Quando Jules Verne nel 1870 pubblicò Ventimila leghe sotto i mari, anticipò con straordinaria precisione varie caratteristiche dei sottomarini odierni. Nel suo classico fantascientifico descrisse accuratamente il Nautilus, costruito in segreto dal suo comandante, il Capitano Nemo. Tutto era frutto della sua fantasia, che poi è diventata realtà.
Oggi, quasi come allora, qualcuno ha immaginato che un giorno uno sciame di robot – o forse sarebbe più appropriato parlare di flotta – delle dimensioni di un cellulare, potrebbe immergersi nelle acque al di sotto del guscio ghiacciato di Europa, la luna di Giove, o di Encelado, la luna di Saturno, alla ricerca di segni di vita aliena. Infilati all’interno di una stretta sonda nucleare (cryobot) in grado di scavare un tunnel attraverso la crosta ghiacciata, i minuscoli robot potrebbero essere rilasciati sott’acqua, liberi di nuotare lontano dalla loro “nave madre” per esplorare un nuovo mondo.
È la visione di Ethan Schaler, un ingegnere meccanico esperto di robotica presso il Jet Propulsion Laboratory (Jpl) della Nasa, il cui concept del progetto Sensing With Independent Micro-Swimmers (Swim) è stato recentemente premiato con 600mila dollari per lo sviluppo di Fase II dal programma Nasa Innovative Advanced Concepts (Niac). Il finanziamento, successivo all’assegnazione avvenuta nel 2021 di 125mila dollari per la Fase I, per studiare la fattibilità e le opzioni di progettazione, consentirà a lui e al suo team di realizzare e testare prototipi in stampa 3D nei prossimi due anni.
Un aspetto innovativo fondamentale del progetto è che i mini-swimmer di Schaler sono molto più piccoli di altri robot pensati per l’esplorazione oceanica su altri mondi, consentendo loro di essere “stivati” in modo compatto in una sonda da ghiaccio. Si aggiungerebbero quindi al carico scientifico della sonda e potrebbero aumentare la probabilità di rilevare tracce di vita extraterrestre.
Swim, va detto, non fa ancora parte di nessuna missione della Nasa. È nella fase iniziale, che prevede robot a forma di cuneo, ciascuno lungo circa 12 centimetri e con un volume da 60 a 75 centimetri cubi. Circa quattro dozzine di robot potrebbero entrare in una sezione lunga 10 centimetri di un cryobot con un diametro di 25 centimetri, occupando solo il 15 per cento del volume del carico scientifico utile. I piccoli “nuotatori” lascerebbero quindi molto spazio a strumenti scientifici più potenti ma meno mobili, che potrebbero raccogliere dati durante il lungo viaggio attraverso il ghiaccio e fornire misurazioni stazionarie nell’oceano.
La missione Europa Clipper, il cui lancio è previsto nel 2024, quando arriverà sulla luna gioviana nel 2030 inizierà a raccogliere dati scientifici con un’ampia suite di strumenti, durante più sorvoli ravvicinati. Guardando più avanti nel futuro, si stanno valutando proposte di cryobot per esplorare questi mondi oceanici, sviluppati attraverso il programma Scientific Exploration Subsurface Access Mechanism for Europa (Sesame) della Nasa, nonché attraverso altri programmi di sviluppo tecnologico dell’agenzia.
Per quanto ambizioso, l’intento di Swim sarebbe quello di ridurre i rischi migliorando al contempo il ritorno scientifico. Il cryobot sarebbe collegato tramite un cavo di comunicazione al lander di superficie, che a sua volta sarebbe il punto di contatto con i controlli di missione sulla Terra. Quell’approccio vincolato, insieme allo spazio limitato per un grande sistema di propulsione, implica che il cryobot probabilmente non sarebbe in grado di avventurarsi molto oltre il punto in cui il ghiaccio incontra l’oceano.
«E se, dopo tutti quegli anni che ci sono voluti per entrare in un oceano, giungessimo attraverso il guscio di ghiaccio nel posto sbagliato? E se laggiù ci fossero segni di vita ma non nel punto in cui siamo entrati nell’oceano?» si domanda Samuel Howell del Jpl, che lavora sia su Swim che su Europa Clipper. «Portando con noi questi sciami di robot, saremmo in grado di esplorare molto più del nostro ambiente di quanto un singolo cryobot consentirebbe».
Howell ha paragonato il concept di Swim all’elicottero Ingenuity della Nasa, il compagno in volo del rover Perseverance su Marte. «L’elicottero estende la portata del rover e le immagini che sta inviando ci forniscono il contesto per aiutare il rover a capire come esplorare il suo ambiente», ha affermato. «Se invece di un elicottero avessimo un gruppo di elicotteri, sapremmo molto di più sull’ambiente. Questa è l’idea alla base di Swim».
Swim consentirebbe anche di raccogliere dati lontano dalla batteria nucleare del cryobot, su cui la sonda fa affidamento per sciogliere il ghiaccio lungo il percorso verso il basso. Una volta nell’oceano, il calore della batteria creerebbe una bolla termica, sciogliendo lentamente il ghiaccio e causando reazioni che potrebbero cambiare la chimica dell’acqua, fa notare Schaler.
Inoltre, i robot Swim potrebbero “raggrupparsi” mimando un comportamento ispirato a pesci o uccelli, riducendo così gli errori nei dati attraverso misurazioni sovrapposte. I dati di gruppo così raccolti potrebbero mostrare gradienti di temperatura o salinità, ad esempio, che aumentano attraverso i sensori dello sciame e puntano verso la sorgente del segnale che stanno rilevando. «Se ci fossero gradienti energetici o chimici, potrebbero essere indicativi della vita che può iniziare a nascere. Avremmo bisogno di salire a monte del cryobot per percepirli», conclude Schaler.
Ogni robot avrebbe il proprio sistema di propulsione, computer di bordo e sistema di comunicazione a ultrasuoni, insieme a semplici sensori di temperatura, salinità, acidità e pressione. I sensori chimici per monitorare i biomarcatori faranno parte dello studio di Fase II di Schaler.
Non ci resta che aspettare qualche anno per vedere se questi piccoli sottomarini riusciranno a navigare ventimila leghe sotto i mari di qualche luna del Sistema solare.