata per la prima volta su Saturno, la sonda Cassini ha cercato di determinare la velocità di rotazione del pianeta – un parametro che determina la durata del giorno – tracciando l’emissione radio dall’atmosfera. Con grande sorpresa degli astronomi, le misurazioni rilevarono una velocità di rotazione del pianeta di 10 ore e 45 minuti, circa 6 minuti in più rispetto a quanto misurato dalla sonda Nasa Voyager 2, che l’ha sorvolato nel lontano 1981. Secondo gli autori dello studio, le variazioni temporali del periodo di rotazione di Saturno derivano da variazioni localizzate a lungo termine proprio nella velocità di rotazione del doppio vortice atmosferico.
«La nostra comprensione della fisica degli interni dei pianeti ci dice che il tasso di rotazione del pianeta non può cambiare così rapidamente, quindi qualcosa di unico e strano deve accadere a Saturno», osserva Nahid Chowdhury, primo autore della pubblicazione. «Per tentare di spiegare il meccanismo o i meccanismi alla base di queste periodicità osservate, dall’avvento della missione Cassini della Nasa, sono state proposte diverse teorie. Questo studio ha condotto alla rilevazione del motore fondamentale, situato nell’atmosfera superiore del pianeta, che continua a generare sia le periodicità planetarie osservate che le aurore».
«È assolutamente emozionante essere in grado di fornire una risposta a una delle domande più antiche nel nostro campo», aggiunge il ricercatore. «È probabile che questo avvii un ripensamento su come gli effetti atmosferici locali di un pianeta influenzino la creazione di aurore, non solo nel Sistema solare ma anche più lontano».
A causa della variabilità nella velocità di rotazione osservata su Saturno, concludono gli autori, non è stato possibile utilizzare gli impulsi delle emissioni radio per calcolare la sua velocità di rotazione e quindi la durata del giorno sul pianeta. Fortunatamente, gli scienziati della missione Cassini hanno sviluppato un nuovo metodo che utilizza le perturbazioni indotte dalla gravità nel suo complesso sistema di anelli. Grazie a esso, il periodo di rotazione del pianeta è stato rideterminato nel 2019 in 10 ore, 33 minuti e 38 secondi.
Per saperne di più:
- Leggi su Geophysical Research Letters l’articolo “Saturn’s Weather-Driven Aurorae Modulate Oscillations in the Magnetic Field and Radio Emissions” di M. N. Chowdhury, T. S. Stallard, K. H. Baines, G. Provan, H. Melin, G. J. Hunt, L. Moore, J. O’Donoghue, E. M. Thomas, R. Wang, S. Miller e S. V. Badman
Guarda l’animazione sul canale YouTube dell’Università di Leicester: