Quando nel 2015 la sonda Rosetta dell’Agenzia spaziale europea ha scoperto la presenza di ossigeno molecolare (O2) nella chioma della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, gli scienziati sono rimasti perplessi: non avevano mai osservato una cometa emettere ossigeno, ma soprattutto, non si aspettavano di trovarne in quantità così elevate: dopo l’acqua (H2O), il monossido di carbonio (CO) e l’anidride carbonica (CO2), era il gas più abbondante nell’atmosfera cometaria. Come spiegare la presenza di questo ossigeno e le quantità rilevate?
La prima ipotesi avanzata dagli astronomi fu che si trattasse di abbondanti riserve di ossigeno primordiale: molecole risalenti a un’epoca antichissima, precedente alla formazione del Sistema solare stesso.
A maggio 2017, sulla rivista Nature Communication, viene pubblicato un articolo a firma di due ricercatori del Caltech in cui è riportata una possibile soluzione alternativa al mistero dell’abbondanza di ossigeno, che di fatto ribalta l’ipotesi precedente: a produrlo sarebbe l’impatto di ioni d’acqua con la superficie della cometa. Dunque, niente ossigeno vecchio quanto il Sistema solare ma ossigeno “fresco”, prodotto in un processo a tre step innescato dall’irraggiamento solare.
Storia finita? Niente affatto: secondo un recente studio condotto da un team di scienziati guidati dalla Johns Hopkins University (Usa), i cui risultati sono stati pubblicati la settimana scorsa su Nature Astronomy, l’ossigeno molecolare scoperto da Rosetta sarebbe, come inizialmente proposto, ossigeno primordiale, cioè ossigeno che si è accumulato nella cometa all’inizio della formazione del Sistema solare, ma in quantità minore di quel che inizialmente previsto.
«È una specie di illusione», dice Adrienn Luspay-Kuti, ricercatrice della Johns Hopkins University e prima autrice dello studio, riferendosi alle quantità di ossigeno rilevate nella chioma da Rosetta. «In realtà la cometa non ha questa elevata abbondanza di ossigeno, almeno non per quanto riguarda la sua formazione, ma ha accumulato ossigeno che rimane intrappolato negli strati superiori della cometa, che viene poi rilasciato tutto in una volta».
Esaminando le abbondanze molecolari rilevate dallo strumento Rosina (Rosetta Orbiter Spectrometer for Ion and Neutral Analysis), un analizzare di gas a bordo della sonda Rosetta, gli scienziati hanno scoperto che la correlazione tra le quantità di ossigeno molecolare e di acqua emessa dalla cometa cambia durante il suo percorso attorno al Sole. In particolare, hanno trovato che quando la cometa si dirige verso l’afelio, il punto della sua orbita più distante dal Sole, la quantità di acqua emessa dalla cometa diminuisce, e l’ossigeno – che nelle regioni più calde era in associazione con l’acqua – risulta in associazione con l’anidride carbonica e il monossido di carbonio.
Per spiegare queste osservazioni, il team ha proposto che l’ossigeno della cometa provenga da due serbatoi: uno situato nel nucleo roccioso della cometa, in cui è presente anche monossido di carbonio e anidride carbonica; l’altro più vicino alla superficie, dove l’ossigeno è intrappolato nei pori del ghiaccio d’acqua.
Ciò che potrebbe avvenire lungo l’orbita, spiegano i ricercatori, è che quando la cometa è lontana dal Sole il serbatoio profondo di ossigeno, monossido di carbonio e ghiaccio di anidride carbonica emette costantemente gas perché queste tre specie vaporizzano tutte a temperature molto basse. Mentre l’ossigeno risale verso la superficie, una parte di esso rimane intrappolato all’interno di cavità nel ghiaccio d’acqua (uno dei principali costituenti del nucleo della cometa), formando un secondo serbatoio di ossigeno secondario meno profondo. Poiché il ghiaccio d’acqua vaporizza a una temperatura molto più alta dell’ossigeno, finché il Sole non riscalda sufficientemente la superficie della cometa e vaporizza il ghiaccio d’acqua, l’ossigeno è bloccato.
Quando la cometa si avvicina al perielio, cioè il punto della sua orbita più vicino al Sole, le cose cambiano. All’ossigeno emesso nella chioma proveniente dal serbatoio profondo si aggiunge l’ossigeno intrappolato nel giacimento secondario, ora rilasciato poiché la temperatura è tale da sublimare il ghiaccio d’acqua vicino alla superficie. Il risultato è l’apparente emissione di molto più ossigeno di quello effettivamente presente nella cometa, e ciò spiega le abbondanze relative sorprendentemente elevate misurate da Rosetta all’inizio della sua missione.
«In altre parole, le abbondanze di ossigeno misurate nella chioma della cometa non riflettono necessariamente le sue abbondanze nel nucleo», sottolinea Luspay-Kuti.
«Questa non è solo una spiegazione, è la spiegazione, perché non c’è altra possibilità», aggiunge Olivier Mousis dell’università francese di Aix-Marseille, fra i coautori dello studio. «Se l’ossigeno provenisse solo dalla superficie, non avremmo visto il trend osservato da Rosetta».
L’implicazione principale di tutto questo, concludono i ricercatori, è che l’ossigeno della cometa 67P è, in effetti, ossigeno che si è accumulato all’inizio della formazione del Sistema solare, solo che è una frazione della quantità che pensavamo.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “Dual storage and release of molecular oxygen in comet 67P/Churyumov–Gerasimenko” di Adrienn Luspay-Kuti, Olivier Mousis, Françoise Pauzat, Ozge Ozgurel, Yves Ellinger, Jonathan I. Lunine, Stephen A. Fuselier, Kathleen E. Mandt, Karlheinz J. Trattner e Steven M. Petrinec