La nostra galassia, la Via Lattea, iniziò a formarsi circa 12 miliardi di anni fa. Da allora, è cresciuta sia in massa che in dimensioni attraverso una serie di fusioni con altre galassie. Questo processo in realtà non è ancora terminato, come è possibile constatare analizzando i dati del satellite Gaia dell’Esa. Da questi dati, gli astronomi riescono a ricostruire la storia della galassia, rivelando quello che potrebbe essere definito il suo “albero genealogico”, popolato dalle galassie più piccole che hanno contribuito a renderla quella che è oggi.
L’ultimo lavoro su questo argomento, guidato da Khyati Malhan del Max-Planck-Institut für Astronomie e che vede coinvolto anche Michele Bellazzini di Inaf Oas Bologna, ha riguardato l’analisi dei dati della Early Data Release 3 (Edr3) di Gaia alla ricerca dei resti delle galassie più piccole che si sono fuse alla nostra. Questi resti possono essere trovati nel cosiddetto alone galattico, una regione di spazio che circonda il disco di stelle più giovani e il rigonfiamento centrale di stelle più vecchie, le parti più luminose della Via Lattea.
Quando una galassia estranea “cade” nella nostra, le grandi forze gravitazionali che entrano in gioco – note come forze mareali – la distruggono. Se questo processo procede lentamente, le stelle della galassia che si sta fondendo andranno a formare un flusso stellare (stream, in inglese) che può essere facilmente distinto nell’alone. Se il processo invece procede rapidamente, le stelle della galassia che si sta fondendo saranno più sparse e non sarà visibile alcuna chiara traccia nell’alone.
Ma la galassia che si sta fondendo potrebbe contenere più di semplici stelle; potrebbe essere circondata da una popolazione di ammassi globulari o addirittura piccole galassie satelliti. Il gruppo di ricercatori ha cercato queste evidenze nei dati di Gaia, studiando ben 170 ammassi globulari, 41 flussi stellari e 46 satelliti della Via Lattea. Tracciandoli in base alla loro energia e alla loro quantità di moto, è emerso che il 25 per cento di questi oggetti ricade in sei gruppi distinti. Ogni gruppo è risultato essere una fusione in atto con la Via Lattea. In realtà, nei dati potrebbe esserci l’evidenza anche di una possibile settima fusione.
Cinque gruppi erano stati precedentemente identificati basandosi su rilevamenti di stelle e sono conosciuti come Sagittario, Cetus, la salsiccia di Gaia-Encelado, LMS-1/Wukong e Arjuna/Sequoia/I’itoi. Il sesto è invece un nuovo evento di fusione, appena identificato. Il team l’ha chiamato Ponto (o Pontus), dal nome di una divinità della mitologia greca associata al mare: Ponto era il nome di uno dei primi figli di Gaia, la dea greca della Terra.
Basandosi sul modo in cui Ponto è stato distrutto dalla Via Lattea, Khyati e colleghi stimano che probabilmente sia caduto nella Galassia da otto a dieci miliardi di anni fa. In questo periodo probabilmente si sono verificati anche altri quattro dei cinque eventi di fusione citati. Ma il sesto evento, Sagittario, è più recente: potrebbe essere avvenuto negli ultimi cinque o sei miliardi di anni. Di conseguenza, la Via Lattea non è riuscita ancora a distruggerlo completamente.
In realtà, come spiega a Media Inaf Bellazzini, «il cuore del paper non sta in questo specifico caso (che è un nuovo raggruppamento di “oggetti” che hanno proprietà compatibili con l’essere stati accresciuti con un unico evento di merging, come gli altri gruppi individuati che erano più o meno già noti). Qui si fa un esercizio che è diventato possibile solo post Gaia e che è già stato tentato da altri con diversi approcci, fra cui, ad esempio, quello di Davide Massari di Inaf; ovvero, avendo a disposizione per la prima volta integrali o pseudo-integrali del moto di molti sistemi stellari all’interno della Via Lattea, si cercano associazioni fra di loro sulla base della similarità negli integrali del moto, che indicherebbe una medesima origine. In altre parole, “siamo arrivati dentro la stessa galassia satellite che poi si è distrutta e fusa con la Via Lattea; ora siamo dispersi nella Via Lattea ma conserviamo orbite simili, dunque integrali del moto simili, e possiamo essere rintracciati”».
«La novità di questo studio – ben riassunta nel tweet odierno del primo autore – è che, per la prima volta, nella ricerca di raggruppamenti, oltre agli ammassi globulari e alle galassie nane, sono stati inclusi i moltissimi tidal streams scoperti dal medesimo gruppo con l’algoritmo Streamfinder, di cui abbiamo già parlato all’epoca della coda mareale di Omega Centauri», prosegue Bellazzini. «Gli stream sono relitti di sistemi stellari (quelli di Streamfinder principalmente di ammassi globulari) e anche se sono strutture elongatissime – filamenti – le loro stelle condividono gli integrali del moto. Quindi, si tratta di una ricerca con molti più relitti coinvolti rispetto alle precedenti».
«Inoltre, per la prima volta, i raggruppamenti sono stati cercati in modo oggettivo, ovvero automaticamente attraverso un algoritmo di clustering sostanzialmente non parametrico, senza alcun “preconcetto” umano», conclude Bellazzini. «Questo è un ulteriore passo nella ricostruzione della storia della formazione della Via Lattea per merging gerarchico, che è appena cominciata. È un approccio del tutto nuovo, i cui primi passi – con questa modalità – sono stati possibili solo dal 25 aprile 2018. Stiamo scavando a Troia o a Pompei: scendendo di livello troviamo sempre più templi e palazzi e cominciamo a farci un’idea di come era fatta la città e di come è cambiata nel tempo».
Il 13 giugno 2022 la missione Gaia ci regalerà la terza release di dati, che fornirà informazioni ancora più dettagliate sul passato, presente e futuro della Via Lattea.
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal l’articolo “The Global Dynamical Atlas of the Milky Way Mergers: Constraints from Gaia EDR3–based Orbits of Globular Clusters, Stellar Streams, and Satellite Galaxies” di Khyati Malhan, Rodrigo A. Ibata, Sanjib Sharma, Benoit Famaey, Michele Bellazzini, Raymond G. Carlberg, Richard D’Souza, Zhen Yuan, Nicolas F. Martin e Guillaume F. Thomas
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