Ricostruire i processi che portano alla formazione dei pianeti è complesso. Non potendo assistere in diretta all’evento – perlomeno non per i pianeti del Sistema solare – occorre affidarsi alle testimonianze geologiche e all’ingegno. È quel che hanno fatto due esperti di geochimica della University of California a Davis: Sandrine Péron e Sujoy Mukhopadhya. La loro testimone è stata una roccia molto particolare: la meteorite di Chassigny, giunta sulla Terra la mattina del 3 ottobre del 1815 e proveniente da Marte – per la precisione, dall’interno di Marte. Per interrogarla si sono avvalsi dell’analisi delle abbondanze isotopiche, vale a dire del rapporto fra le quantità d’isotopi di uno stesso elemento – in questo caso il kripton. E ciò che la roccia marziana ha confessato li ha sorpresi: i risultati, pubblicati oggi su Science, contraddicono infatti la teoria più accreditata sul modo in cui i pianeti rocciosi, mentre si formano, acquisiscono i cosiddetti elementi volatili, come idrogeno, carbonio, ossigeno, azoto e gas nobili.
Da dove arriverebbero, dunque, questi elementi? Dipende dall’epoca. Stando ai modelli più accreditati, in una prima fase il “fornitore” è la nebulosa primordiale che agli albori del sistema planetario avvolge la stella in formazione – nel nostro caso, la nebulosa solare. Poiché a quell’epoca il pianeta è ancora una palla di roccia fusa, questi elementi inizialmente si dissolvono nell’oceano di magma per poi degassare e risalire nuovamente in atmosfera. Il contributo in materiali volatili apportato dalle meteoriti condritiche che si schiantano sul giovane pianeta diventerebbe dunque predominante solo in una seconda fase. Stando così le cose, gli scienziati si attendono che gli elementi volatili presenti all’interno del pianeta mostrino una firma isotopica simile a quella della nebulosa solare, o tutt’al più mista, mentre i volatili in atmosfera proverrebbero principalmente dalle meteoriti.
Almeno nel caso di Marte, però, la meteorite di Chassigny racconta tutta un’altra storia. Provenendo dall’interno del pianeta, le sue abbondanze isotopiche dovrebbero riflettere quelle della nebulosa solare: atomi di kripton, dunque, nei quali abbondano gli isotopi più leggeri, a differenza di quel che avviene nelle meteoriti condritiche, dove gli isotopi del kripton tendono a essere sbilanciati verso le forme più pesanti. E invece le complicatissime analisi condotte nei laboratori di Uc Davies hanno avuto un esito sorprendente: la firma degli isotopi del kripton rinvenuta sulla roccia di Chassigny è inequivocabilmente quella delle meteoriti condritiche, e non quella della nebulosa solare. La sequenza di consegna degli elementi volatili risulterebbe quindi invertita: prima arrivarono le meteoriti, e solo successivamente è giunto il contributo della nebulosa solare.
«Per quanto riguarda il kripton, la composizione interna marziana risulta quasi puramente condritica, mentre l’atmosfera è solare», aggiunge Péron. Ciò significa che l’atmosfera di Marte non può essersi formata semplicemente per degassamento dal mantello, poiché in questo caso gli avrebbe conferito una composizione condritica. Il pianeta deve dunque aver acquisito l’atmosfera dalla nebulosa solare dopo che l’oceano di magma si era raffreddato, evitando così che i gas condritici interni e i gas solari atmosferici si miscelassero.
«Il nostro studio mostra chiaramente la presenza di gas condritici nell’interno di Marte, ma solleva anche alcune domande interessanti», osserva Mukhopadhyay, «sull’origine e la composizione dell’atmosfera primordiale del pianeta».
Per saperne di più:
- Leggi su Science l’articolo “Krypton in the Chassigny meteorite shows Mars accreted chondritic volatiles before nebular gases”, di Sandrine Péron e Sujoy Mukhopadhyay