È ormai assodato che gli algoritmi di intelligenza artificiale addestrati su osservazioni astronomiche reali superano gli astronomi nel setacciare enormi quantità di dati per trovare stelle che esplodono, identificare nuovi tipi di galassie e rilevare fusioni di stelle massicce, accelerando il tasso con cui vengono fatte nuove scoperte scientifiche in quella che può essere considerata la scienza più antica del mondo. Gli astronomi dell’Università della California, Berkeley hanno ora scoperto che l’intelligenza artificiale è in grado di rivelare qualcosa di più profondo: connessioni insospettate, nascoste nella complessa matematica che deriva dalla relatività generale; in particolare, nel modo in cui questa teoria viene applicata alla ricerca di nuovi pianeti attorno ad altre stelle.
In un articolo apparso questa settimana sulla rivista Nature Astronomy, tre ricercatori descrivono come un algoritmo di intelligenza artificiale, sviluppato per rilevare più rapidamente esopianeti tramite il microlensing gravitazionale, abbia riscontrato che le teorie vecchie di decenni comunemente utilizzate per spiegare le osservazioni sono in realtà incomplete.
Nel 1936, lo stesso Albert Einstein utilizzò la sua nuova teoria della relatività generale per mostrare come la luce di una stella lontana può essere “piegata” dalla gravità di una stella in primo piano, che spesso la suddivide in diversi punti di luce o la distorce in un anello, comunemente chiamato anello di Einstein. Ma quando l’oggetto in primo piano è una stella con un pianeta che le orbita attorno, la curva di luce diventa più complicata. Inoltre, spesso potrebbero esserci più orbite planetarie in grado di spiegare altrettanto bene una data curva di luce, le cosiddette degenerazioni. È qui che, secondo gli autori, gli “umani” hanno semplificato troppo la matematica alla base del fenomeno, perdendo il quadro più ampio che non è sfuggito all’intelligenza artificiale.
L’algoritmo di intelligenza artificiale implementato dai ricercatori ha indicato un modo matematico per unificare i due principali tipi di degenerazione nell’interpretazione di ciò che i telescopi rilevano durante il microlensing, dimostrando che le due “teorie” sono casi speciali di una teoria più ampia che, ammettono i ricercatori, è probabilmente ancora incompleta. «Un algoritmo di inferenza di apprendimento automatico che abbiamo sviluppato in precedenza ci ha portato a scoprire qualcosa di nuovo e fondamentale sulle equazioni che governano l’effetto di relatività generale della curvatura della luce da parte di due corpi enormi», aveva riportato Joshua Bloom nel suo blog, lo scorso anno. Bloom ha confrontato la scoperta di Keming Zhang con le connessioni che il team di intelligenza artificiale di Google, DeepMind, ha recentemente stabilito tra due diverse aree della matematica. Presi insieme, questi esempi mostrano che i sistemi di intelligenza artificiale possono rivelare associazioni fondamentali che agli esseri umani sfuggono. «Sostengo che costituiscono una delle prime volte, se non la prima, che l’intelligenza artificiale è stata utilizzata per fornire direttamente nuove intuizioni teoriche in matematica e astronomia», afferma Bloom. «Proprio come Steve Jobs ha suggerito che i computer potrebbero essere le biciclette della mente, abbiamo cercato un framework di intelligenza artificiale che fungesse da nave spaziale intellettuale per gli scienziati».
«Questa è una sorta di pietra miliare nell’intelligenza artificiale e nell’apprendimento automatico», ha sottolineato il coautore Scott Gaudi, professore di astronomia alla Ohio State University e uno dei pionieri dell’uso del microlensing gravitazionale per scoprire esopianeti. «L’algoritmo di apprendimento automatico di Keming ha scoperto questa degenerazione che era stata ignorata dagli esperti del settore che stavano lavorando ai dati da decenni. Questo è indicativo di come andrà la ricerca in futuro, quando sarà aiutata dall’apprendimento automatico, ed è davvero eccitante».
Ma vediamo di entrare più nel dettaglio del microlensing gravitazionale e delle problematiche che subentrano nella caratterizzazione dei sistemi planetari.
Intorno alle stelle della Via Lattea sono stati scoperti più di 5000 esopianeti, anche se pochi sono stati effettivamente visti attraverso un telescopio, perché troppo deboli. La maggior parte è stata rilevata utilizzando il metodo dei transiti o quello della velocità radiale. Solo 130 esopianeti sono stati scoperti con la tecnica oggetto dello studio in questione, il microlensing gravitazionale.
Uno degli obiettivi principali del Nancy Grace Roman Space Telescope della Nasa, il cui lancio è previsto entro il 2027, è scoprire migliaia di esopianeti tramite il microlensing. La tecnica presenta un vantaggio notevole rispetto alla velocità radiale e al metodo del transito in quanto può rilevare pianeti di massa inferiore, compresi quelli delle dimensioni della Terra, che sono lontani dalle loro stelle, a una distanza equivalente a quella di Giove o Saturno nel Sistema solare.
Bloom, Zhang e colleghi due anni fa hanno deciso di sviluppare un algoritmo di intelligenza artificiale per analizzare più velocemente i dati di microlensing, per determinare le masse stellari e planetarie di questi sistemi planetari e le distanze alle quali i pianeti orbitano attorno alle loro stelle. Un tale algoritmo velocizzerebbe l’analisi delle centinaia di migliaia di eventi che il Nancy Grace Roman Space Telescope probabilmente rileverà per trovare l’1 per cento o meno di quelli causati da sistemi esoplanetari.
Tuttavia, un problema che gli astronomi incontrano in questo tipo di ricerca, è che il segnale osservato può essere ambiguo. Quando una stella solitaria in primo piano passa davanti a una stella sullo sfondo, la luminosità della stella sullo sfondo aumenta gradualmente fino a raggiungere un picco, per poi scendere alla sua luminosità originale. Ma se la stella in primo piano ha un pianeta, il pianeta crea un picco di luminosità separato all’interno del picco causato dalla stella. Quando si cerca di ricostruire la configurazione orbitale dell’esopianeta che ha prodotto il segnale, la relatività generale spesso consente due o più soluzioni cosiddette degeneri, che possono spiegare le osservazioni.
Secondo Gaudi, a oggi gli astronomi hanno generalmente affrontato queste degenerazioni in modi semplicistici. Nel caso in cui la luce della stella lontana passa vicino alla stella in primo piano, le osservazioni potrebbero essere interpretate sia con un’orbita ampia del pianeta oppure stretta: un’ambiguità che gli astronomi spesso riescono a risolvere con altri dati. Mentre quando la luce della stella sullo sfondo passa vicino al pianeta, le due diverse soluzioni per l’orbita planetaria differiscono solo leggermente.
Secondo Gaudi, queste due semplificazioni del microlensing gravitazionale a due corpi sono generalmente sufficienti per determinare le masse reali e le distanze orbitali. Infatti, in un articolo pubblicato lo scorso anno, Zhang, Bloom, Gaudi e altri due coautori della UC Berkeley, Jessica Lu e Casey Lam, hanno descritto un nuovo algoritmo di intelligenza artificiale che non si basa affatto sulla conoscenza di queste interpretazioni. L’algoritmo accelera notevolmente l’analisi delle osservazioni di microlenti gravitazionali, fornendo risultati in millisecondi, anziché in giorni, e riducendo drasticamente il crunch del computer.
Zhang ha quindi testato il nuovo algoritmo di intelligenza artificiale sulle curve di luce da microlensing di centinaia di possibili configurazioni orbitali di stelle ed esopianeti e ha notato qualcosa di insolito: c’erano altre ambiguità che le due interpretazioni non spiegavano. Ha concluso che le interpretazioni comunemente utilizzate del microlensing erano, in effetti, solo casi speciali di una teoria più ampia che spiega l’intera varietà di ambiguità negli eventi di microlensing. «Le due precedenti teorie sulla degenerazione trattano di casi in cui la stella sullo sfondo sembra passare vicino alla stella in primo piano o al pianeta in primo piano», spiega Zhang. «L’algoritmo di intelligenza artificiale ci ha mostrato centinaia di esempi non solo da questi due casi, ma anche da situazioni in cui la luce stellare non passa né vicino alla stella né vicino al pianeta e non può essere spiegata da nessuna delle precedenti teorie. Questa è stata la chiave per proporre la nuova teoria unificante».
Inizialmente Gaudi era scettico ma si è convinto dopo che Zhang ha prodotto molti esempi in cui le due teorie precedenti non si adattavano alle osservazioni e la nuova teoria sì. Zhang ha effettivamente esaminato i dati di due dozzine di articoli precedenti che riportavano la scoperta di esopianeti attraverso il microlensing e ha scoperto che, in tutti i casi, la nuova teoria si adatta meglio ai dati rispetto alle teorie precedenti.
In questo nuovo articolo, Zhang e Gaudi hanno descritto rigorosamente la matematica che descrive il fenomeno del microlensing gravitazionale ed esplorano la teoria in situazioni nelle quali più di un esopianeta orbita attorno a una stella. La nuova teoria rende tecnicamente più ambigua l’interpretazione delle osservazioni di microlensing, poiché esistono più soluzioni degeneri che descrivono le osservazioni, ma dimostra anche chiaramente che osservare lo stesso evento di microlensing da due prospettive – dalla Terra e dall’orbita del Nancy Grace Roman Space Telescope, per esempio – renderà più facile stabilire le orbite e le masse corrette.
«L’intelligenza artificiale ha suggerito un modo per guardare le equazioni del lensing sotto una nuova luce e scoprire qualcosa di veramente profondo sulla matematica che lo governa», conclude Bloom. «L’intelligenza artificiale sta emergendo non solo come strumento disponibile nella nostra cassetta degli attrezzi, ma come un qualcosa che è in realtà piuttosto astuto».
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “A ubiquitous unifying degeneracy in two-body microlensing systems” di Keming Zhang, B. Scott Gaudi & Joshua S. Bloom