Per circa quarant’anni dire “galassia senza materia oscura” era un po’ come dire “pesce senza lisca”. Si pensava mancasse la struttura portante, specialmente nelle galassie più piccole. Le galassie nascono all’interno di un alone di materia oscura e ne custodiscono anche al loro interno – tanta da condizionare, ad esempio, il moto delle stelle. La prima volta che furono osservate galassie poco massicce senza materia oscura, nel 2018, la cosa destò non poco scalpore. Un nuovo studio appena pubblicato su Nature Astronomy, invece, mostra come questi oggetti possano formarsi naturalmente in seguito a collisioni multiple con galassie più massicce.
Cominciamo da quell’articolo del 2018, dunque. Peter Van Dokkum, Shany Danieli (coinvolta anche nel nuovo studio) e collaboratori titolavano su Nature “una galassia senza materia oscura”, riferendosi alla galassia ultra-diffusa Ngc 1052-Df2. Gli stessi autori, l’anno dopo, riportavano il caso di una seconda galassia (Df4) molto simile come struttura e priva anch’essa della componente oscura. Lo scorso anno, infine, in un terzo articolo firmato dagli stessi autori su Apj Letters riportava misure più precise circa la distanza delle galassie e confermava quanto trovato precedentemente. L’ipotesi, secondo gli autori, era che queste galassie avessero perso la propria materia oscura a causa dell’interazione mareale con galassie molto più massicce nelle vicinanze.
Proprio da qui comincia lo studio pubblicato ieri. Usando la simulazione cosmologica Feedback In Realistic Environments (Fire-2), che riproduce una serie di proprietà delle galassie ed è lo stato dell’arte nel risolvere la struttura interna delle singole galassie, gli autori hanno seguito l’evoluzione di una porzione di universo – una scatola quadrata con lato di circa 60 milioni di anni luce – da subito dopo il Big Bang fino a oggi. Fra le galassie simulate, sette si presentano prive di materia oscura. E siccome il vantaggio delle simulazioni è proprio quello di poter prendere un oggetto per mano e seguirlo dall’inizio alla fine, gli autori hanno realizzato che le sette galassie non sono nate senza componente oscura, ma l’hanno persa quasi completamente in seguito a diverse collisioni con galassie vicine e mille volte più massicce, e hanno mantenuto solo la componente stellare e qualche residuo di materia oscura.
Bird, Blue, Deer, Long Hair, Paint, Wild Potato e Wolf – questi i nomi delle sette galassie simulate prive di materia oscura. Il primo autore dell’articolo, Jorge Moreno, professore di astronomia al Pomona College in California e di origini indigene, ha chiesto l’autorizzazione di nominare le galassie come i sette clan Cherokee. «È stata una pura serendipità», commenta Moreno. «Nel momento in cui ho fatto le prime immagini, le ho condivise immediatamente con Danieli, invitandola a collaborare».
Confrontando direttamente i risultati simulati con le osservazioni, gli autori hanno visto che una delle galassie assomigliava molto, per struttura e proprietà, a Df2 e Df4 – le due galassie osservate da Vann Dokkum, Danieli e collaboratori. Un risultato per molti confortante, questo: il modello cosmologico su cui basiamo le nostre teorie sull’universo, osservazioni e simulazioni, regge ancora.
Infine, secondo i dati emersi da questo lavoro teorico, galassie carenti di materia oscura come le sette trovate dovrebbero essere piuttosto comuni, soprattutto nelle vicinanze di galassie massicce. Il prossimo passo per confermare questo scenario sarà quello di cercare simili galassie nell’universo vero, indagandone la posizione, il vicinato cosmico, la storia delle interazioni passate con galassie vicine e le loro proprietà interne.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “Galaxies lacking dark matter produced by close encounters in a cosmological simulation”, di Jorge Moreno, Shany Danieli, James S. Bullock, Robert Feldmann, Philip F. Hopkins, Onur Çatmabacak, Alexander Gurvich, Alexandres Lazar, Courtney Klein, Cameron B. Hummels, Zachary Hafen, Francisco J. Mercado, Sijie Yu, Fangzhou Jiang, Coral Wheeler, Andrew Wetzel, Daniel Anglés-Alcázar, Michael Boylan-Kolchin, Eliot Quataert, Claude-André Faucher-Giguère e Dušan Kereš