COME DISTINGUERNE LA POSSIBILE ORIGINE NEGLI ESOPIANETI

Metano in atmosfera? Ecco quand’è segno di vita

Un nuovo studio su Pnas propone alcune linee guida per comprendere se un pianeta roccioso con un’atmosfera ricca di metano possa ospitare attività biologica. Indizi promettenti sono la presenza di anidride carbonica, una quantità non eccessiva di monossido di carbonio e una composizione planetaria non troppo ricca di acqua

     30/03/2022

Il metano nell’atmosfera di un pianeta può essere un segno di vita se si possono escludere fonti non biologiche. Questa illustrazione riassume le fonti abiotiche conosciute di metano sulla Terra, tra cui il degassamento dai vulcani, le reazioni in ambienti come le dorsali medio-oceaniche, le bocche idrotermali e le zone di subduzione, e gli impatti da asteroidi e comete. Crediti: Elena Hartley

Se si guardasse alla Terra (se ne parla spesso relativamente alla crisi climatica), certamente la presenza di metano in atmosfera potrebbe essere associata alla presenza di forme di vita. E, sebbene vi siano processi non biologici che lo producono, ora gli scienziati sembrano essere convinti che cercare questo idrocarburo nelle atmosfere dei pianeti extrasolari sia un buon metodo per decidere se essi ospitino forme di vita. Ne parla uno studio, uscito pochi giorni fa su Proceedings of the National Academy of Sciences, che esamina una varietà di fonti non biologiche di metano e valuta il loro potenziale per mantenere un’atmosfera ricca di metano. Fra queste gli autori hanno considerato i vulcani, reazioni chimiche in ambienti come le dorsali medio-oceaniche, le bocche idrotermali, le zone di subduzione tettonica e gli impatti di comete o asteroidi.

Le argomentazioni a supporto del metano come marcatore biologico si fondano sulla sua instabilità nell’atmosfera: poiché le reazioni fotochimiche lo distruggono facilmente, affinché si mantengano livelli elevati esso deve costantemente rifornito. E, se questo fosse il caso per un pianeta extrasolare, la coincidenza sarebbe doppiamente fortunata: il metano, infatti, è uno dei composti che il James Webb Space Telescope (Jwst) potrebbe rilevare con maggior facilità, a differenza di altri biomarcatori.

«L’ossigeno è spesso considerato una delle migliori firme biologiche, ma probabilmente sarà difficile da rilevare con Jwst», sottolinea a questo proposito la prima autrice dello studio pubblicato su Pnas, Maggie Thompson, della University of California a Santa Cruz.

«Se si rileva una grande quantità di metano su un pianeta roccioso, in genere si ha bisogno di una fonte massiccia per spiegarne la presenza», aggiunge Joshua Krissansen-Totton, ricercatore anch’egli a Uc Santa Cruz e coautore dello studio. «Sappiamo che l’attività biologica crea grandi quantità di metano sulla Terra, e probabilmente ciò era vero anche sulla Terra primitiva, perché produrre metano è una cosa abbastanza facile da compiere metabolicamente».

Le fonti non biologiche invece, secondo lo studio, non sarebbero in grado di produrre così tanto metano senza generare anche indizi osservabili sulle sue origini. I gas di scarico dei vulcani, per esempio, aggiungerebbero sia metano che monossido di carbonio all’atmosfera, mentre l’attività biologica tende a consumare facilmente il monossido di carbonio. I ricercatori hanno scoperto che i processi non biologici non possono modificare sensibilmente le atmosfere di pianeti abitabili rendendole ricche di metano e anidride carbonica ma con poco (o nessun) monossido di carbonio. Nell’articolo si conclude quindi che per un pianeta roccioso che orbita intorno a una stella simile al Sole, il metano atmosferico è più probabile che sia considerato una forte indicazione di vita se l’atmosfera ha anche anidride carbonica, se il metano è più abbondante del monossido di carbonio, e se si può escludere una composizione planetaria estremamente ricca di acqua.

Una singola molecola, infatti – sottolineano anche gli autori – non può comunque dare una risposta certa, ma occorre considerare l’intero contesto di formazione e le caratteristiche del pianeta. Il metano è solo un tassello del puzzle, ma per determinare se c’è vita bisogna considerare la geochimica del pianeta, le interazioni con la sua stella, e i processi che possono influenzarne la composizione atmosferica su tempi geologici. Lo studio, quindi, considera una serie di possibilità per i “falsi positivi” e fornisce delle vere e proprie linee guida per valutare se il metano sia un marcatore di attività biologica.

«Ci sono due cose che potrebbero andare male: si potrebbe considerare erroneamente qualcosa un marcatore biologico e ottenere un falso positivo, o si potrebbe trascurare qualcosa che invece lo è veramente», dice Krissansen-Totton. «Con questo articolo, abbiamo voluto sviluppare un quadro per aiutare ad evitare entrambi questi potenziali errori nel caso del metano».

Nello studio, tuttavia, ci si concentra sui falsi positivi più ovvi per quel che riguarda il metano. Quel che resta, e quello su cui si deve fare attenzione, è l’interpretazione delle future osservazioni riguardanti i pianeti rocciosi, e la conseguente individuazione e comprensione di meccanismi “insoliti” per la produzione non biologica di metano. Come sempre più spesso si sente dire, quindi, per saperne di più attendiamo i potenti occhi del James Webb Space Telescope.

Per saperne di più:

  • Leggi sui Proceedings of the National Academy of Sciences l’articolo “The case and context for atmospheric methane as an exoplanet biosignature”, di Thompson et al.