Secondo gli astronomi, la nostra galassia sarebbe infestata di buchi neri “fantasma”: ve ne sarebbero almeno un centinaio di milioni. Il problema, però, sta nell’individuarli: sono infatti invisibili, in quanto la loro intensa gravità inghiotte la luce. Ma invisibile non significa che un oggetto non possa essere rilevato, prima o poi. La loro esistenza può essere dedotta osservando come questi influiscono sull’ambiente che li circonda. Come? L’intensa gravità di un buco nero deforma il “tessuto” dello spazio circostante, come una palla che rotola su una coperta. La luce d’una stella che si trovi alle sue spalle, passando vicino a questa buca gravitazionale, viene dunque deviata. Ed è proprio grazie a questo effetto – noto come microlensing gravitazionale – che si possono trovare i buchi neri fantasma. Ora per la prima volta uno di questi buchi neri “liberi” – solitario, dunque, non appartenente a un sistema binario – potrebbe essere stato scoperto grazie al microlensing.
Utilizzando sei anni di dettagliate osservazioni prodotte da Hubble, due team di ricercatori ritengono infatti di aver individuato, grazie appunto al metodo del microlensing gravitazionale, un buco nero – o comunque un oggetto compatto, invisibile ed estremamente denso – transitare quasi esattamente davanti a una stella molto lontana, agendo come lente e amplificando, nonché deviando, la luce della stella. Uno dei team di ricerca protagonisti della scoperta è guidato da una dottoranda dell’università di Berkeley, Casey Lam, e i risultati saranno pubblicati su The Astrophysical Journal Letters. L’altro team – del quale fanno parte anche alcuni astrofisici italiani delle università di Salerno e Roma Tor Vergata, nonché dell’Inaf e dell’Infn – è invece guidato da Kailash Sahu dello Space Telescope Science Institute (Stsci) di Baltimora, e in questo caso lo studio è stato accettato per la pubblicazione su The Astrophysical Journal.
Entrambi i risultati, nonostante alcune differenze nell’intervallo di massa, suggeriscono la presenza di un oggetto molto compatto. Il team di Berkeley stima che la massa dell’oggetto invisibile individuato sia compresa tra 1,6 e 4,4 volte quella del Sole. Poiché si teorizza che per collassare in un buco nero i resti di una stella morta debbano avere una massa superiore a 2,2 masse solari, gli autori dello studio sottolineano che l’oggetto potrebbe essere sia un buco nero che una stella di neutroni.
Sia che si tratti di un buco nero sia che si tratti di una stella di neutroni, l’oggetto in esame sembra essere il primo residuo stellare oscuro mai individuato – un “fantasma stellare” che vaga solitario per la galassia, senza una stella compagna. L’evento sorprende perché, a oggi, i buchi neri di massa stellare sono stati trovati solo in quanto appartenenti a sistemi binari. Se fanno parte di una coppia, infatti, possono essere rilevati attraverso i raggi x emessi quando la materia della stella compagna cade sul buco nero, o grazie ai recenti rivelatori di onde gravitazionali, sensibili alla increspature prodotte da eventi di fusione, appunto, di due o più buchi neri – eventi considerati però estremamente rari.
«Questa è la prima stella di neutroni, o il primo buco nero errante, scoperta grazie alla tecnica del microlensing gravitazionale», spiega Jessica Lu, co-autrice dello studio condotto presso l’università di Berkeley. «Con il microlensing siamo in grado di rilevare e pesare questi oggetti solitari e compatti. Penso che, in questo modo, abbiamo aperto una nuova finestra sulla ricerca di questi oggetti oscuri, che non possono essere osservati in alcun altro modo».
La loro analisi include altri quattro eventi di microlensing, due dei quali, sostengono, potrebbero essere stati causati da stelle di neutroni o nane bianche. I calcoli del team di Berkeley confermano anche che la popolazione di buchi neri presenti nella Via Lattea sia di circa 200 milioni. Una stima che aiuta a comprendere meglio l’evoluzione delle stelle – in particolare, la fase della loro morte – e della galassia. Le nuove analisi potrebbero anche indicare se alcuni di questi buchi neri solitari sono buchi neri primordiali, oggetti che secondo alcuni cosmologi sarebbero stati prodotti in grande quantità durante il Big Bang.
Entrambi i gruppi di ricerca – quello di Berkeley e quello dell’Stsci – si sono avvalsi degli stessi dati. Le misurazioni fotometriche della luce della stella sullo sfondo sono state prodotte dall’Optical Gravitational Lensing Experiment (Ogle), montato su un telescopio da 1,3 metri situato in Cile, e dal Microlensing Observations in Astrophysics (Moa), montato su un telescopio da 1,8 metri in Nuova Zelanda. Le misurazioni astrometriche dello spostamento della posizione della stella nel cielo causata dell’effetto di distorsione gravitazionale da parte dell’oggetto inquadrato della lente naturale, invece, arrivano dal telescopio spaziale Hubble.
Stessi dati ma conclusioni leggermente diverse: il team dello Stsci ritiene che la massa dell’oggetto compatto che agisce da microlente sia più vicina alle 7,1 masse solari e, dunque, si tratterebbe indiscutibilmente di un buco nero. Quanto alla distanza stimata, secondo i ricercatori di Berkeley l’oggetto compatto si trova tra 2280 e 6260 anni luce da noi, verso il centro della Via Lattea, vicino al rigonfiamento che circonda il buco nero supermassiccio centrale. I calcoli del gruppo dell’Stsci dicono invece che lo separano da noi circa 5153 anni luce.
La misurazione è stata particolarmente difficile poiché vicino alla stella sorgente si trova un’altra stella molto luminosa. «Quindi è come cercare di misurare il minuscolo movimento di una lucciola accanto a una lampadina», spiega Sahu, astronomo all’Stsci. «Abbiamo dovuto sottrarre meticolosamente la luce dalla vicina stella luminosa per misurare con precisione la deflessione della debole sorgente».
Il team di Sahu stima poi che il buco nero errante individuato stia viaggiando attraverso la galassia a 160mila km/h – abbastanza veloce da coprire il tragitto dalla Terra alla Luna in meno di tre ore. È più veloce della maggior parte delle altre stelle vicine in quella regione della nostra galassia. «L’astrometria è concettualmente semplice ma osservativamente molto difficile», sottolinea Sahu, «Il microlensing è l’unica tecnica disponibile utile per identificare i buchi neri solitari».
Per saperne di più:
- Leggi su ApJ Letters l’articolo “An isolated mass gap black hole or neutron star detected with astrometric microlensing” di Casey Y. Lam, Jessica R. Lu, et al.
- Leggi su ApJ l’articolo “An Isolated Stellar-Mass Black Hole Detected Through Astrometric Microlensing” di Kailash C. Sahu, Jay Anderson, et al.
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