Insieme al Dna e all’Rna, le proteine sono una classe di macromolecole biologiche fondamentali per la vita come la conosciamo. Caratterizzate da una moltitudine di funzioni – strutturale, di trasporto, contrattile, enzimatica, ormonale e protettrice (gli anticorpi che produciamo per difenderci da corpi estranei e agenti patogeni sono, ad esempio, proteine) – sono, dopo l’acqua, le molecole più abbondanti nell’organismo. La loro struttura primaria è una catena più o meno lunga di aminoacidi – le unità fondamentali – legati insieme da un particolare tipo di legame chimico chiamato legame peptidico. Catene proteiche “semplici”, lunghe fino a 100 aminoacidi, vengono generalmente chiamate peptidi.
Come e dove si siano originate queste versatili biomolecole prima della comparsa sulla terra di organismi viventi è una delle domande che si pone chi si occupa di astrobiologia, una disciplina il cui scopo è di svelare i misteri alla base dell’origine della vita nell’universo. La presenza di aminoacidi nelle meteoroidi e nelle comete suggerisce che questa origine potrebbe essere extraterrestre. L’ipotesi più diffusa per la loro formazione nello spazio prevede che la sintesi avvenga nel mantello ghiacciato che ricopre i grani di polvere cosmica del mezzo interstellare, in particolare nei grani presenti all’interno delle “culle cosmiche” che chiamiamo nubi molecolari. Questi granelli di polvere possono formare asteroidi e comete attraverso i quali le molecole organiche potrebbero essere giunte sulla Terra miliardi di anni fa.
Uno tra i modi che gli studiosi hanno per verificare questa ipotesi è quello di ricreare in laboratorio le condizioni presenti in ambienti analoghi e vedere la chimica che si sviluppa a partire dai singoli atomi costituenti. Finora, tuttavia, è stato dimostrato che in condizioni spaziali simulate si formano solo molecole di interesse biologico relativamente piccole. Inoltre, affinché un peptide si formi da singoli aminoacidi, sono necessarie condizioni particolari la cui esistenza in precedenza si credeva fosse più probabile sulla Terra.
Un team di ricercatori dell’Università di Jena (Germania) e del Max Planck Institute for Astronomy (sempre in Germania) ha ora dimostrato per la prima volta che i peptidi possono formarsi su grani di polvere cosmica. I risultati dello studio sono pubblicati sulla rivista Nature Astronomy.
È opinione comune che la sintesi prebiotica dei peptidi avvenga in due fasi. Il primo stadio è la formazione degli aminoacidi a partire dagli atomi che li costituiscono. Il secondo è la loro polimerizzazione attraverso un processo che prevede la condensazione degli stessi aminoacidi accompagnata dalla perdita di acqua, in una reazione che ha una elevata barriera energetica. Questo fa sì che la probabilità che avvengano le due fasi sia bassa, motivo per cui i ricercatori ipotizzano un processo di formazione nello spazio molto più semplice e diretto di quello che avviene in ogni singola cellula del nostro organismo.
«L’acqua gioca un ruolo importante nel modo convenzionale in cui vengono creati i peptidi», sottolinea Serge Krasnokutski, ricercatore del Max Planck Institute for Astronomy e primo autore dello studio.
In questo processo, i singoli aminoacidi si combinano per formare una catena attraverso la formazione del legame peptidico. Affinché ciò avvenga, è necessario che venga rimossa ogni volta una molecola d’acqua. «I nostri calcoli di chimica quantistica hanno ora dimostrato che l’aminoacido glicina può essere formato attraverso un precursore chimico – chiamato aminochetene – in presenza di una molecola d’acqua», continua Krasnokutski. «In parole povere, in questo caso occorre aggiungere acqua per la prima fase del processo di sintesi e rimuoverla per la seconda».
Per testare la loro ipotesi, i ricercatori hanno utilizzato una camera ad ultra-alto vuoto – una sorta di enorme pentolone chiuso ermeticamente contenente il substrato che simula la superficie delle particelle di polvere cosmica – nella quale hanno aggiunto, come ingredienti base, carbonio, ammoniaca e monossido di carbonio, sottoposti a una pressione migliaia di miliardi di volte inferiore alla normale pressione atmosferica e a temperature di -263 gradi Celsius. Terminato l’esperimento, il risultato, esattamente come previsto dalla teoria, è stato la formazione di peptidi costituiti da catene di poliglicina: in pratica, la condensazione del carbonio, dell’ammoniaca e del monossido di carbonio sulla superficie della polvere cosmica simulata ha portato alla formazione di molecole di aminochetene (NH 2CH=C=O) che, dopo la loro sublimazione dal substrato, hanno reagito tra di loro producendo molecole di poliglicina di diverse lunghezze.
Si tratta di una chimica che ha coinvolto tre delle specie più abbondanti presente nelle nubi molecolari che formano le stelle, e procede attraverso un nuovo percorso che salta la fase di formazione di aminoacidi nella sintesi proteica, spiegano i ricercatori. Il processo è efficiente anche a basse temperature e senza irraggiamento o presenza di acqua. La consegna dei biopolimeri formatisi attraverso questa chimica ai pianeti rocciosi nella zona abitabile delle loro stelle madri potrebbe essere un elemento importante nell’origine della vita.
«Le indagini hanno mostrato che in queste condizioni il peptide di poliglicina si formava da semplici sostanze chimiche», spiega Krasnokutski. Queste molecole sono catene costituite dal semplice aminoacido glicina, e ne abbiamo osservate di lunghezze diverse. Le specie più lunghe erano costituite da undici unità dell’aminoacido».
«Il fatto che la reazione possa avvenire a temperature così basse è dovuto al fatto che le molecole di aminochetene sono estremamente reattive: si combinano tra loro attraverso un’efficace polimerizzazione. Il prodotto di questo processo è la poliglicina», aggiunge il ricercatore. «Nonostante ciò, che la polimerizzazione dell’aminochetene potesse avvenire così facilmente in tali condizioni per noi è stato sorprendente. Questo perché affinché ciò avvenga deve essere effettivamente superata una barriera energetica. Tuttavia, può darsi che in questo siamo stati aiutati da un effetto speciale della meccanica quantistica chiamato effetto tunnel».
Ora che è chiaro che anche le catene peptidiche, e non solo gli aminoacidi, possono essere create nelle condizioni presenti nel cosmo, concludono i ricercatori, quando cerchiamo l’origine della vita potremmo dover guardare non solo alla Terra ma anche, e forse di più, nello spazio.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “A pathway to peptides in space through the condensation of atomic carbon” di S. A. Krasnokutski, K.-J. Chuang, C. Jäger, N. Ueberschaar e Th. Henning