Andare nello spazio comporta tutta una serie di rischi per la salute, oramai lo sappiamo: l’accelerazione durante il lancio, l’isolamento, il confinamento, la privazione del sonno, la microgravità e le radiazioni spaziali sono tra le cause principali di disfunzioni – al sistema muscolo-scheletrico, alla vista, al sistema immunitario, alla funzionalità gastrointestinale e persino alla sfera delle emozioni – che vengono riscontrate negli astronauti dopo lunghe missioni. Ora uno studio condotto da un team di ricercatori guidati dalla Mount Sinai School of Medicine di New York (Usa) ha trovato nuovi marcatori biologici che possono essere utilizzati a fini diagnostici e potenzialmente come strumenti predittivi dei rischi associati al volo nello spazio profondo, e che come tali potrebbero consentire interventi terapeutici precoci per migliorare la qualità della vita degli astronauti. I risultati sono pubblicati sulla rivista Frontiers in Genetics.
I biomarcatori in questione sono molecole di Rna (acido ribonucleico) appartenenti alla classe degli Rna lunghi non codificanti, long non coding Rna in inglese: catene di non più di 200 nucleotidi – le unità ripetitive costituenti gli acidi nucleici (Dna e Rna) – che, similmente ad altre classi di Rna, come i siRna, i miRna e i piRna, non danno vita ad alcuna proteina, come invece avviene per la classe degli Rna messaggeri (mRna). L’evoluzione ha infatti dato loro altri ruoli: modulare la struttura e la funzione della cromatina (il Dna “aggomitolato” associato a proteine dette istoni); governare la trascrizione dei geni (il processo di lettura del Dna per produrre un Rna messaggero) e la stabilità e la traduzione dell’Rna messaggero in proteine. In una parola sola: un ruolo regolativo. Prodotte all’interno delle cellule e confezionate all’interno di piccole sfere lipidico-proteiche chiamate esosomi, una volta rilasciate all’esterno queste molecole consentono a cellule e tessuti di comunicare tra loro. L’effetto che produce la loro attività regolativa è un profondo cambiamento nella biologia umana.
In questo studio, con l’intento di valutare il ruolo di questi Rna lunghi non codificanti nella risposta agli stress del volo spaziale, i ricercatori hanno analizzato vecchi campioni di sangue di astronauti che hanno effettuato missioni relativamente brevi (da 5 a 13 giorni) sulla Stazione spaziale internazionale (Iss) tra il 1998 e il 2001. Il sangue oggetto della ricerca è stato prelevato a suo tempo in due diversi momenti: 10 giorni prima del lancio (il campione controllo) e 3 giorni dopo il ritorno (il campione test).
Il disegno sperimentale adottato nello studio, riepilogato nell’immagine qui di seguito, è stato il seguente: dopo aver centrifugato i campioni di sangue per separare la parte corpuscolata dal plasma, da quest’ultima componente i ricercatori hanno isolato gli esosomi presenti. Hanno quindi valutato al loro interno la presenza di Rna lunghi non codificanti, identificandoli e quantificandone l’espressione mediante sequenziamento.
Il primo risultato della ricerca, spiegano gli scienziati, è che a distanza di anni i campioni analizzati contenevano vescicole esosomiali perfettamente conservate, come evidenziato dalle analisi della concentrazione e delle dimensioni di queste vescicole.
«Sapevamo che l’acido nucleico all’interno degli esosomi può conservarsi inalterato per 15-20 anni, ma non eravamo sicuri di come i viaggi nello spazio li avrebbero influenzati e se avremmo trovato esosomi intatti contenenti acidi nucleici in campioni di sangue conservati vecchi di vent’anni di astronauti che hanno volato con lo Space Shuttle verso la Iss», dice Matthew Coleman, ricercatore al Lawrence Livermore National Laboratory e co-autore dello studio. «Il fatto che stiamo ottenendo così tante informazioni sui differenti tipi di Rna incapsulati all’interno degli esosomi e informazioni sui geni e sui processi biologici che essi regolano è una sorprendente sorpresa».
Il secondo risultato emerge dal confronto delle quantità di Rna lungo non codificante tra campione test (dopo il volo) e campione controllo (pre-volo), e mostra che ci sono ventisette lncRna differenzialmente espressi, i cui geni bersaglio regolano funzioni biologiche critiche. Ciò significa che queste molecole di Rna sono potenziali biomarcatori.
«Qualcosa nel volo spaziale ha cambiato la quantità di Rna nel sangue degli astronauti», spiega Coleman. «Quando confrontiamo le due condizioni, prima e dopo la missione spaziale, vediamo un cambiamento in più o in meno nelle quantità di lncRna, cambiamenti che influenzano direttamente l’attivazione o la disattivazione di geni coinvolti in importanti funzioni cellulari associate alla neurodegenerazione, alla salute in generale e a malattie cardiovascolari. «Le modifiche», continua Coleman, «erano in percorsi chiave che regolano la trascrizione genica, la segnalazione da cellula a cellula e la segnalazione intercellulare» Insomma, aggiunge lo scienziato, «avevano la firme che erano astronauti; erano stati in un ambiente a gravità ridotta ed erano stati esposti a dosi di radiazioni spaziali».
In medicina, l’identificazione di validi biomarcatori predittivi del rischio di sviluppare condizioni patologiche consente di effettuare interventi terapeutici precoci che possono migliorare la qualità della vita. Molecole come i LncRna potrebbero essere usate come biomarcatori predittivi dei rischi associati alle missioni nello spazio profondo, spiegano i ricercatori.
«Poiché i lncRna possono modulare un gran numero di geni, la comprensione di questi geni e dei percorsi a cui sono associati, come la salute generale o le malattie cardiovascolari, ci consentirebbe di identificare chi ha bisogno di assumere medicine specifiche, cambiare la dieta o fare più esercizio per scongiurare eventuali effetti negativi del volo spaziale», conclude Coleman. «Con questo tipo di studi si stanno cercando di colmare le lacune conoscitive in questo campo della ricerca. L’obiettivo è comprendere inizialmente gli effetti sul corpo umano del lavoro e dei viaggi nell’orbita terrestre bassa e successivamente nello spazio profondo».
Per saperne di più:
- Leggi su Frontiers in Genetics l’articolo “Emerging Role of Exosomal Long Non-coding RNAs in Spaceflight-Associated Risks in Astronauts” di Malik Bisserier, Nathaniel Saffran, Agnieszka Brojakowska, Aimy Sebastian, Angela Clare Evans, Matthew A. Coleman, Kenneth Walsh, Paul J. Mills, Venkata Naga Srikanth Garikipati, Arsen Arakelyan, Lahouaria Hadri e David A. Goukassian