È stata soprannominata Earendel, “stella del mattino” in inglese antico. E la sua luce ha viaggiato per 12,9 miliardi di anni prima di raggiungere la Terra, battendo il record già ottenuto da Icarus, osservata dal telescopio spaziale Hubble nel 2018, la cui luce impiega 9 miliardi di anni per arrivare fino a noi.
Secondo i ricercatori, la stella appena individuata esisteva già quando l’universo aveva solo il sette per cento della sua attuale età: un’epoca – e una distanza – che gli astronomi chiamano “redshift 6,2”, dall’effetto misurabile che permette di stimare le distanze di una sorgente luminosa osservando lo spettro della sua luce giungere fino a noi nell’universo in espansione.
Gli oggetti più piccoli visti in precedenza a una distanza così grande erano interi ammassi di stelle all’interno di galassie primordiali, mentre Earendel è una stella singola, un puntino luminoso osservato grazie al raro allineamento cosmico con WHL0137-08, un enorme ammasso di galassie che si trova tra noi ed Earendel e che, come un’immensa lente di ingrandimento naturale, ha deformando lo spazio-tempo facendo emergere la luce della stella dal bagliore generale della sua galassia ospite, che appare come una macchia rossa nel cielo.
La sua scoperta è di fondamentale importanza per la comprensione dell’evoluzione dell’universo. La composizione di Earendel sarà di grande interesse per gli astronomi, perché la stella è nata prima che nell’universo si formassero gli elementi pesanti prodotti dalle successive generazioni di stelle massicce. Se si scoprisse che Earendel è composta solo di idrogeno ed elio primordiali, ci troveremmo davanti a una delle leggendarie e agognate stelle che appartengono alla Popolazione III, e che si ipotizza siano le primissime stelle a essersi formate dopo il Big Bang.
Gli astronomi stimano che Earendel abbia una massa pari ad almeno 50 volte quella del Sole e che sia milioni di volte più luminosa – anche se non la più luminosa, nonostante la citazione dal Signore degli Anelli che abbiamo ripreso nel titolo. Ritengono inoltre che sia una stella binaria, e dunque che – come la maggior parte delle stelle massicce – possa avere una stella compagna più piccola.
La stella dovrebbe rimanere ben visibile per gli anni a venire. Il prossimo passo sarà osservarla e studiarla utilizzando l’elevata sensibilità alla luce infrarossa del telescopio spaziale James Webb.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature l’articolo “A highly magnified star at redshift 6.2”, di Brian Welch, Dan Coe, Jose M. Diego, Adi Zitrin, Erik Zackrisson, Paola Dimauro, Yolanda Jiménez-Teja, Patrick Kelly, Guillaume Mahler, Masamune Oguri, F. X. Timmes, Rogier Windhorst, Michael Florian, S. E. de Mink, Roberto J. Avila, Jay Anderson, Larry Bradley, Keren Sharon, Anton Vikaeus, Stephan McCandliss, Maruša Bradač, Jane Rigby, Brenda Frye, Sune Toft, Victoria Strait, Michele Trenti, Soniya Sharma, Felipe Andrade-Santos e Tom Broadhurst
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