L’evoluzione d’un sistema planetario non è così lineare come si potrebbe pensare. Uno studio guidato da Lia Bernabò, astronoma d’origine fiorentina oggi dottoranda a Berlino all’agenzia spaziale tedesca Dlr, e da Diego Turrini, ricercatore all’Inaf di Roma, mostra come nelle primissime fasi della storia di un disco circumstellare la quantità di polvere osservata subisca un’iniziale riduzione per poi aumentare di nuovo. E tornare a diminuire – questa volta definitivamente – solo dopo aver superato un picco che si registra attorno ai due milioni di anni d’età del sistema.
Pare dunque sia proprio come si legge nella Genesi: polvere si ritorna, almeno per un po’. Il fenomeno è infatti chiamato in inglese dust resurgence – la rinascita della polvere – ed è, come dicevamo, tutt’altro che intuitivo. Quando un sistema planetario prende forma attorno a una stella appena nata, infatti, ci si attende che – principalmente per azione della gravità – la polvere presente nel denso disco circumstellare che avvolge la stella stessa vada pian piano diradandosi. Finendo in parte risucchiata dalla stella, in parte espulsa dal sistema e, per il resto, andando ad agglomerarsi e a formare planetesimi e pianeti.
Ma le osservazioni compiute con Alma su sistemi in formazione raccontano una storia diversa. Analizzando il contenuto di polvere di oltre 500 dischi circumstellari presenti in sei diverse regioni di formazione stellare di età compresa tra 0.6 e 4.3 milioni di anni, ossia la maggior parte dell’arco di vita di questi oggetti, le misure in banda millimetrica – quella nella quale l’emissione della polvere è meglio visibile – mostrano appunto che tra il primo e il secondo milione di anni c’è un picco di ritorno. Una ricrescita della polvere non prevista dai modelli. Cosa la provoca? L’ipotesi di Bernabò e colleghi, illustrata la settimana scorsa su The Astrophysical Journal Letters, è che il ritorno della polvere possa essere spiegato da impatti tra planetesimi e pianeti.
«Il nostro lavoro si è focalizzato sugli impatti fra i planetesimi perché, anche se ogni loro impatto produce un piccolo quantitativo di polvere, il loro grande numero all’interno dei dischi circumstellari rende le loro collisioni la componente dominante nella produzione di polvere», spiega Bernabò a Media Inaf. «Gli impatti tra pianeti, anche se meno frequenti, produrranno grandi quantità di polveri e potrebbero spiegare l’esistenza dei dischi più ricchi di polveri all’interno del nostro campione».
«Dopo il picco in corrispondenza di due milioni di anni, la quantità di polvere cala, in quanto gli impatti diminuiscono. La polvere prodotta riprende ad accumularsi sui pianeti in formazione, è espulsa al di fuori del sistema o spiraleggia seguendo il moto del gas e si accumula sulla stella, accrescendola», continua la ricercatrice. «Alla nascita di ogni pianeta massivo corrisponde un picco locale di produzione di polvere. La comparsa dei pianeti giganti, come Giove, è legata alla massima eccitazione dinamica delle orbite dei planetesimi e corrisponde al maggior numero di impatti e polveri prodotte. Man mano che la massa si concentra nei pianeti in formazione, i picchi diventano sempre meno intensi e avviene la transizione verso la fase di disco di detriti (in inglese debris disc), dove gli impatti sono in numero minore e la quantità di polveri è molto più bassa. In quest’ultima fase si trova anche il Sistema solare e il suo disco di debris è rappresentato dalla Fascia di Kuiper esterna all’orbita di Nettuno».
Ed è proprio osservando gli oggetti in orbita attorno al Sole che gli autori dello studio si sono convinti che qualcosa non tornava, che occorreva indagare più a fondo.
«L’idea alla base del nostro lavoro», ricorda Turrini, «nasce da uno studio precedente sul Sistema solare, dove avevamo mostrato come la nascita di Giove dia inizio allo stesso tipo di intensa evoluzione collisionale tra i progenitori degli attuali asteroidi. Trovare tracce certe di questo antico evento purtroppo non è una impresa facile, dato che le indicazioni sulle prime fasi di vita del Sistema solare sono state alterate o cancellate dai suoi successivi 4.5 miliardi di anni di evoluzione. Spostando lo sguardo sui dischi attorno ad altre stelle, però, abbiamo trovato l’indicazione che questo processo avviene nella maggior parte dei giovani sistemi planetari».
Lo scenario proposto dal team guidato da Bernabò e Turrini, oltre a trovare conferma nelle misure compiute con Alma, consente anche di spiegare una discrepanza emersa dal confronto fra la timeline del Sistema solare e quella che si osserva in sistemi in formazione. «Dai meteoriti nel Sistema solare», spiega infatti Turrini, «abbiamo l’indicazione che i primi corpi planetari si siano formati in meno di un milione d’anni attorno al giovane Sole, ma nei dischi attorno ad altre stelle la polvere da cui questi si formano è presente molto più a lungo. I dati dei meteoriti rappresentano dunque la regola o l’eccezione? Quale delle due indicazioni temporali è quella corretta? Il nostro lavoro risponde a questa apparente contraddizione indicando come i pianeti, dai piccoli asteroidi ai pianeti giganti rivelati da Alma attorno ad altre giovani stelle, si formino dalla polvere già nel primo milione di anni di vita dei sistemi planetari».
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal Letters l’articolo “Dust Resurgence in Protoplanetary Disks Due to Planetesimal–Planet Interactions”, di Lia Marta Bernabò, Diego Turrini, Leonardo Testi, Francesco Marzari e Danai Polychroni