All’inizio degli anni 2000, una nuova serie di dati ha portato a riconsiderare le abbondanze chimiche sulla superficie del Sole, riducendole e contraddicendo così i valori previsti dai modelli standard utilizzati dagli astrofisici. Spesso messe in discussione, queste nuove abbondanze hanno superato diverse nuove analisi. Poiché sembravano rivelarsi corrette, spettava quindi ai modelli solari adattarsi, soprattutto perché servono come riferimento per lo studio delle stelle in generale.
Un team di astronomi dell’Università di Ginevra (Unige) in Svizzera, in collaborazione con l’Université de Liège, ha sviluppato un nuovo modello teorico che risolve parte del problema: considerando la rotazione del Sole, che varia nel tempo, e i campi magnetici che genera, sono stati in grado di spiegare la struttura chimica del Sole. I risultati di questo studio sono pubblicati su Nature Astronomy.
«Il Sole è la stella che possiamo caratterizzare meglio, quindi costituisce un test fondamentale per la nostra comprensione della fisica stellare. Abbiamo misure di abbondanza dei suoi elementi chimici, ma anche misure della sua struttura interna, come nel caso della Terra grazie alla sismologia», spiega Patrick Eggenberger, ricercatore presso il Dipartimento di astronomia dell’Unige e primo autore dello studio.
Queste osservazioni dovrebbero essere in linea con i risultati previsti dai modelli teorici che mirano a spiegare l’evoluzione del Sole. Come fa il Sole a bruciare l’idrogeno nel suo nucleo? Come viene prodotta l’energia e poi trasportata verso la superficie? In che modo gli elementi chimici si spostano all’interno del Sole, influenzati sia dalla rotazione che dai campi magnetici?
«Il modello solare standard che abbiamo utilizzato finora considera la nostra stella in maniera molto semplificata, da un lato per quanto riguarda il trasporto degli elementi chimici negli strati più profondi, dall’altro per la rotazione e i campi magnetici interni, che fino a oggi sono sempre stati del tutto trascurati», spiega Gaël Buldgen, ricercatore presso il Dipartimento di astronomia dell’Unige e coautore dello studio.
Tuttavia, come si diceva, tutto ha funzionato piuttosto bene fino all’inizio degli anni 2000, quando un team scientifico internazionale ha rivisto drasticamente le abbondanze solari grazie a un’analisi migliorata. Le nuove abbondanze hanno provocato un po’ di “maretta” nelle calme acque della modellizzazione solare. Da quel momento in poi, nessun modello è stato in grado di riprodurre i dati ottenuti con l’eliosismologia (l’analisi delle oscillazioni del Sole), in particolare l’abbondanza di elio nell’involucro solare.
Il nuovo modello solare sviluppato dal team Unige include non solo l’evoluzione della rotazione, probabilmente più rapida in passato, ma anche le instabilità magnetiche che si vengono a creare. «Dobbiamo assolutamente considerare contemporaneamente gli effetti della rotazione e dei campi magnetici sul trasporto degli elementi chimici nei nostri modelli stellari. È importante per il Sole come per la fisica stellare in generale e ha un impatto diretto sull’evoluzione chimica dell’universo, dato che gli elementi chimici cruciali per la vita sulla Terra vengono preparati nel nucleo delle stelle», afferma Eggenberger.
Non solo il nuovo modello prevede correttamente la concentrazione di elio negli strati esterni del Sole, ma riflette anche quella del litio che finora ha resistito alla modellazione. «L’abbondanza di elio è riprodotta correttamente dal nuovo modello perché la rotazione interna del Sole imposta dai campi magnetici genera un rimescolamento turbolento che impedisce a questo elemento di cadere troppo velocemente verso il centro della stella; contemporaneamente, si riproduce anche l’abbondanza di litio osservata sulla superficie solare perché questa stessa miscelazione lo trasporta nelle regioni calde, dove viene distrutto», spiega Eggenberger.
Tuttavia, il nuovo modello non risolve tutte le sfide sollevate dall’eliosismologia: «Grazie all’eliosismologia, siamo in grado di conoscere entro 500 chilometri in quale regione iniziano i movimenti convettivi della materia, 199500 chilometri sotto la superficie del Sole. Tuttavia, i modelli teorici del Sole prevedono uno scostamento in profondità di 10mila chilometri», spiega Sébastien Salmon, ricercatore dell’Unige e coautore dell’articolo. Se il problema continuerà a persistere con il nuovo modello, si aprirà una nuova finestra per la comprensione: «Grazie al nuovo modello, facciamo luce sui processi fisici che possono aiutarci a risolvere questa differenza critica».
«Dovremo rivedere le masse, i raggi e le età ottenute per le stelle di tipo solare che abbiamo studiato finora», afferma Buldgen descrivendo in dettaglio i passaggi successivi. Infatti, nella maggior parte dei casi, la fisica solare viene applicata anche ad altre stelle simili al Sole. Pertanto, se i modelli per l’analisi del Sole vengono modificati, questo aggiornamento dovrà essere eseguito anche per altre stelle simili alla nostra. «Questo è particolarmente importante se vogliamo caratterizzare meglio le stelle ospiti dei pianeti, ad esempio nell’ambito della missione Plato», conclude Eggenberger. Questo osservatorio composto da 24 telescopi dovrebbe raggiungere il secondo punto di Lagrange del sistema Terra-Sole (a 1,5 milioni di chilometri dalla Terra) nel 2026, per scoprire e caratterizzare piccoli pianeti e perfezionare la caratterizzazione delle loro stelle.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “The internal rotation of the Sun and its link to the solar Li and He surface abundances” di P. Eggenberger, G. Buldgen, S.J.A.J. Salmon, A. Noels, N. Grevesse & M. Asplund