Tutti i pianeti di tipo gioviano – cioè pianeti di massa simile o superiore a quella di Giove – sono fatti della stessa pasta: gas e polveri che hanno avuto origine in un disco circumstellare. Il modello dominante per la formazione di questi pianeti è chiamato “accrescimento del nucleo”, core accretion in inglese: un processo a due fasi in cui si ha inizialmente la formazione di nuclei rocciosi, chiamati planenteismi, all’interno del disco protoplanetario, seguita poi, una volta raggiunta una certa massa critica, dall’accumulo di grandi quantità di gas fino a raggiungere la massa finale del pianeta.
Questo modello non è tuttavia l’unico. Un processo alternativo di formazione planetaria è la disk instability, instabilità del disco, che non richiede la formazione di un nucleo massiccio: secondo questo modello i pianeti gioviani si formano per frammentazione del disco protoplanetario, dovuta a instabilità gravitazionali, in aggregati di gas e polvere, che poi evolvono in pianeti attraverso la condensazione del gas.
In un recente studio pubblicato su Nature Astronomy, un team di ricercatori guidati dall’Ames Research Center della Nasa (Usa), riporta ora la rilevazione diretta di un protopianeta di tipo gioviano le cui caratteristiche suggeriscono che si stia formando proprio attraverso questo meccanismo. La ricerca fornisce infatti indizi a supporto della formazione del protopianeta non attraverso il modello canonico di formazione dei gioviani, bensì tramite collasso gravitazionale.
Il protopianeta in questione è AB Aurigae b, si stima sia circa nove volte più massiccio di Giove e si trova all’interno del disco protoplanetario di polvere e gas della sua stella ospite – AB Aurigae, un giovane astro situato a 531 anni luce dal Sole nella costellazione dell’Auriga – orbitando attorno a essa a una distanza di circa 86 unità astronomiche, corrispondenti a quasi 13 miliardi di chilometri, più di due volte la distanza di Plutone dal Sole. Una distanza enorme che, insieme alla presenza di onde di densità a spirale nel disco protoplanetario, sarebbe la prova della formazione dell’embrione planetario per instabilità del disco.
I ricercatori sono stati in grado di visualizzare in maniera diretta il pianeta in fasce e le caratteristiche del disco grazie alle osservazioni condotte utilizzando principalmente due strumenti di Hubble: lo Space Telescope Imaging Spectrograph (Stis) e la Near Infrared Camera and Multi-Object Spectrometer (Nicmos).
I dati ottenuti con questi strumenti in ben tredici anni di osservazioni (il primo studio del disco circumstellare di AB Aurigae risale al 2008) sono stati poi confrontati con quelli del Subaru Coronagraphic Extreme Adaptive Optics (Scexao), uno strumento di imaging planetario all’avanguardia montato sul telescopio giapponese Subaru da 8,2 metri situato sulla cima di Mauna Kea, nelle Hawaii. La combinazione di telescopi da terra e dallo spazio si è rivelata fondamentale, dicono i ricercatori, anche perché è molto difficile distinguere tra pianeti in formazione e caratteristiche del disco non correlate ai pianeti.
«Interpretare questo sistema è estremamente impegnativo», dice Thayne Currie, astrofisico all’Ames Research Center e primo autore della ricerca. «Questo è uno dei motivi per cui avevamo bisogno di Hubble per questo progetto, che ha ottenuto un’immagine pulita per separare meglio la luce dal disco e di qualsiasi pianeta». Anche se, sottolineano i ricercatori, una mano per “fotografare” AB aurige b l’ha data anche la geometria del disco di polvere e gas che vortica intorno alla stella, inclinato quasi di fronte alla nostra linea di vista.
La longevità del telescopio Hubble ha svolto un ruolo determinante nel misurare l’orbita del protopianeta: inizialmente i ricercatori erano molto scettici sul fatto che AB Aurigae b fosse un pianeta, ma i dati d’archivio di Hubble, combinati con le sue immagini recenti e con quelle del telescopio Subaru, si sono rivelati fondamentali per individuare il movimento dell’embrione planetario e confermare la sua esistenza.
«Non abbiamo potuto rilevare questo movimento nell’ordine di un anno o due», dice a questo proposito Currie. «Hubble ha fornito una linea temporale di 13 anni che, combinata con i dati di Subaru, è stata sufficiente per rilevare il movimento orbitale».
AB Aurigae b potrebbe però non essere l’unico mondo del sistema planetario. Nel disco attorno ad AB Aurigae i ricercatori hanno infatti individuato due strutture, che chiamano sorgenti ‘c’ e ‘d’, situate ancora più lontano, circa 60 e 90 miliardi di chilometri dalla stella (430 e 580 unità astronomiche), che potrebbero essere siti candidati di formazione di pianeti. Ma per la loro conferma sono necessari ulteriori studi.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “Images of embedded Jovian planet formation at a wide separation around AB Aurigae” di Thayne Currie, Kellen Lawson, Glenn Schneider, Wladimir Lyra, John Wisniewski, Carol Grady, Olivier Guyon, Motohide Tamura, Takayuki Kotani, Hajime Kawahara, Timothy Brandt, Taichi Uyama, Takayuki Muto, Ruobing Dong, Tomoyuki Kudo, Jun Hashimoto, Misato Fukagawa, Kevin Wagner, Julien Lozi, Jeffrey Chilcote, Taylor Tobin, Tyler Groff, Kimberly Ward-Duong, William Januszewski, Barnaby Norris, Peter Tuthill, Nienke van der Marel, Michael Sitko, Vincent Deo, Sebastien Vievard, Nemanja Jovanovic, Frantz Martinache e Nour Skaf