Questa volta è andata male, al trenino di satelliti Starlink: dei 49 vagoncini che formavano l’ultimo convoglio spaziale – lanciato con successo da SpaceX giovedì scorso – ne sono deragliati quattro su cinque: fino a 40, fa sapere la società di Elon Musk. All’origine della débâcle, una tempesta geomagnetica che si è abbattuta sui malcapitati satelliti venerdì 4, dunque poche ore dopo il lancio, costringendoli così a rientrare in atmosfera, dove sono destinati a incenerirsi (pare ne sia già stato avvistato uno su Porto Rico). Senza alcun rischio di collisioni o detriti, promette SpaceX, sottolineando come questo evento stia mostrando quanto il team di Starlink abbia fatto per garantire un sistema all’avanguardia nella mitigazione del problema dei detriti in orbita.
Ma com’è possibile che una tempesta magnetica d’intensità nemmeno eccezionale abbia messo in ginocchio un numero così elevato di satelliti?
«Nella fascia di altezze tra 300 e 1000 km», spiega a Media Inaf Mauro Messerotti, fisico solare all’Inaf di Trieste e senior advisor dell’Inaf per lo space weather, «si muovono i veicoli spaziali posti in orbite basse (Leo, Low-Earth Orbit) come i piccoli satelliti, il telescopio spaziale Hubble e la Stazione spaziale internazionale (Iss), dove l’attrito è molto basso a causa della ridottissima densità dei gas dell’atmosfera, che decresce con l’altezza. Molti di essi orbitano nella termosfera, lo strato di atmosfera terrestre che si estende da 95 a 500 km di altezza. Una perturbazione del campo geomagnetico – dunque una tempesta geomagnetica – determinata dalla compressione della magnetosfera terrestre a opera di una eiezione di massa espulsa dalla corona solare (Cme, Coronal Mass Ejection) arrivata sul nostro pianeta, può trasferire energia alla termosfera, che si riscalda e si espande ad altezze maggiori. In questo modo, strati atmosferici di densità maggiore si espandono verso l’alto. In questa condizione i veicoli spaziali in orbite Leo subiscono un attrito aumentato, e questo ne causa una progressiva diminuzione dell’altezza rispetto a quella originaria fino a precipitare sulla superficie terrestre, quando non abbiano sistemi di propulsione in grado di riportarli alle altezze nominali».
«La compagnia SpaceX», continua Messerotti, «imputa a questo fenomeno la perdita di 40 satelliti Starlink lanciati il 3 febbraio 2022 e perduti il giorno dopo, i cui Gps di bordo avevano misurato un aumento dell’attrito atmosferico superiore a quello che era stato misurato in lanci precedenti. A seguito dell’interazione con una Cme, Il 4 febbraio 2022 il campo geomagnetico è stato moderatamente perturbato in modo intermittente fino alla generazione di una tempesta geomagnetica di classe G1 (il livello più basso). Tale sequenza di perturbazioni minori ha evidentemente trasferito sufficiente energia alla termosfera per determinarne l’espansione, facendo aumentare l’attrito, il che ha impedito ai satelliti Starlink di uscire dalla modalità sicura in cui erano stati posti per precauzione, in modo da fendere l’atmosfera di taglio, e riportarsi nella modalità operativa per raggiungere l’altezza nominale. Quindi sono rientrati nell’atmosfera bassa fino a distruggersi a causa dell’elevato attrito oppure a precipitare sulla superficie».
Se fosse stato possibile prevedere questo effetto sulla termosfera con un anticipo di almeno 36 ore, forse di sarebbe potuto sospendere il lancio. Ma fare una previsione di questo tipo con tale anticipo è ancora un po’ al di là della portata degli strumenti attualmente usati.
Guarda il video dell’avvistamento di un possibile rientro di uno dei 40 Starlink: