A cuoppo cupo poco pepe cape, recita un proverbio napoletano di non facile pronuncia, al punto da essere diventato un vero e proprio scioglilingua. Ma ancor più difficile è misurare le dimensioni del “cuoppo” di particelle – o meglio di assenza di alcune particolari particelle, come vedremo – che va sotto il nome tecnico di dead cone (cono buio, in italiano) e che è stato finalmente osservato in modo diretto a Lhc, il grande acceleratore di protoni del Cern, dal team dell’esperimento Alice. La scoperta è descritta questa settimana su Nature e vede coinvolti molti ricercatori e ricercatici dell’Infn, l’Istituto nazionale di fisica nucleare.
«È stato molto difficile osservare direttamente il dead cone», garantisce infatti il portavoce di Alice, Luciano Musa, fisico al Cern. «Analizzando con tecniche sofisticate tre anni di dati prodotti a Lhc da collisioni protone-protone all’Lhc siamo però finalmente stati in grado di riuscirci».
E cos’hanno visto? Anzitutto, hanno verificato sperimentalmente l’esistenza stessa del “cono buio” – un fenomeno previsto trent’anni fa dalla cromodinamica quantistica. Quando avviene una collisione come quelle prodotte nell’anello di Lhc, può venire prodotta una “cascata partonica”: una cascata di partoni – etichetta, proposta da Richard Feynman, che comprende quark e gluoni – nella quale le particelle perdono energia emettendola sotto forma di gluoni. Ma questi gluoni non vengono emessi in ogni direzione: per quark di massa elevata, la teoria prevede l’esistenza di un fenomeno, detto soppressione dello spettro gluonico, che fa sì che esista una sorta di “regione proibita” entro la quale i gluoni non possono essere emessi. Una regione di forma conica – il nostro “cuoppo quantistico” – con il quark nel vertice, l’apertura rivolta in direzione del moto della particella stessa e – caratteristica assai gradita ai fisici – un angolo “buio” pari al rapporto tra la massa della particella e la sua energia.
Il risultato, scrivono i ricercatori su Nature, non si limita dunque a confermare la previsione della cromodinamica quantistica: mostrando l’esistenza del cono buio, costituisce anche un’osservazione sperimentale diretta della massa diversa da zero del quark charm, che è a sua volta una costante fondamentale nel modello standard della fisica delle particelle. Questo grazie al fatto che la teoria prevede non solo l’esistenza del cono buio, ma anche – come dicevamo – l’ampiezza del suo angolo, che dovrebbe essere pari, appunto, al rapporto fra la massa del quark e la sua energia. Misurando dunque energia della particella e l’angolo del cono, ecco che diventa possibile ottenere l’ambitissimo valore della massa.
«Le masse dei quark sono quantità fondamentali nella fisica delle particelle, ma non possono essere accessibili e misurate direttamente negli esperimenti», spiega infatti il coordinatore scientifico della collaborazione Alice, Andrea Dainese, ricercatore all’Infn di Padova, «perché, con l’eccezione del quark top, i quark sono confinati all’interno di particelle composite. La tecnica che abbiamo sviluppato per osservare direttamente il dead cone di una cascata di partoni apre dunque una nuova possibilità per misurare direttamente le masse di queste particelle».
Per saperne di più:
- Leggi su Nature l’articolo “Direct observation of the dead-cone effect in quantum chromodynamics”, della ALICE Collaboration