Oceani di acqua liquida che bagnano la superficie di pianeti extrasolari simili alla Terra potrebbero essere rilevati studiando la polarizzazione della luce delle stelle ospiti riflessa dai pianeti stessi. Questo è il risultato di uno studio – condotto da due ricercatori dei Paesi Bassi, Victor Trees e Daphne Stam – che verrà presto pubblicato su Astronomy & Astrophysics.
La scoperta dell’acqua liquida sulla superficie di un pianeta extrasolare sarebbe una pietra miliare nella ricerca della vita al di fuori del Sistema solare, poiché l’acqua liquida è considerata un requisito fondamentale per la vita come la conosciamo. Oceani d’acqua possono essere ricercati sulla superficie dei pianeti rocciosi nelle zone abitabili dei sistemi planetari. La capacità effettiva di un pianeta di possedere acqua liquida in superficie è difficile da determinare perché dipende, tra le varie cose, dalla composizione atmosferica del pianeta e dalla sua pressione verticale e orizzontale, dai profili di temperatura, dall’albedo superficiale, dalla sua massa e dimensioni, dal periodo di rotazione e dall’attività della stella ospite.
Vapore acqueo è già stato rilevato nelle atmosfere di pianeti extrasolari gassosi caldi e nella super Terra K2-18b, che risiede nella zona abitabile della sua stella madre. Tali rilevamenti sono stati effettuati utilizzando indagini spettroscopiche durante i transiti e durante le loro eclissi secondarie (quando il pianeta si muove dietro la stella). Sebbene future misurazioni spettroscopiche, previste con il James Webb Space Telescope (Jwst), potrebbero dare indicazioni sulle condizioni della superficie abitabile, la luce che viene rilevata con tali misurazioni ha viaggiato attraverso l’atmosfera (superiore) dell’esopianeta e le osservazioni degli oceani di acqua liquida sono possibili solo utilizzando un rilevamento diretto della luce stellare riflessa dal pianeta.
Il segnale della luce stellare riflessa da un esopianeta simile alla Terra che raggiunge, attraverso la superficie dell’esopianeta, un rivelatore posto nel piano focale di un telescopio, non fornirà alcun dettaglio, in termini di risoluzione spaziale, a causa delle enormi distanze tra il telescopio e questi pianeti. Tutte le informazioni della parte del disco planetario illuminata sarà memorizzata in un unico pixel. Tuttavia, se il segnale viene misurato a più lunghezze d’onda, il pixel contiene informazioni molto importanti. Il segnale varierà anche con l’angolo di fase planetario – ossia l’angolo tra l’osservatore, la stella ospite e il pianeta in orbita attorno alla stella.
Si può presumere che la luce della stella non sia di per sé polarizzata, e venga polarizzata dalla riflessione sull’atmosfera o sulla superficie del pianeta. Lo stato di polarizzazione della luce esalta così il contrasto tra la stella e l’esopianeta, e contiene anche informazioni sulle proprietà ottiche dell’atmosfera e della superficie del pianeta stesso. La dipendenza del grado di polarizzazione dall’angolo di diffusione è in generale molto più significativa di quella del flusso totale, rendendo la polarimetria un valido strumento per la caratterizzazione dell’esopianeta.
La misurazione del grado di polarizzazione presenta anche vantaggi pratici: come misura relativa, il grado di polarizzazione di un esopianeta è generalmente insensibile all’estinzione lungo il percorso ottico tra l’esopianeta e l’osservatore. Cioè, quando si effettuano misurazioni di un esopianeta nel cielo notturno con un telescopio a terra, l’assorbimento della luce all’interno dell’atmosfera terrestre influisce equamente sui flussi totali e polarizzati, lasciando il grado di polarizzazione dell’esopianeta inalterata.
Non potendo ancora fare questo tipo di misura, gli autori si sono concentrati su simulazioni numeriche della luce stellare riflessa da esopianeti simili alla Terra, e sono stati in grado di prevedere le firme di abitabilità che possono essere ricercate con i futuri telescopi. Gli autori hanno individuato le firme degli oceani d’acqua negli spettri di flusso e polarizzazione di questa luce riflessa. Con un algoritmo da loro sviluppato, calcolano il flusso totale, il flusso polarizzato e il grado di polarizzazione della luce stellare riflessa da pianeti aridi e oceanici con atmosfere simili alla Terra e con nubi irregolari. Modellano gli oceani come superfici riflettenti con onde mosse dal vento, schiuma e ombre generate dalle onde stesse. I risultati sono presentati come funzioni della lunghezza d’onda (da 300 a 2500 nanometri, con una risoluzione di 1 nanometro) e come funzioni dell’angolo di fase planetario, da 90 a 170 gradi. Nello studio è evidenziata anche l’importanza, all’interno del modello, della copertura nuvolosa.
Per saperne di più:
- Leggi su arXiv il pre-print dell’articolo “Ocean signatures in the total flux and polarization spectra of Earth-like exoplanets” di Victor J.H. Trees, Daphne M. Stam