Con i suoi circa 940 km di diametro, Cerere è il più grande oggetto della fascia principale degli asteroidi, tra Marte e Giove. Entrato a far parte nel 2006 del club dei pianeti nani, il corpo celeste ha fatto recentemente parlare di sé poiché, a distanza di duecentoventuno anni dalla scoperta – avvenuta il primo gennaio 1801 per mano di Giuseppe Piazzi dall’Osservatorio di Palermo – è tornato a brillare proprio nel punto in cui fu avvistato per la prima volta.
Un nuovo studio, condotto da un team di ricercatori del Max Planck Institute for Solar System Research (Mps) di Göttingen e dell’Università di Münster (Wwu), in Germania, e del National Institute of Science Education and Research (Niser) a Bhubaneswar, in India, riporta ora il corpo celaste sotto le luci della ribalta. Il motivo? La scoperta di tracce di un oceano globale presente sotto la crosta del corpo celeste milioni di anni dopo la sua formazione; un profondo serbatoio di acqua salmastra che potrebbe essere presente ancora oggi. I risultati della ricerca sono stati pubblicati questa settimana su Nature Communications.
Le firme di questa antica salamoia sotterranea sono state travate sotto il cratere Urvara, nell’emisfero sud del corpo celeste: con i suoi 170 km di diametro, il terzo più grande cratere da impatto presente sulla superficie di Cerere dopo Occator – sotto la cui superficie sono già stati ritrovati resti di una salamoia sotterranea – ed Ernutet – in cui sono stati scoperti composti organici.
«Le grandi strutture da impatto su Cerere ci danno accesso agli strati più profondi del pianeta nano», spiega Andreas Nathues, ricercatore al Max Planck e primo autore dello studio. «Come si è visto, l’attuale topografia e la composizione mineralogica di alcuni dei grandi crateri di Cerere è il risultato di processi geologici complessi e di lunga durata che hanno alterato la superficie del pianeta nano».
Nathues e colleghi hanno scovato queste tracce nei dati spettroscopici e di imaging ad alta risoluzione inviate della sonda Dawn della Nasa nell’ultimo atto della missione: dopo che la missione primaria, inizialmente progettata per durare due anni, è terminata, il carburante rimanente è stato sufficiente affinché la sonda volasse su orbite più audaci e altamente ellittiche, portando la navicella a soli 35 chilometri dalla superficie. Durante questa fase, le due Framing Cameras (Fc) della sonda – il sistema di telecamere scientifiche della missione sviluppato e costruito sotto la guida dell’Mps e gestito dallo stesso istituto di ricerca – hanno scattato immagini che hanno permesso al team di studiare la geologia e la morfologia del cratere cereriano.
Le immagini ad alta risoluzione rivelano un paesaggio geologicamente diversificato, in cui pareti multiple terrazzate (indicate con il termine inglese terraced walls nell’immagine in basso) racchiudono un bacino d’impatto la cui caratteristica più evidente è una catena montuosa (central ridge) lunga circa 25 chilometri e alta 3 che si eleva dal centro del cratere. Il suo fianco meridionale è sede di aspre scogliere e aree costellate di massi in cui si osservano delle macchie brillanti, punto luminosi che ricordano quelli scoperti nel cratere Occator. Secondo i ricercatori, queste macchie brillanti chiamate faculae, presenti lungo la cresta centrale superiore del cratere, sono la firma di depositi di sali: la prova che Cerere possedesse un tempo un profondo serbatoio di acqua salata.
Ulteriori indizi sul passato del cratere le hanno fornite le immagini riprese utilizzando i filtri colorati del sistema di telecamere che, consentendo di conoscere in quali intervalli di lunghezze d’onda della luce visibile determinate superfici riflettono nello spazio, aiutano a dedurre la loro composizione mineralogica. Anche in questo caso la loro analisi non lascia dubbi: il materiale brillante è costituito da strati di sale a diverse profondità o da un singolo strato che mostra una profondità variabile.
Ma non è finita qui. I dati del Visible and infrared mapping spectrometer (Vir) a bordo della sonda Dawn – strumento finanziato dall’Agenzia spaziale italiana e realizzato da Selex Galileo sotto la guida scientifica dell’Inaf – oltre a confermare la presenza di sale indicano anche la presenza composti organici, depositati relativamente di recente insieme ai sali su un pendio a ovest della struttura montuosa centrale: il primo ritrovamento di questo tipo su Cerere oltre a quello nella vasta area del cratere Ernutet. Una tale combinazione di depositi di sale e composti organici, spiegano i ricercatori, non è mai stata osservata prima.
«L’origine e la formazione della sostanza organica su Cerere rimangono interessanti questioni aperte che hanno importanti implicazioni per la storia geologica complessiva di Cerere, nonché potenziali collegamenti con l’astrobiologia e l’abitabilità» ricorda Guneshwar Thangjam, scienziato del Niser e co-autore dello studio. «Le sostanze organiche che crediamo di aver trovato nel bacino di Urvara nell’emisfero Sud differiscono dalle aree ricche di sostanze organiche nel cratere Ernutet nell’emisfero Nord e ci aiuteranno a rispondere a queste domande. Il team sta lavorando su questi aspetti utilizzando dati spettroscopici sia dello strumento Fc che Vir».
Sebbene la presenza di questi sali nel sottosuolo di Cerere possa essere spiegata da diversi meccanismi, secondo i ricercatori il più probabile è l’attività criovulcanica, capace di separare l’acqua dai sali disciolti. Nel criovulcanesimo, l’eruzione di liquidi o gas volatili come acqua, ammoniaca o metano invece che roccia fusa – quando l’acqua salmastra raggiunge la superficie, quest’ultima si perde immediatamente nello spazio mentre i sali si depositano sottoforma di cristalli. In questo però si tratterebbe di un’attività criovulcanica che non ha raggiunto la superficie, in quanto i sali risiedono a profondità prossime ad essa.
Indipendentemente dall’esatto meccanismo, concludono i ricercatori, i risultati attuali rafforzano il quadro che la missione Dawn ha disegnato di Cerere negli ultimi anni: un corpo geologicamente attivo con strati di sale che si estendono sotto la sua crosta a varie profondità. Questi depositi possono essere correlati a un precedente oceano sotterraneo che conteneva anche composti organici. Nonostante la grande distanza di Cerere dal Sole, grazie ai sali disciolti, questa salamoia potrebbe sopravvivere ancora oggi in grandi serbatoi di liquidi a una profondità di circa 40 chilometri.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Communications l’articolo “Brine residues and organics in the Urvara basin on Ceres” di A. Nathues, M. Hoffmann, N. Schmedemann, R. Sarkar, G. Thangjam, K. Mengel, J. Hernandez, H. Hiesinger e J. H. Pasckert